Mortacci tua: differenze tra le versioni
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'''Mortacci tua''' o '''li mortacci tua''' o '''<nowiki>'</nowiki>tacci tua''' letteralmente significa "i tuoi (della tua famiglia) spregevoli defunti". È una tipica espressione [[Dialetto romanesco|romanesca]], ed una [[parolaccia]] della categoria specifica degli [[insulto|insulti]] generici. Di uso comune a [[Roma]], ma ormai conosciuta anche in altre regioni italiane ad opera soprattutto del cinema,<ref>{{Cita pubblicazione|titolo=Chi sète? Semo l'anima de li mortacci tua!|lingua=it-IT|accesso=2023-06-27|url=https://www.youtube.com/watch?v=9HXNeMdBu9M}}</ref> rievoca in forma spregiativa i [[Morte|defunti]] dell'insultato con lo scopo di offenderlo nella sua rispettabilità accusandolo di discendere da parenti riprovevoli nel loro comportamento o di deriderlo, anche solo scherzosamente. Si può riferire a persone e a cose.<ref>Luca Spaghetti, ''Un romano per amico. Mangia, prega, ama a Roma'', Rizzoli</ref>
In realtà l'espressione è la sintesi di un percorso logico che partendo dalla disapprovazione/ostilità per uno o più soggetti arriva a maledire chi li ha messi al mondo in una catena genealogica che arriva fino ai primi progenitori. Infatti l'espressione completa originaria e più antica<ref>Giuseppe Gioachino Belli, ''Sonetti'' 251, 2052</ref> è "[[Mannaggia]]"<ref>Dove "mannaggia" sta per: ''mal(e) n(e) aggia'' (equivalente meridionale di abbia) oppure per ''malannaggia'', anch’essa di uso della lingua meridionale, originata da ''mal anno'', anno cattivo e ''aggia'', abbia; quindi letteralmente, ''abbia un malanno'' (in [http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/mannaggia ''Accademia della Crusca''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20171107221646/http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/mannaggia |date=7 novembre 2017 }}).</ref>li mortacci tua" oppure "Mannaggia l'anima de li mortacci tua".
Viene utilizzata anche come espressione di stupore o [[meraviglia]]. Al plurale si usa '''li mortacci vostra'''.
Si ritrova anche la forma usata in passato "li mortacci tui".<ref>[[Giuseppe Gioachino Belli]], ''Poesie inedite'', Volume 3, Tip. Salviucci, 1866 pp.367 e 368</ref>
== Forme derivate ==
"Mortacci tua" è una forma abbreviata dell'espressione "Li mortacci tua" come "Tacci tua" e "'Cci tua", mentre "Alimortè" è una semplice esclamazione derivata dalla parolaccia principale: come se si dicesse "caspita", "accidenti" dove "li mortacci" non ci hanno più niente a che fare.<ref>Enrico Brignano, ''Sono romano ma non è colpa mia'', Rizzoli</ref>
Un'altra forma derivata dalla principale è "Li mortanguerieri"<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/serietv/disney-plus/2022/10/26/news/boris_tormentoni_frasi_celebri_da_finire-369859500/|titolo='Boris', da 'smarmella' a 'li mortanguerieri', i modi di dire entrati nel nostro quotidiano|cognome=Gagliardi|nome=Giovanni|sito=www.repubblica.it|accesso=31 ottobre 2023}}</ref> con lo stesso valore spregiativo ma dove oggetto dell'insulto non sono i prossimi defunti ma i lontani progenitori che si suppone essere stati antichi guerrieri.<ref>Paolo Villaggio, ''Mi dichi'', Edizioni Mondadori, 2011, p.24</ref> In caso contrario, l'allocuzione "li mortacci stracci" sta ad identicare avi la cui professione era lo stracciarolo.
