Monastero di Lispida: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
L'età moderna fino ai giorni nostri: inserimento immagine, bibliografia, voci correlate, collegamenti esterni
Voci correlate: aggiunta voce, sezione delle cave e bibliografia
Riga 52:
 
La villa ha pianta rettangolare e si dispone su due piani: al piano terra troviamo un [[bugnato]] rustico in cui si inseriscono delle aperture a [[Arco a tutto sesto|tutto sesto]], i portali e le [[Bifora|bifore]] con [[oculo]] all’imposta. In corrispondenza di queste sono impostate al piano superiore delle ulteriori bifore a [[Arco a sesto acuto|sesto acuto]], il tutto coronato da [[Merlo (architettura)|merlature ghibelline]] sostenute da archetti ciechi. Il complesso presenta due torri adiacenti al corpo di fabbrica principale, entrambe a pianta quadrata: una ha angoli smussati che la rendono ottagona nella parte sommitale, mentre sull’altra sono addossati gli annessi rustici. Infine, l’adiacenza ortogonale, sempre a due piani, presenta un segmento loggiato a doppio fornice. Il complesso è costituito da portali turriti e terrazzamenti del terreno che contribuiscono a suggerire l’idea di [[castello]] come tipologia architettonica.<ref>{{Cita libro|titolo=Ville venete - la provincia di Padova|edizione=1. ed|collana=Ville venete|data=2001|editore=Marsilio|ISBN=978-88-317-7761-2}}</ref>
 
== Cave e "priare" del monte Lispida ==
Strettamente legate alla storia del monastero di Santa Maria di Lispida sono le vicende del Monte Lispida e delle sue cave. Il monte, che si intravede sulla destra percorrendo la strada da Padova a Monselice, poco oltre il centro di Battaglia, ha sempre ricoperto un importante ruolo economico nella vita del monastero; la comunità religiosa ricavava infatti numerosi proventi dal territorio circostante. In epoca medievale a sud del monte era presente un lago posto sotto il controllo dell’ordine religioso che i monaci sfruttavano per la pesca, affittandone inoltre la [[concessione]] ai locali.<ref name=":3">{{Cita libro|autore=Maria Chiara Billanovich|titolo=Attività estrattiva negli Euganei: le cave di Lispida e del Pignaro tra Medioevo ed età moderna|anno=1997|editore=Deputazione di storia patria per le Venezie|città=Venezia}}</ref> Le [[Zona umida|zone umide]] erano inoltre sfruttate per la coltivazione della ''“pavera”'', o canna lacustre, utilizzata per la realizzazione di [[Stuoia|stuoie]]. Lungo le pendici del monte si coltivavano anche la vite, l’olivo e innumerevoli altri alberi da frutto. I boschi, alternati ai prati, fornivano legname, foraggio per il bestiame e costituivano una discreta [[riserva di caccia]]. Tuttavia, la risorsa di maggior ricchezza e quella per la quale il monastero godeva di particolare rilievo era la pietra. Il monte Lispida infatti ospita dei giacimenti di [[trachite]] da taglio e in pezzame, estratta da cave coltivate lungo i versanti del colle.<ref>{{Cita libro|nome=Giamberto|cognome=Astolfi|nome2=Gianfranco|cognome2=Colombara|titolo=Geologia e paleontologia dei Colli Euganei|collana=Guide Programma|data=1990|editore=Editoriale Programma|ISBN=978-88-7123-074-0}}</ref> La qualità dei giacimenti di trachite del monte deriva dal fatto che è l’unico tra i [[Colli Euganei]], oltre a [[Montemerlo]] e alla [[Rocca di Monselice]], a presentare sia la trachite da taglio, che si presenta in blocchi integri, compatti e di dimensioni lavorabili, sia a pezzatura di medie e piccole dimensione, originata dalla fratturazione dei blocchi di pietra. Alcuni studiosi individuano l’attivazione delle cave del monte già in [[Storia romana|epoca romana]]<ref>{{Cita libro|autore=Giuseppe Furlanetto|titolo=Le antiche lapidi patavine illustrate|anno=1847|editore=Tipografia Penada|città=Padova}}</ref>, ma il periodo di massimo sfruttamento e di più ampia diffusione della sua pietra è riconducibile ai secoli XV e XVI. I documenti che riguardano le cave del monte Lispida delle prime fasi del monastero sono piuttosto scarsi: è attestata la presenza di un’attività estrattiva tra l'XI e il XII secolo, sono presenti gli appelli redatti dai monaci e indirizzati al pontefice Gregorio IX, nei quali si chiedeva di porre fine ai soprusi perpetuati dalle autorità di Padova nei confronti dei monaci per il possesso delle cave e sappiamo che la disputa tra autorità religiose e laiche per affermare chi dovesse avere il controllo del monte Lispida è una costante per tutta la sua storia. A partire dal Quattrocento la documentazione si fa più ricca: dalla metà del secolo risultano attive sette cave, situate sui versanti occidentale e meridionale, mentre dalla fine del Cinquecento, a seguito dell’attivazione delle cosiddette ''“valli di Monselice”'' il loro numero scenderà. Tre ''“priare”'' si trovavano lungo la strada che da sud, conteggiando il monte, saliva verso il monastero, una era prossima ad una via d’acqua, utilissima per il trasporto della pietra estratta, un’altra denominata ''“Priara Magna”'', e due adiacenti al monastero e alla chiesetta. Le fonti ci informano che su queste ultime due cave il monastero esercitava un controllo più diretto, in modo che l’attività estrattiva non influisse e disturbasse le regolari attività svolte all’interno del cenobio.
 
