Federico Zappino: differenze tra le versioni

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Tuttavia, Marx non contemplava la materia corporea fra le materie suscettibili di "produzione". Secondo Federico Zappino, invece, anche i corpi, nella loro materialità, subiscono un processo di trasformazione ai fini dell’acquisizione di un genere, il cui valore è tanto culturale quanto economico. È questo il modo di produzione eterosessuale. L’eterosessualità, secondo Zappino, diventa così il "criterio sociale" (in quanto relazionale), o addirittura l''a razionalità'', che presiede alla trasformazione delle materie corporee in un determinato genere, in una cornice rigidamente binaria (maschi/femmine; uomini/donne).
 
In base a questa teoria, lungi dal poter essere intesa solo come un orientamento sessuale o una pratica sessuale o affettiva, l'eterosessualità costituisce dunque un modo di produzione dei soggetti e delle relazioni. L'eterosessualità produce infatti ''gli uomini e le donne in quanto tali'' e, di conseguenza, ogni forma di soggettivazione e di rapporto sociale, improntati alla diseguaglianza e alla gerarchia fra i due gruppi sociali di genere (maschi > femmine; uomini > donne). Tuttavia, se Zappino parla di un "modo" di produzione e non semplicemente dei generi come "prodotti sociali" (o "costruzioni sociali") è perché, sulla scorta dell'insegnamento di Wittig, intende l'eterosessualità come un "sistema sociale che si fonda sull'oppressione delle donne da parte degli uomini, e che produce la dottrina della differenza tra i sessi per giustificare questa oppressione"<ref>{{Cita libro|titolo=Monique Wittig, Il pensiero eterosessuale (1991), a cura di Federico Zappino, ombre corte, 2019, p. 41}}</ref>: ciò avverrebbe attraverso la costante trasfigurazione di determinate differenze anatomiche, di per sé non connotate, in principi di classificazione sociale. In altre parole, alla "produzione eterosessuale" sarebbero sottesi una razionalità ben determinata e dei criteri che stabiliscono ''cosa'' e ''come'' debba prodursi e per quali ''scopi'', secondo modalità di fatto indistinguibili dalla gerarchizzazione e dalla diseguaglianza. Per Zappino, infatti, il "fine" del modo di produzione eterosessuale è la riproduzione della società come eterosessuale (ossia, fondata sul binarismo di genere, sulla complementarietàcomplementarità fra i generi e sulla gerarchia fra i generi) e, dunque, come ontologicamente diseguale: la produzione costante di uomini e donne dà infatti luogo alla riproduzione costante di rapporti sociali improntati alla diseguaglianza. <blockquote>Il modo di produzione eterosessuale presiede alla diseguaglianza di genere e sessuale - la diseguaglianza fra uomini e donne; la diseguaglianza tra forme normative e abiette del genere e della sessualità. Ma c’è di più: il modo di produzione eterosessuale presiede, in un’accezione decisamente più ampia, alla diseguaglianza sociale. Non esisterebbe la società, d’altronde, se i soggetti non intrattenessero fra loro una qualche forma di relazione. Ogni soggetto, tuttavia, prende parte alle relazioni sociali recando già da sempre, con sé, un genere. E se questo genere è venuto producendosi per mezzo di una razionalità gerarchica, ciò significa che esso costituisce il perno per mezzo del quale si produce - e riproduce - ogni diseguaglianza sociale<ref>{{Cita libro|titolo=Federico Zappino, Il modo di produzione eterosessuale. Elementi per una teoria generale, cit., p. 196}}</ref>. </blockquote><blockquote>Teorizzare il modo di produzione eterosessuale significa delineare un’ontologia del sociale: ciò significa che la società, nel suo insieme, è l’esito di questo modo di produzione, e benché la mia insistenza su di esso (nel peculiare modo in cui, perlomeno, ho tentato di insistervi) ci conduca a considerare di primaria importanza la particolarità dei suoi effetti - il fatto, cioè, che tali effetti non riguardano tutti i gruppi sociali allo stesso modo -, al contempo esso indica in termini universali il modo in cui si produce e riproduce la società, a partire da ciascuna sua singola, materica, componente. E nella misura in cui il modo in cui si fa società è improntato alla diseguaglianza, nelle molteplici forme che questa può assumere, la trasformazione sociale in un senso più egualitario e giusto non può che derivare dalla sovversione del suo proprio modo di produzione<ref>{{Cita libro|titolo=Ivi, p. 208}}</ref>.</blockquote>La teoria del modo di produzione eterosessuale di Federico Zappino confligge esplicitamente con la tendenza, di ispirazione [[Michel Foucault|foucaultiana,]] a concepire l'eterosessualità come il risultato dei discorsi medici e psichiatrici di fine Ottocento e, dunque, come mero "orientamento sessuale" la cui invenzione sarebbe recente. La mera storicizzazione dell'orientamento sessuale eterosessuale, infatti, rischia di occultare il fatto che per potersi concretare in un orientamento sessuale determinato, l'eterosessualità deve essere già all'opera come sistema sociale e come modo di produzione, dal momento che non sarebbe possibile pensare (e produrre) né un "appetito ordinario per l'''altro'' sesso" né qualsivoglia "perversione del desiderio" in assenza di due sessi opposti e gerarchicamente naturalizzati. La produzione di questi due sessi è invece l'effetto specifico del modo di produzione eterosessuale, che pertanto non può essere ridotto a un "orientamento", dacché proprio ogni orientamento ne dipende in maniera strutturale.
 
Così inteso, il modo di produzione eterosessuale precede storicamente e logicamente il [[Capitalismo|modo di produzione capitalistico]]. In quanto modo di produzione dei generi, infatti, l’eterosessualità costituisce "il modo di produzione delle risorse simboliche, materiali, soggettive e relazionali da cui il capitalismo necessariamente attinge per dispiegare il proprio dominio"<ref>{{Cita libro|titolo=Federico Zappino, Comunismo queer. Note per una sovversione dell'eterosessualità, Meltemi, 2019}}</ref>.