Quando invece si vuole limitare l'insulto nel tempo passato, ma non fino ad arrivare a lontani antenati, si usa la forma "'tacci tua e de tu' nonno". In particolare la locuzione "e de tu' nonno" viene usata per controbattere da chi ha ricevuto l'insulto e riversarlo su chi l'ha proferito. (Dice uno: «Li mortacci tua!» e l'altro replica: «...e de tu' nonno!»)
Un'ulteriore forma estesa dell'ingiuria precedente è "li mortacci tua e de tu' nonno in cariola"."li mortacci tua e de tu nonno 'n cariola co le zampe de fora" che deriva dalla necessità che si verificava in occasioni di epidemie di aggiungere nell'ala sistina dell'[[Arcispedale di Santo Spirito in Saxia]] altri letti al centro della corsia chiamate "cariole". La parolaccia quindi è rivolta all'avo morto in soprannumero.<ref>{{Cita web |url=http://www.romasegreta.it/ospedale-s.spirito.html |titolo=Cfr. Ospedale Santo Spirito |accesso=13 marzo 2013 |dataarchivio=12 dicembre 2012 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121212010300/http://www.romasegreta.it/ospedale-s.spirito.html |urlmorto=sì }}</ref> Ancora, nell'uso vernacolare trasteverino fu presente, sino agli anni cinquanta, "... e de tu' nonno in cariola intint'ar piscio", e cioè "intinto nella sua urina", a rimarcare ancor più severamente la vecchiaia degli antenati evocati, addirittura incontinenti.
L'espressione può essere [[enfasi|enfatizzata]], divenendo ''L'anima de li mortacci tua'', ''L'anima de li mejo mortacci tua''.<ref>Luca Desiato, ''Il marchese del Grillo'', Newton Compton Editori, 2011 p.61</ref>
Nell'uso diffuso l'espressione sta prendendo anche un significato meno incisivo, col significato di ''mannaggia a te''.
Va infine segnalata un'espressione del romanesco minore, delle periferie, certamente in uso nelle periferie dal II dopoguerra, intesa a sgombrare il campo d'uso dell'invettiva e dell'espressione esclamativa da ogni e qualsiasi offesa nei confronti sia degli antenati del locutore, sia degli antenati dell'interlocutore: "mortacci de Pippo".<ref>Roberto Benigni, ''E l'alluce fu: monologhi & gag'', Einaudi, 1996 p.111</ref> In tal caso Pippo è indicazione di un "terzo" astratto e generalizzato. L'insulto, insomma, è rivolto a terzi non identificati né identificabili, non suscettivi di reagire (altrimenti manescamente) all'offesa. Sul perché l'altro generico o generalizzato sia denominato "Pippo" vi sono possibili, ma non verificabili, interpretazioni.
Forma estesa dell'ingiuria precedente è "Li mortacci [sui e] de Pippo affumicato".
==La "metafisica" de "''li mortacci tua''"==
Questa "classica" parolaccia romana<ref>P. Carciotto - G. Roberti ''"L'anima de li mottacci nostri - Parolacce, bestemmie inventate, modi di dire e imprecazioni in bocca al popolo romano"'' - Grafiche Reali Ed.</ref> assume contrastanti significati a seconda del tono, delle sembianze [[Viso|faccia]]li e delle posture [[corpo umano|corpo]]rali che ne accompagnano l'espressione: può infatti significare, se accompagnata da un viso che manifesta meraviglia, sentimenti positivi di ammirazione, sorpresa e compiacimento per un evento fortunato o straordinario («Li mortacci tua, ma quanto hai vinto?»); oppure, con un viso ilare, gioia ed affetto per un incontro inaspettato e gradito («Li mortacci tua, ma 'ndo se' stato finora?»); oppure ancora comunicare sentimenti sia negativi che neutri: con un viso dall'aspetto contrariato o sconsolato, con un tono della voce alterato o sommesso, può rivelare, nello stesso tempo, rabbia o desolazione («Li mortacci tua, ma ch'hai fatto?»).
