Monastero di Lispida: differenze tra le versioni

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Strettamente legate alla storia del monastero di Santa Maria di Lispida sono le vicende del monte Lispida e delle sue cave. Il monte, che si intravede sulla destra percorrendo la strada da Padova a Monselice, poco oltre il centro di Battaglia, ha sempre ricoperto un importante ruolo economico nella vita del monastero; la comunità religiosa ricavava infatti sostanziosi proventi dal territorio circostante. In epoca medievale a sud del monte era presente un lago posto sotto il controllo dell'ordine religioso che i monaci sfruttavano per la pesca, affittandone inoltre la [[concessione]] ai locali.<ref name=":3">{{Cita libro|autore=Maria Chiara Billanovich|titolo=Attività estrattiva negli Euganei: le cave di Lispida e del Pignaro tra Medioevo ed età moderna|anno=1997|editore=Deputazione di storia patria per le Venezie|città=Venezia|pp=2-57}}</ref> Le [[Zona umida|zone umide]] erano inoltre sfruttate per la coltivazione della ''"pavera"'', o canna lacustre, utilizzata per la realizzazione di [[Stuoia|stuoie]]. Lungo le pendici del monte si coltivavano anche la vite, l'olivo e innumerevoli altri alberi da frutto. I boschi, alternati ai prati, fornivano legname, foraggio per il bestiame e costituivano una discreta [[riserva di caccia]].<ref name=":5" />
 
Tuttavia, la risorsa di maggior ricchezza e quella per la quale il monastero godeva di particolare rilievo era la pietra. Il monte Lispida infatti ospita dei giacimenti di [[trachite]] da taglio e in pezzame, estratta da cave coltivate lungo i versanti del colle.<ref name=":5">{{Cita libro|nome=Giamberto|cognome=Astolfi|nome2=Gianfranco|cognome2=Colombara|titolo=Geologia e paleontologia dei Colli Euganei|collana=Guide Programma|data=1990|editore=Editoriale Programma|pp=19-46|ISBN=978-88-7123-074-0}}</ref> La qualità dei giacimenti di trachite del monte deriva dal fatto che è l'unico tra i [[Colli Euganei]], oltre a [[Montemerlo]] e alla [[Rocca di Monselice]], a presentare sia la trachite da taglio, che si presenta in blocchi integri, compatti e di dimensioni lavorabili, sia a pezzatura di medie e piccole dimensionedimensioni, originata dalla fratturazione dei blocchi di pietra. Alcuni studiosi individuano l'attivazione delle cave del monte già in [[Storia romana|epoca romana]]<ref>{{Cita libro|autore=Giuseppe Furlanetto|titolo=Le antiche lapidi patavine illustrate|anno=1847|editore=Tipografia Penada|città=Padova|p=95}}</ref>, ma il periodo di massimo sfruttamento e di più ampia diffusione della sua pietra è riconducibile ai secoli XV e XVI. I documenti che riguardano le cave del monte Lispida delle prime fasi del monastero sono piuttosto scarsi: è attestata la presenza di un'attività estrattiva tra l'XI e il XII secolo, sono presenti gli appelli redatti dai monaci e indirizzati al pontefice Gregorio IX, nei quali si chiedeva di porre fine ai soprusi perpetuati dalle autorità di Padova nei confronti dei monaci per il possesso delle cave e sappiamo che la disputa tra autorità religiose e laiche per affermare chi dovesse avere il controllo del monte Lispida è una costante per tutta la sua storia.<ref name=":3" />
 
A partire dal Quattrocento la documentazione si fa più ricca: dalla metà del secolo risultano attive sette cave, situate sui versanti occidentale e meridionale, mentre dalla fine del Cinquecento, a seguito dell'attivazione delle cosiddette ''"valli di Monselice"'' il loro numero scenderà. Tre ''"priare"'' si trovavano lungo la strada che da sud, conteggiando il monte, saliva verso il monastero, una era prossima a una via d'acqua, utilissima per il trasporto della pietra estratta, un'altra denominata ''"Priara Magna"'', e due adiacenti al monastero e alla chiesetta. Le fonti ci informano che su queste ultime due cave il monastero esercitava un controllo più diretto, in modo che l'attività estrattiva non influisse e disturbasse le regolari attività svolte all'interno del cenobio.<ref name=":3" />