Giansenismo: differenze tra le versioni

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== Genesi, sviluppo e declino del giansenismo in Francia ==
=== La controversia sulla grazia ===
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I dibattiti sul tema della [[Grazia (teologia)|grazia]] avevano attraversato per secoli la [[teologia]] [[cristianesimo|cristiana]], ed erano stati aperti soprattutto dalle riflessioni di [[Agostino d'Ippona]].
 
Il lungo contrasto con i [[pelagianesimo|pelagiani]], che esaltavano la libertà umana e le sue possibilità di salvezza, aveva portato Agostino a farsi "campione" dell'assoluta e libera grazia di Dio. Ciò, naturalmente, lo spinse a diminuire il valore del [[libero arbitrio]] dopo la cosiddetta [[caduta dell'uomo|caduta di Adamo]], così da rendere l'essere umano, senza la grazia, incapace di alcun bene. Per Agostino, poi, la grazia divina è ''gratis data'', cioè donata in modo assolutamente gratuito, quindi non prevedibile né tantomeno meritabile, a coloro che Dio, liberamente e segretamente, ha scelto e [[predestinazione|predestinato]].
 
Agostino aveva goduto di un immenso credito nel [[Medioevo]], e anche [[Tommaso d'Aquino]], parlando della grazia, partì dall'autorità di Agostino, sforzandosi però di conciliare quella dottrina con la sua [[metafisica]] e soprattutto di salvare lo spazio della libertà umana.
 
Anche [[Martin Lutero]] e [[Giovanni Calvino]] si richiamavano, per quanto riguardava la [[giustificazione (teologia)|giustificazione]], ad Agostino, trovando consonante con la propria affermazione del [[cinque sola|''sola fide et sola gratia'']] la centralità della grazia nella teologia del convertito di Ippona. L'enorme accento posto sulla caduta dell'essere umano (soprattutto in Calvino, che nega completamente il libero arbitrio per effetto del [[peccato originale]]) tende evidentemente ad esaltare la grandezza dell'opera redentiva di [[Gesù Cristo]], così come la rigida [[doppia predestinazione]] da parte di Dio tende ad eliminare ogni apporto umano alla libera volontà di Dio, cui l'uomo può solo aderire con l'abbandono di una fede totale.
 
Il [[Concilio di Trento]] si attenne alla teologia medievale, evitando di entrare in merito alla questione, e limitandosi a ribadire in maniera generica due punti fermi: la libertà di Dio (dichiarando la necessità della grazia divina) e - nello stesso tempo - la libertà dell'uomo (quindi l'esistenza e la realtà del libero arbitrio). La loro conciliazione spettava alle diverse scuole [[teologia|teologiche]].
{{citazione|''Necessità della grazia: ''<br>Se qualcuno ha affermato che l'essere umano potrebbe, senza una previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, credere, sperare ed amare, o pentirsi come si conviene, cosicché gli venisse conferita la grazia della giustificazione, sia anàtema.<br> <br>'' Libero arbitrio: ''<br>Se qualcuno ha affermato che il libero arbitrio dell'essere umano, mosso e stimolato da Dio, non coopera in nessun modo con quel Dio che lo muove e lo stimola perché si disponga e si prepari ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non potrebbe dissentire, se lo volesse, ma che, come un qualcosa di inanimato, non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente, sia anàtema.|[[Concilio di Trento]], sessione VI, 13 gennaio 1547, ''Canoni sulla dottrina della giustificazione'', [[Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum|DS]] 1554-1555|''[Can. 3:]''<br>Si quis dixerit, sine praeveniente Spiritus sancti inspiratione atque eius adiutorio hominem credere, sperare et diligere, aut paenitere posse, sicut oportet, ut ei iustificationis gratia conferatur, anatema sit.<br> <br> <br>''[Can. 4:]''<br>Si quis dixerit, liberum hominis arbitrium a Deo motum et excitatum nihil cooperari assentiendo Deo excitanti atque vocanti, quo ad obtinendam iustificationis gratiam se disponat ac praeparet, neque posse dissentire, si velit, sed velut inanime quoddam nihil omnino agere mereque passive se habere, anatema sit.|lingua=la}}
 