Le pietre estratte erano prevalentemente di due tipi: massi informi di notevole peso utilizzati dai veneziani per la realizzazione di difese a mare e di [[Murazzi (Venezia)|murazzi]] (dal Quattrocento la [[Repubblica di Venezia|Serenissima]] inizia a sfruttare a pieno regime le cave di Lispida, la cui pietra è affiancata al calcare d’Istria nella realizzazione di opere a mare) o pietra estratta di maggiore pregio soggette ad attività di sgrezzatura, sbozzatura, e squadratura eseguite in cava e successivamente utilizzata per costruzioni, pavimentazioni e ornamenti.<ref name=":3" /> Dal Cinquecento all’estrazione della trachite inizia ad affiancarsi anche l’estrazione del [[calcare]], utilizzato soprattutto come materia prima per la produzione di calce necessaria per l’edilizia locale e anche per Padova. Alle cave lavoravano i ''“maestri priaroli”'' o ''“lapicide”'', a cui si affiancavano lavoratori meno qualificati e bassa manodopera che provenivano generalmente dai paesi limitrofi. I lavoratori vivevano in poveri ripari nelle zone adiacenti alle cave e il necessario alla sussistenza era fornito loro dai monaci del convento. Era sottoposto a controllo il numero di animali che i cavatori potevano possedere ed era loro vietato vivere con una donna; il monastero aveva facoltà di chiedere delle prestazioni di opera gratuite qualora ce ne fosse necessità e di vietare la raccolta di legna nei boschi di pertinenza del monastero.<ref name=":3" /> Tutto questo è sintomo della forte autorità che il monastero esercitava sui cavatori di pietra e, in generale, del controllo su tutte le attività che avvenivano sul monte Lispida.
 
La documentazione scritta relativa alle tecniche di estrazione della trachite e all’attrezzatura utilizzata è piuttosto numerosa, dato che il monastero mirava ad un alto controllo della produzione, auspicabilmente ottenibile con la minor spesa possibile. La pietra veniva estratta utilizzando sia la tecnica del taglio dall’alto, e successivo distacco tramite mazza e cunei, sia la tecnica del franamento, operata con picconi e grosse leve. Il materiale veniva sbozzato e preliminarmente lavorato già in cava da degli [[Taglio della pietra|scalpellini]]; l’attrezzatura necessaria apparteneva ai lavoratori (solo in rari casi è attestato appartenesse al monastero) e i piazzali prospicenti le zone di estrazione e lavorazione della pietra non andavano modificati in alcun modo e dovevano rimanere puliti e sgomberi da tutti gli scarti di lavorazione. La gestione dell’attività di cava da parte dei monaci è stata per gran parte della sua storia una gestione diretta: il cenobio affidava ad un maestro ''priarolo'' in concessione, tramite un contratto, la gestione di una cava, mentre il prezzo e la vendita della trachite spettava al priore o a colui che designava per quell’incarico. Con il subentro dei monaci Gerolamini nel monastero, la gestione del monte diventò indiretta: essi appaltarono le cave ad un qualche imprenditore che gestiva in completa autonomia il lavoro e la vendita del materiale. I gestori della cave si rivelarono essere esponenti dell’[[Élite (sociologia)|élite]] cittadina padovana e veneziana che, in questo modo, potevano espandere la loro rete di affari e di interessi verso l’entroterra e le zone rurali. Le ingerenze dei privati imprenditori, con il passare dei decenni e poi dei secoli, si fecero sempre più pesanti, tanto che i documenti riportano una serie di lamentele da parte dei religiosi che dureranno fino alla soppressione del monastero di Santa Maria di Lispida.
 
