Guerra civile romana (49-45 a.C.): differenze tra le versioni

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== Descrizione ==
 
Molti storici concordano nel dire che la guerra civile fu una logica conseguenza di un lungo processo di decadenza delle istituzioni politiche di [[Repubblica romana|Roma]], iniziata con gli omicidi dei [[Tiberio Sempronio Gracco (tribuno della plebe 133 a.C.)|Gracchi]] nel 133 e 121 a.C.<ref name="Sheppard8">{{cita|Sheppard 2010|p. 8}}.</ref> e continuata con la riforma delle legioni di [[Gaio Mario]], che fu il primo a ricoprire molti incarichi pubblici straordinari inaugurando un esempio che saràfu poi seguito dai futurisuccessivi aspiranti dittatori della decadente repubblica, la [[guerra sociale]], lo [[Guerra civile romana (83-82 a.C.)|scontro tra mariani e sillani]] conclusosi con l'instaurazione della [[Dittatore romano|dittatura]] di [[Lucio Cornelio Silla]], nota per le [[liste di proscrizione]] emesse nel suo corso, ed infine nel [[primo triumvirato]].<ref name="Sheppard9-10">{{cita|Sheppard 2010|pp. 9-10}}.</ref> Questi eventi frantumarono le fondamenta della Repubblica, ed è chiaro che Cesare volse abilmente in suo favore l'opportunità offertagli dalla decadenza delle istituzioni, tanto che Cicerone disse di lui che aveva tutto, gli mancava solo la buona causa.<ref>{{cita|Spinosa 1986|p. 252}}.</ref>
{{Citazione|A quella causa [di Cesare] null'altro manca, che l'esser buona; abbonda di tutto il resto.|[[Marco Tullio Cicerone]], ''[[Epistulae ad Atticum]]'', VII, 3, 5 (9 dicembre 50 a.C.). Traduzione di Luigi Mabil<ref>{{Cita libro|autore= M.T. Cicerone|titolo=Le lettere, disposte per ordine dei tempi tradotte e corredate di note dal cav. Luigi Mabil col testo a fronte|url=https://archive.org/details/bub_gb_tDj0tGbJ1A8C/page/n143/mode/2up|città=In Padova|editore=dalla Tipografia e fonderia della Minerva|anno=1819|volume=6|pp=140-141|lingua=la, it}}</ref>|Causam solum illa causa non habet, ceteris rebus abundat.|lingua=la}}
 
Dopo aspri dissensi con il senato, Cesare varcò in armi il fiume [[Rubicone]], che segnava il confine tra la [[provincia romana|provincia]] della [[Gallia Cisalpina]] e il territorio dell'[[Italia romana|Italia]];<ref name="Rubicone"/> il senato, di contro, si strinse attorno a Pompeo e, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, decise di dichiarare guerra a Cesare ([[49 a.C.]]). Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono a [[battaglia di Farsalo|Farsalo]], dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Pompeo cercò quindi rifugio in Egitto, ma lì fu ucciso ([[48 a.C.]]). Anche Cesare si recò perciò in Egitto, e lì rimase coinvolto nella contesa dinastica scoppiata tra [[Cleopatra VII]] e il fratello [[Tolomeo XIII]]: risolta la situazione, riprese la guerra, e sconfisse il re del [[Ponto]] [[Farnace II del Ponto|Farnace II]] a [[Battaglia di Zela (47 a.C.)|Zela]] ([[47 a.C.]]). Partì dunque per l'[[Africa (provincia romana)|Africa]], dove i pompeiani si erano riorganizzati sotto il comando di Catone, e li sconfisse a [[Battaglia di Tapso|Tapso]] ([[46 a.C.]]). I superstiti trovarono rifugio in Spagna, dove Cesare li raggiunse e li sconfisse, questa volta definitivamente, a [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|Munda]] ([[45 a.C.]]).
 