La consistenza "materiale" della parolaccia, il contenuto stesso infamante sparisce, diviene "metafisico", di fronte agli stati d'animo con cui viene pronunciata, e solo questi sono veramente reali.
In tutti questi casi la parolaccia diviene ininfluente, non è offensiva ma è come un rafforzativo, l'equivalente di un [[punto esclamativo]], alle parole che seguono all'[[invettiva]]: tant'è vero che può essere rivolta anche a sé stessi («Li mortacci mia, quant'ho magnato!»).
La stessa parolaccia<ref>P. Carciotto - G. Roberti op.cit.</ref> può significare stati d'animo del tutto negativi, come [[rancore]], [[odio (sentimento)|odio]] o [[dolore]], se accompagnata da un aspetto del viso adeguato ma in tutti i casi citati, la parolaccia non è rivolta tanto ad offendere gli antenati defunti del soggetto a cui è indirizzata - offesa di cui forse questi potrebbe anche non risentirsi - quanto usata come [[locuzione]] generica rivolta alla persona stessa: nel senso che può essere indirizzata anche verso chi, magari per la giovane età, non ha defunti prossimi di cui onorare la memoria.
==La parolaccia nei sonetti del Belli==
{{E|si direbbe [[WP:IR|ingiusto rilievo]]. Nonostante l'importanza del Belli, non è Dante Alighieri, e qui si riporta appena il fatto (normalissimo) che scrivendo in un romanesco di registro basso usa l'espressione: ci si meraviglierebbe del contrario. In nessuno dei sonetti citati è così pregnante da meritare risalto (a differenza, semmai, del famosissimo verso scritto da [[:s:La scoperta de l'America/L|Pascarella]]...).|linguistica|arg2=letteratura|aprile 2023}}
Un illustre precedente della [[parolaccia]] non poteva non trovarsi nel cantore della romanità plebea [[Giuseppe Gioachino Belli]].
Un rancore frustrato e rassegnato esprime, ad esempio, l'espressione nel [[sonetto]] ''Li cancelletti'', nel quale un popolano maledice bonariamente il Papa Re [[Leone XII]], reo di aver proibito il consumo di alcolici all'interno dei locali:
{{Citazione|''Non ha nient'altro a cui pensare questo Santo Padre,''<br />
''possano averne bene '''li mortacci sui''',''<br />
''e quella santa [[fregna]] di sua madre?''|
Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 155, ''Li cancelletti'', datato 2 ottobre 1831|
''Ne pô ppenzà de ppiú sto Santopadre,''<br />
''pôzzi avé bbene '''li mortacci sui'''''<br />
''e cquella santa freggna de su’ madre?''|[[dialetto romanesco|ROM]]}}
L'espressione può indicare anche diffidenza, ostilità, livore, risentimento come nel caso del sonetto n. 792, ''Er vecchio'', in cui un frequentatore di teatro rivolge l'insulto alle forze dell'ordine, in questo caso ai Carabinieri, rei di voler cacciare i disturbatori dal teatro:
{{Citazione|''Ma adesso questi scheletri<ref>I Carabinieri</ref> e '''li mortacci loro'''''<br />
''ci vorrebbero, secondo l'usanza delle donne ebree,''<br />
''ricucire la bocca all’ago d’oro<ref>Cioè, come facevano le donne del ghetto ebraico, che si diceva fossero capaci di ricucire due panni talmente bene che non si fosse poi in grado di vederne la cucitura</ref>.''|
Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 792, ''Er vecchio'', datato 20 gennaio 1833|''Ma mmo sti schertri e '''li mortacci loro'''''<br />
''sce vorríano a l’usanza de l’ebbrea''<br />
''ricuscicce la bbocca all’aco d’oro.''|[[dialetto romanesco|ROM]]}}