A [[Lovanio]], dopo il [[1550]], fu professore [[Michele Baio]]: specialista di [[patristica]], Baio ambiva a trattare i problemi relativi alla grazia soltanto con il linguaggio dei [[Padri della Chiesa]], senza ricorrere alla [[teologia scolastica]]. Ben presto lo si accusò di insegnare tesi molto vicine a quelle di Lutero e Calvino: di negare il carattere soprannaturale della condizione originale dell'uomo nel [[paradiso terrestre]] e perciò di dedurne la corruzione totale dell'uomo dopo il peccato originale e l'impossibilità di resistere alla grazia. Negando il libero arbitrio, Baio avrebbe perciò favorito il [[calvinismo]]. Le tesi di Baio furono condannate nel [[1567]] da [[papa Pio V]] e poi ancora da [[papa Gregorio XIII]] nel [[1580]].<ref>Il dibattito sulla grazia non solo non si concluse con la censura di Baio, ma vide l'apertura di un'ulteriore questione, su come andasse interpretato il testo della [[bolla papale|bolla]] ''Ex omnibus afflictionibus'' di Pio V:
{{citazione|Dopo che queste opinioni sono state ponderate davanti a Noi con un accurato esame, benché alcune in qualche modo possano essere sostenute, con rigore e nel senso proprio delle parole inteso dai loro assertori, con la nostra autorità noi le condanniamo, isoliamo e aboliamo, rispettivamente come eretiche, erronee, sospette, avventate, scandalose e capaci di far danno alle orecchie devote, insieme con qualsiasi cosa sia stata formulata, a parole o per iscritto, sopra di esse.|[[Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum|DS]] 1980|Quas quidem sententias stricto coram nobis examine ponderatas, quamquam nonnullae aliquo pacto sustineri possent in rigore et proprio verborum sensu ab assertoribus intento hereticas, erroneas, suspectas, temerarias, scandalosas et in pias aures offensionem immittentes respective, ac quaecumque super iis verbo scriptoque emissa, praesentium auctoritate damnamus, circumscribimus et abolemus.|lingua=la}}
La questione ermeneutica venne chiamata "del comma pïano", cioè 'della [[virgola]] di [papa] Pio': se si mette la virgola dopo ''sustineri possent'' ('possano essere sostenute'), il testo significa che le affermazioni di Baio, per quanto ''in sé'' potrebbero anche essere ortodosse, nel senso offerto da Baio sono eretiche; se invece si mette la virgola dopo ''ab assertoribus intento'' ('inteso dai loro assertori'), significherebbe che alcune proposizioni di Baio, proprio nel senso da lui inteso, possono essere ortodosse.</ref>
 
Alla fine del [[XVI secolo|Cinquecento]] scoppiò un'altra polemica tra [[Domenicani]] e [[Gesuiti]] a proposito del teologo gesuita [[Luis de Molina]] e di un suo testo del [[1588]], ''De concordia liberi arbitrii cum divinae gratiae donis''. Molina proponeva la teoria della "grazia sufficiente" al posto della "grazia efficace": la grazia di Dio dà all'uomo tutto ciò che è necessario per compiere il bene, ma non può produrre effetto se non è accettata dal libero arbitrio. La posizione molinistica era rilevante anche nel contesto della pratica di [[proselitismo]] gesuita, tesa a incoraggiare l'ingresso del maggior numero di persone nel seno della Chiesa.
 
I Domenicani, che vedevano intaccata l'autorità di Tommaso d'Aquino, reagirono con violenza; ne nacque una pesante disputa, tra questi ultimi, che ponevano l'accento sulla grazia divina (ma si trovarono addirittura accusati di [[calvinismo]]), e i Gesuiti, che accentuavano il libero consenso dell'uomo (ma venivano accusati dai loro avversari di [[semipelagianesimo]]). La Santa Sede avocò a sé la questione: venne insediata la "Commissione ''de auxiliis''" ([[1598]]-[[1607]]), ma sebbene la gran parte dei consultori fosse sulla linea di Agostino e Tommaso (o comunque fosse contraria al [[molinismo]]), per non contrastare i gesuiti si giunse a una soluzione compromissoria: venne proibito ai teologi di trattare la questione del rapporto tra grazia e libero arbitrio. La Compagnia di Gesù, in effetti, si era quasi universalmente compromessa nella difesa di Molina, e una condanna di Molina avrebbe rischiato di indebolire considerevolmente il prestigio dei Gesuiti, che rendevano alla Santa Sede - soprattutto in campo politico - immensi servizi.<ref>{{cita|Cognet|p. 15}}.</ref>. Il decreto di proibizione, emesso da [[papa Paolo V]] nel 1607 e rinnovato nel [[1625]], era peraltro formulato in modo molto vago, senza sanzioni penali,<ref>{{cita|Ceyssens 1957|pp. XVIII-XIX|Ceyssens57}}.</ref> tanto che cadde presto in oblio: di fatto, esso sarebbe stato tirato fuori dai Gesuiti soltanto in occasione della pubblicazione dell{{'}}''Augustinus'' di Giansenio.
{{Approfondimento
|larghezza=350px
|titolo=Schema cronologico del giansenismo francese
|contenuto=
[[File:La déroute janséniste Jean Garnier 09443.jpg|center|340px|Stampa da un almanacco gesuita: "La sconfitta e la confusione dei giansenisti, o trionfo di Molina su sant'Agostino"]]
'''Prima fase (teologica)'''<br>
1635 - ''Mars Gallicus''<br>
1638 - morte di Giansenio<br>
1640 - pubblicazione dell{{'}}''Augustinus''<br>
1642 - bolla ''In eminenti''<br>
1643 - Morte di Saint-Cyran; ''De la fréquent communion'' di Arnauld<br>
1656 - bolla ''Ad sacram''<br>
1657 - ''Le provinciali'' di Pascal<br>
1661 - imposizione del "Formulario" antigiansenista da parte di Luigi XIV<br>
1665 - ribellione dei quattro vescovi<br>
1669 - "pace clementina"
 
'''Seconda fase (politica)'''<br>
1679 - ripresa delle ostilità da parte di Luigi XIV contro Port-Royal<br>
1685 - inizio dell'amicizia tra Arnauld e Quesnel<br>
1701 - "Caso di coscienza"<br>
1703 - arresto di Quesnel<br>
1709 - distruzione di Port-Ro<yal<br>
1713 - bolla ''Unigenitus''<br>
1717 - appello ad un concilio contro la ''Unigenitus''<br>
1730 - la ''Unigenitus'' legge dello Stato<br>
1754 - morte dell'ultimo vescovo giansenista
}}
 
=== Contesto politico ===