Giuseppe Di Matteo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Annullata la modifica di 93.187.30.35 (discussione), riportata alla versione precedente di Rojelio
Riga 32:
Oltre a praticare l’[[equitazione]] a livello agonistico, il piccolo Di Matteo “passava ore” a seguirla in televisione. “Aveva studiato il metodo equestre che aveva fatto scuola nel campo, quello di [[Federico Caprilli]] (…) [e] il suo sogno era quello di saltare a [[piazza di Siena]] con i colori della Nazionale. La gara che lo appassionava di più era la ‘potenza’, una serie di salti a eliminazione in cui vinceva chi riusciva a saltare più in alto”<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|p=318}}</ref>. “Al galoppatoio lo conoscono tutti. Ha già vinto alcune gare e tantissimi premi: è il più piccolo ed è molto promettente. È la mascotte del maneggio di [[Villabate]]”<ref name="Sabella" />. Al XXVIII Concorso Ippico Internazionale di [[Marsala]] (22-28 maggio 1992), vince la coppa a cui teneva maggiormente.
 
L’altra grande passione di Giuseppe era un passatempo che lo accomunava a molti altri bambini della sua generazione (ed anche di quelle successive): i videogiochi. I primi li ricevette in dono per Natale dai familiari. Uno degli ultimi, invece, gli fu donato da [[Giovanni Brusca]] in persona, durante la latitanza che questi trascorse protetto dai Di Matteo nella loro tenuta. A proposito il fratello minore di Giuseppe, Nicola, ricorda: “un giorno arrivò [[Giovanni Brusca]], a me e mio fratello Giuseppe regalò un [[Nintendo]], è ancora a casa da qualche parte, quanto ci abbiamo giocato nei due mesi che rimase a casa nostra con la sua compagna. Allora non sapevo che fosse un [[Mafia|mafioso]] latitante, non sapevo neanche del ruolo di mio padre”.<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/cronaca/2017/05/23/news/di_matteo_mio_fratello_sciolto_nell_acido_ma_alla_fine_la_mafia_ha_perso_-166146532/|titolo=Di Matteo: "Mio fratello sciolto nell'acido ma alla fine la mafia ha perso"|sito=la Repubblica|data=2017-05-23|lingua=it|accesso=2022-04-11}}</ref> Tra le ragioni del grande sconvolgimento morale provocato nell’opinione pubblica dal delitto Di Matteo, vi è il fatto che Brusca ordinò ed eseguì il sequestro e l'uccisione spietata di un bambino con cui di fatto aveva avuto un rapporto di amicizia, avendo familiarizzato e allegramente giocato con lui per diverso tempo.
 
La giocosità e affettuosità del piccolo Giuseppe è attestata anche dai ricordi scolastici dell’amica Mariella, con cui aveva organizzato scherzi e partecipato ad escursioni e gare. Mariella racconta così di quando per scherzo avevano nascosto le merende di tutti i compagni di classe<ref name=":0">{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|p=253}}</ref> e di quando, sul pullman che li portava in gita scolastica ad [[Agrigento]] avevano cantato le loro canzoni preferite. Quella di Giuseppe era ''Vita mia'' di [[Amedeo Minghi]], ma Giuseppe amava molto anche le [[Canto popolare|canzoni della tradizione popolare]] siciliana, come ''Si maritau Rosa'', di cui cantava a squarciagola il ritornello<ref name=":0" />. La stessa Mariella ricorda, infine, come grazie al sostegno dell’amico ella aveva trovato la forza di partecipare alla gara di mezzofondo che si era tenuta ad [[Altofonte]] nei primi anni novanta alla presenza del loro compaesano [[Salvatore Antibo]]<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=313-314}}</ref>, negli anni ottanta uno dei corridori di fondo migliori del mondo.
Riga 59:
Il giudice [[Alfonso Sabella]], che indagò sulla scomparsa di Giuseppe Di Matteo e fece da pubblico ministero al processo, ha tra l’altro appurato, sulla base di testimonianze di collaboratori di giustizia, che il caso del piccolo Di Matteo ebbe una parte nel suicidio di [[Vincenzina Marchese]], moglie di [[Leoluca Bagarella]] e cognata di [[Salvatore Riina|Totò Riina]]. Entrata in depressione per aver subito due aborti e per la vergogna di essere sorella di [[Giuseppe Marchese (criminale)|Pino Marchese]], “il primo ‘corleonese’ pentito ed il collaboratore di giustizia più odiato dalla famiglia Riina”<ref>Sabella, Cacciatore, op. cit., p. 64.</ref>, la donna rimane “profondamente turbata, come gran parte del popolo di [[Cosa nostra]], dalla storia del piccolo Giuseppe Di Matteo”<ref>''Ibidem''.</ref>. Si convince così “che non avere figli sia una sorta di castigo di Dio, una punizione per il rapimento di quel ragazzino innocente eseguito dagli uomini di suo marito. Il [[Boss (mafia)|boss]] giura alla moglie che il bambino non è stato ucciso. E in effetti, in quella data, dice la verità. Ma lei non gli crede. E, tra mille tormenti, si toglie la vita”.<ref>''Ibidem.''</ref>
 