Impazienza e fastidio esprime la stessa espressione nel sonetto 251, ''Er falegname cor regazzo'', in cui un vecchio falegname redarguisce duramente un garzone che non riesce a seguire le sue istruzioni:
{{Citazione|''Fammi il piacere, ma che stai facendo!,''<br />
''cosa seghi, per l’amor di Dio!''<br />
''Non lo vedi che dritto non ci riesci ad andare,''<br />
'''''mannaggia a li mortacci di tuo zio'''?''|
Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 251, ''Er falegname cor regazzo'', datato 21 dicembre 1831|''Famme la carità, ma cche tte fai!,''<br />
''cosa te freghi, pe l’amor de Ddio!''<br />
''Nu lo vedi che ddritto nun ce vai,''<br />
'''''mannaggia li mortacci de tu’ zio'''?''|[[dialetto romanesco|ROM]]}}
Dispetto, irritazione, stizza esprime nel sonetto n. 2052, ''L'incontro der ladro'', in cui la voce narrante racconta l'incontro con un ladro, piccolo e basso, che però riesce a scappare:
{{Citazione|''"E allora tu non l'hai preso di petto?!"''<br />
''"Che ci vuoi fare, '''mannaggia li mortacci sui'''!,''<br />
''mi è scappato via per il vicoletto".''|
Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 2052, ''L’incontro der ladro'', datato 9 dicembre 1844|''"E allora tu nu lo pijjassi in petto?!"''<br />
''"Che vvòi, '''mannaggia li mortacci sui'''!,''<br />
''me se messe a scappà pp’er vicoletto".''|[[dialetto romanesco|ROM]]}}
== Varianti linguistiche ==
=== Varianti regionali italiane ===
L'espressione è diffusa anche in altre regioni:
* In [[Puglia]] l'espressione analoga è: ''li murte tuue'' o "chi t'è mmurte" (molto simile al Campano), in [[Salento]] è ''li muèrti tua/li morti toi''<ref>{{Cita web |url=http://www.unmondoditaliani.com/consiglio-regionale-del-molise-ki-te-muort-20131009.htm |titolo=Consiglio regionale del Molise |accesso=29 maggio 2018 |dataarchivio=29 maggio 2018 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180529202920/http://www.unmondoditaliani.com/consiglio-regionale-del-molise-ki-te-muort-20131009.htm |urlmorto=sì }}</ref> (con la possibile accezione "''li muèrti de mammata/sirda/fraita/sorda''" -madre/padre/fratello/sorella- o la variante "''chi t'ha 'mmuertu''" -anche questo con plurime variazioni a seconda della zona, con rafforzamenti quali "''chi t'ha stramuertu''", "''li muerti toi squagghiati''" o apparenti paradossi quali "''chi t'ha 'vvivu''", ove i "bersagli" della vittima sono i parenti ancora in vita). La frase in base al contesto e a ciò che vuole esprimere può variare e al posto di ''tuue'' si aggiunge ''d'mammat'' (in [[lingua italiana|italiano]]: di tua [[madre]]), ''d'attand'' (di tuo [[padre]]), ''d'i studc'' (degli stupidi).
* In [[Basilicata]] la più semplice tra le espressioni analoghe è "chi t'è murt". Così come nel resto d'Italia, anche nei dialetti lucani esistono molte varianti: il rafforzamento più diffuso è "chi t'è stramurt"; è comune variare l'oggetto con, ad esempio, "i murt de mamt/attant/sort/fratt/mglert/marett/ziant/cugnt/feglt" ("i morti di tua/o madre/padre/sorella/fratello/moglie/marito/zio o zia/cugino o cugina/figlio o figlia") o con "i murt de chi t'è murt" ("i morti dei tuoi morti", per riferirsi a morti eventualmente sconosciuti all'interlocutore, ma cari ai suoi morti). In talune zone, il verbo essere è sostituito dal verbo avere ("chi t'ha murt", "chi t'ha stramurt", "i murt de chi t'ha murt"). Si menziona infine, in una sola variante, la forma più rara e scherzosa "chi t'è stramelamurt" (i migliori tra i tuoi morti).