Questa [[guerra civile]] aprì la strada alla fine della Roma repubblicana, a cui saràfu dato il colpo di grazia con la successiva [[guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio]] (terminata con la [[battaglia di Azio]] del [[31 a.C.]]).
 
=== Fonti e storiografia ===
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Cesare poté così programmare la fondazione di nuove colonie in Italia e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di [[concussione]] (''[[lex Iulia de repetundis]]''),<ref>''[[Digesto]]'', XLVIII,11.</ref> facendo approvare allo stesso tempo delle leggi che favorissero l{{'}}''ordo equestris'': con la ''[[Leges Iuliae#Lex Iulia de publicanis (59 a.C.)|lex de publicanis]]'' egli ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo stato, favorendo così le loro attività. Fece infine promulgare una legge che imponeva al senato di stilare le relazioni di ogni seduta (gli ''acta senatus'').<ref>{{cita|Svetonio|''Cesare'', 20.1}}.</ref> In questo modo Cesare si assicurava l'appoggio di tutta la popolazione romana, ponendo le basi per il suo futuro successo.<ref name="Consolato"/>
 
Terminato il consolato, grazie all'appoggio dei [[Primo triumvirato|triumviri]], Cesare ottenne con la ''[[Lex Vatinia]]'' del 1º marzo<ref>Proposta dal [[tribuno della plebe]] [[Publio Vatinio]], che poi saràfu [[legatus|legato]] di Cesare in [[Gallia]].</ref> il [[proconsole|proconsolato]] delle [[provincia romana|province]] della [[Gallia cisalpina]] e dell'[[Illirico romano|Illirico]] per cinque anni, con un [[esercito romano|esercito]] composto da tre [[legione romana|legioni]].<ref>{{cita|Carcopino 1981|p. 231}}.</ref> Poco dopo un [[senatoconsulto]] gli affidò anche la vicina provincia della [[Gallia Narbonense|Narbonense]],<ref>Provincia costituita nel [[121 a.C.]] che comprendeva tutta la fascia costiera e la valle del [[Rodano]], nelle attuali [[Provenza]] e [[Linguadoca-Rossiglione|Linguadoca]].</ref> il cui proconsole, [[Quinto Cecilio Metello Celere]], era morto all'improvviso,<ref>{{cita|Carcopino 1981|p. 232}}.</ref> e una quarta legione.<ref>{{cita|Keppie 1998|pp. 80-81}} ritiene che la ''[[legio X (Cesare)|legio X]]'' fosse posizionata nella capitale della [[Gallia Narbonense]], [[Narbona]].</ref>
 
Il patto triumvirale venne rinnovato nell'aprile del [[56 a.C.]] in un incontro tra i tre triumviri a [[Lucca]], nella [[Gallia cisalpina]]. In questi giorni memorabili questa cittadina toscana, a nord del fiume Arno, «si trasformò nel vero centro del mondo, che i triumviri, nuovamente concordi, si spartirono decidendone il destino».<ref name="Sheppard11"/><ref>{{cita|Carcopino 1981|pp. 296-297}}; {{cita|Cicerone, ''Epistulae ad Atticum''|IV, 8b.2}}; {{cita|Appiano|''Le guerre civili'', II, 17}}; {{cita|Plutarco|''Cesare'', 21.2; ''Pompeo'', 51.2-3}}; {{cita|Svetonio|''Cesare'', 24}}.</ref> Ecco come descrive [[Plutarco]] l'accordo tra i tre:
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{{Vedi anche|Battaglia di Munda (45 a.C.)}}
[[File:Caesar campaigns from Rome to Munda-fr.svg|thumb|left|upright=1.4|La terza fase in Spagna ([[45 a.C.]]).]]
[[File:Battle of Munda, 45 BC (Initial deployment of troops).jpg|thumb|left|upright=1.4|Disposizione iniziale delle truppe sul campo di battaglia di Munda , 45 a.C.]]
 