Lo stesso responsabile del fatto [[Giovanni Brusca]], una volta divenuto collaboratore di giustizia, ha dichiarato che, pur essendosi reso autore e/o mandante di un numero di omicidi e crimini così alto da non riuscire nemmeno a ricordarlo, nessuno di essi gli ha attirato addosso così tanto ribrezzo e gli ha provocato così tanto disagio quanto l'uccisione del piccolo Giuseppe: “Sono diventato ‘il mostro’ per avere commesso questo delitto. Forse non lo sarei diventato se mi fossi limitato a uccidere il [[Giovanni Falcone|dottor Falcone]] e sua [[Francesca Morvillo|moglie]] … Nelle aule dei processi … la mia ricostruzione, se possibile, è stata ancora più minuziosa, più puntigliosa più ricca di particolari che per tutti gli altri crimini … Ogni volta che in dibattimento mi hanno rivolto domande su Giuseppe Di Matteo ho perso la calma, spesso il mio autocontrollo, la mia sicurezza espositiva. Serve a qualcosa vergognarsi quando si è fatto uccidere un ragazzino che poteva essere tuo figlio? Non lo so. So, di sicuro, che per me sarebbe meglio non parlarne”<ref>Saverio Lodato, op. cit.</ref>.
 
Sul fronte opposto, quello della Magistratura, il giudice [[Alfonso Sabella]] ha ammesso di non essere stato sempre capace di gestire emotivamente il racconto dello strangolamento e dello scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe: “La drammatica vicenda di Giuseppe Di Matteo mi ha colpito in maniera particolare. Nel corso della mia esperienza professionale ho (…) ascoltato centinaia e centinaia di racconti di violenze terribili, di omicidi efferati, di corpi squagliati nell'acido, di orrende mutilazioni e di quanto di più atroce possa commettere la bestia umana. E non mi sono mai tirato indietro, tranne che in un'occasione”, quando, appunto, si trattò di raccogliere la deposizione di uno degli ultimi carcerieri ed esecutori materiali dell’omicidio e dello scioglimento nell’acido del piccolo Di Matteo: Enzo Brusca, fratello di Giovanni. Giunti al punto in cui Brusca si accingeva a dare la sua versione dell’omicidio, il giudice Sabella lo fermò: «Senta Brusca, ho già sentito questa storia (…) da [[Giuseppe Monticciolo|Monticciolo]], da [[Vincenzo Chiodo|Chiodo]] e, de relato, da suo fratello [[Giovanni Brusca|Giovanni]]. La dovrò sentire altre quattro volte in dibattimento. Lei ha letto l'ordinanza di custodia cautelare che le è stata notificata. Mi dica solo una cosa: ci sono grandi differenze rispetto a quello che c'è scritto lì?». «No, solo qualche dettaglio.» «E allora mi risparmi il resto della storia. Lo racconterà direttamente in Corte di Assise»”. Sabella sapeva che in questa maniera era “venuto meno” a un suo dovere di magistrato, ma confessa: “non ce la facevo più a sentire quel racconto”. E aggiunge un particolare estremamente significativo: nessuno degli avvocati dei mafiosi sotto processo “solleverà mai eccezioni su quel mio comportamento”: “anche per loro non era facile confrontarsi con quella vicenda (…). In fondo, prima che professionisti, siamo tutti uomini”.<ref>Sabella, op. cit., pp. 176-177.</ref> A narrare in un libro-intervista gli ultimi mesi del sequestro, la morte e lo scioglimento dell’acido di Giuseppe Di Matteo, sarà poi anche uno dei carcerieri e degli esecutori materiali dell’omicidio, Giuseppe Monticciolo, affiliato a [[Cosa nostra]] e poi divenuto [[collaboratore di giustizia]].<ref>Giuseppe Monticciolo (con Vincenzo Vasile), ''Era il figlio di un pentito''. Milano, Bompiani, 2007. Su Monticciolo, v. anche il profilo che ne ha disegnato il giudice Sabella, op. cit., pp. 120-122.</ref>