* In [[Campania]]: ''chi t'è mmuort'' con la variante rafforzativa ''chi t'è stramuort''. Variante bonarie e non offensiva sono ''chi t'è vvivo'' (chi ti è vivo) e'' chi t'è viecch'' (chi ti è vecchio). La chiamata dei morti è detta [[murtiata]].
* In [[Calabria]]: ''chi t'è mmuartu'' o anche ''chi t'è stramuartu'', “i miglij morta toj”.
* In [[Veneto]]: ''va a remengo ti e i to' morti'', che abbreviato diventa ''ti e i to' morti'', con varianti di pronuncia locali di pura origine fonetica come ''ti ta morti''
=== Varianti internazionali ===
* ''Me cago en tus muertos'' oppure semplicemente ''tus muertos'' sarebbero i corrispondenti in [[lingua spagnola|spagnolo]].<ref>[https://www.urbandictionary.com/define.php?term=Tus+muertos ''Urban Dictionary'']</ref>
* ''Futu-ți morții mă-tii!'' o la versione abbreviata ''Morții mă-tii!'' (letteralmente «Vorrei fottere li mortacci di tua madre») è il corrispondente in [[lingua romena|romeno]].<ref>[http://www.youswear.com/index.asp?language=Romanian Youswear]</ref>
== Musica ==
* L'espressione è citata nella canzone ''Serenata'' di [[Pierangelo Bertoli]] ("[[Frammenti (Pierangelo Bertoli)|Frammenti]]", [[1983]])
* L'espressione è citata nella canzone ''Testardo'' di [[Daniele Silvestri]] ("[[Occhi da orientale - Il meglio di Daniele Silvestri|Occhi da Orientale]]", [[2000]])
* Gli [[Elio e le Storie Tese]] hanno scritto la canzone ''Li immortacci'' (in [[Eat the Phikis]]), descrizione in dialetto di "cantanti feretri", cioè musicisti immortali come [[Jimi Hendrix]] (er Chitara/Er Voodoochildaro), [[Freddie Mercury]] (er Mafrodito), [[Bob Marley]] (er Rastamanno) e [[Elvis Presley]] (er Pelvicaro).
* In ''Avventura con un travestito'' di [[Franco Califano]]<ref>{{Cita web |url=http://testicanzoni.mtv.it/testi-Franco-Califano_39579/testo-Avventura-con-un-travestito-2661546 |titolo=Testo |accesso=17 ottobre 2018 |dataarchivio=17 ottobre 2018 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20181017123636/http://testicanzoni.mtv.it/testi-Franco-Califano_39579/testo-Avventura-con-un-travestito-2661546 |urlmorto=sì }}</ref>
* L’espressione è citata nella canzone ''Mortacci tua'' di [https://www.trovacd.it/MC0.asp?DB=bar&CC=602577599309&PR=9&brano=Mortacci%20Tua Myss Keta]
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* P. Carciotto - G. Roberti ''"L'anima de li mottacci nostri - Parolacce, bestemmie inventate, modi di dire e imprecazioni in bocca al popolo romano"'' - Grafiche Reali Ed.
* Roberto Piumini, ''Libro delle parolacce'', EditoreFabbri - Bompiani - Etas - Sonzogno, Collana I girini, 2000
* Valentino De Carlo, ''Piccolo manuale della parolaccia. Istruzioni per l'uso pubblico e privato'', Ed. La Spiga-Meravigli – 1993
* Valentino De Carlo, ''Gran libbro de la parolaccia (Er)'', Editore: Meravigli, Collana: Biblioteca romana, ISBN 8879540343
* ''Ditelo in latino. Insulti, ingiurie, contumelie dell'Antichità romana'', Longanesi 1982
{{Portale|Roma}}
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