Una parte importante della storia delle cave del monte Lispida riguarda il loro rapporto con la Repubblica di Venezia. Un documento di metà Quattrocento attesta la stipula di un accordo tra i funzionari addetti alla gestione e alla realizzazione delle difese a mare della Laguna, i gestori della cave del monte Lispida e il priore del monastero, fatto che aveva reso la Serenissima il maggiore acquirente della trachite proveniente da queste cave.<ref>{{Cita libro|autore=Ivone Cacciavillani|titolo=Le leggi veneziane sul territorio 1471-1789. Boschi, fiumi, bonifiche e irrigazioni|anno=1984|editore=Signum|città=Limena}}</ref> Gli accordi, che imponevano il divieto della vendita a privati della pietra destinata a Venezia (le cave erano quindi fondamentali per la città e per la strategia militare veneziana), furono il tentativo da parte della Serenissima di instaurare una sorta di [[monopolio]]. I contratti regolavano anche la navigazione lungo i canali che portavano alle cave, in modo che le operazioni di trasporto fossero il più agevoli possibile.
 
Una delle fortune delle cave del monte Lispida risiede nel fatto che esse si trovavano nelle vicinanze della fitta rete di canali che permettevano un rapido collegamento con tutti i centri urbani maggiori e con il mare. Le pietre, una volta estratte, venivano trasportate con dei carri fino ad un canale denominato ''“canal de Arqua”'', che scorreva lambendo le pendici meridionali del monte. Le ''“pietre da lido”'' erano portate fino in località Pizzon, ad est di Battaglia, dove venivano trasbordate su imbarcazioni più grandi e fatte viaggiare fino alla laguna di Venezia. Questo tratto venne interrato, con forti conseguenze per il trasporto della pietra, nel 1562, a seguito del ''“retratto di Monselice”'', ovvero un’ampia bonifica della zona, che impose un importante riassetto idraulico della zona.<ref name=":3" />
 
== Note ==
Riga 57 ⟶ 68:
 
== Bibliografia ==
 
* {{Cita libro|autore=Giamberto Astolfi|autore2=Gianfranco Colombara|titolo=Geologia e paleontologia dei Colli Euganei|collana=Guide Programma|anno=1990|editore=Editoriale Programma}}
 
* {{Cita libro|autore=Maria Chiara Billanovich|titolo=Attività estrattiva negli Euganei: le cave di Lispida e del Pignaro tra Medioevo ed età moderna|anno=1997|editore=Deputazione di storia patria per le Venezie|città=Venezia}}
* {{Cita libro|autore=Ivone Cacciavillani|titolo=Le leggi veneziane sul territorio 1471-1789. Boschi, fiumi, bonifiche e irrigazioni|anno=1984|editore=Signum|città=Limena}}
 
* {{Cita libro|autore=Giannino Carraro|titolo=Insediamenti monastici della riviera euganea (in territorio monselicense) nel Medioevo: S. Giovanni Evangelista di Montericco, S. Michele di Bagnarolo, S. Maria di Lispida, S. Maria di Monte delle Croci|anno=1995|editore=Benedictina|città=Roma}}
* {{Cita libro|autore=Giuseppe Furlanetto|titolo=Le antiche lapidi patavine illustrate|anno=1847|editore=Tipografia Penada|città=Padova}}
* {{Cita libro|curatore=Andrea Gloria|titolo=Codice diplomatico padovano: dall'anno 1101 alla pace di Costanza (25 giugno 1183)|anno=1879|città=Venezia}}
* {{Cita libro|autore=Cesare Vignati|titolo=Storia diplomatica della Lega Lombarda|anno=1997|editore=Iuculano}}
Riga 67 ⟶ 82:
 
* [[Monselice]]
* [[Parco regionale dei Colli Euganei]]
 
== Collegamenti esterni ==