La pace ristabilita dopo Tapso si rivelò quanto mai precaria, e già sul finire del [[46 a.C.]] Cesare fu costretto a recarsi in Spagna, dove i pompeiani si erano ancora una volta riorganizzati sotto il comando dei superstiti della guerra d'Africa, i due figli di Pompeo, [[Gneo Pompeo il Giovane|Gneo il Giovane]] e [[Sesto Pompeo|Sesto]], e Tito Labieno. Si trattò della più difficile e sanguinosa di tutte le campagne della lunga guerra civile, dove l'abituale clemenza lasciò il passo a efferate crudeltà da ambo le parti. La guerra si concluse con la [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|battaglia di Munda]], nell'aprile del [[45 a.C.]], dove Cesare affrontò finalmente i suoi avversari sul campo, e li sconfisse irreparabilmente. Si trattò, comunque, della più pericolosa delle battaglie combattute da Cesare, che arrivò persino a disperare della vittoria e a pensare di darsi la morte.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 36}}.</ref>
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[[File:Cesar-sa mort.jpg|thumb|upright=1.6|[[Vincenzo Camuccini]], ''[[Morte di Giulio Cesare]]'', 1798, [[Roma]], [[Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea|Galleria Nazionale di Arte Moderna]].]]
 
Furono erette sue statue a fianco di quelle degli antichi re ed ebbe un trono d'oro in senato e in [[TribunatoTribuno della plebe|tribunato]]. Una mattina su una sua statua d'oro collocata presso i rostri venne posto un [[diadema]], ritenuto simbolo di regalità e di schiavitù. Due tribuni della plebe, Lucio e Gaio, sconcertati, fecero togliere il diadema e accusarono Cesare di volersi proclamare [[rex (storia romana)|re di Roma]], ma questo convocò immediatamente il senato e accusò a sua volta i tribuni di aver posto il diadema per screditarlo e renderlo odioso agli occhi del popolo, che lo avrebbe percepito come il detentore di un potere illegale: i due tribuni vennero dunque destituiti e sostituiti. Ancora più importante fu l'episodio dei ''[[Lupercalia|Lupercali]]'', un'antica festa durante la quale uomini di ogni età, in vesti succinte, percorrevano le strade dell'Urbe muniti di strisce di pelle di capra con cui colpire chi si trovavano di fronte. Mentre Antonio guidava la processione per il Foro, Cesare vi assisteva dai rostri: gli si avvicinò dunque Licinio, che depose ai suoi piedi un diadema d'oro; il popolo, allora, esortò il ''magister equitum'' Lepido a incoronare Cesare, ma questo esitava. Allora, [[Gaio Cassio Longino]], che era a capo della congiura che si andava tessendo contro lo stesso Cesare, fingendosi benevolo, glielo pose sulle ginocchia assieme a [[Publio Servilio Casca Longo]]. Al gesto di rifiuto di Cesare, accorse infine Antonio, che gli pose il diadema sul capo e lo salutò come re; Cesare lo rifiutò e lo gettò via, dicendo di chiamarsi ''Cesare'' e non ''re'', ricevendo così gli applausi del popolo, ma Antonio lo ripose per una seconda volta. Visto il turbamento che si era nuovamente diffuso nel popolo tutto, Cesare ordinò di mettere il diadema sul capo della statua di [[Giove (divinità)|Giove Ottimo Massimo]], la maggiore divinità romana.<ref>{{cita|Plutarco|''Cesare'', 60-61.1-6}}; {{cita|Nicola di Damasco|''Vita di Augusto'', 20-21}}.</ref>
 
Cesare nominò consoli per il [[44 a.C.]] sé stesso e il fidato Marco Antonio, e attribuì invece la pretura a [[Marco Giunio Bruto]] e [[Gaio Cassio Longino]].<ref>{{cita|Plutarco|''Cesare'', 56.1}}.</ref> Quest'ultimo, spinto anche dalla delusione causatagli dal non aver ottenuto il consolato, si fece interprete dell'insofferenza di ampia parte della ''nobilitas'', e incominciò a organizzare una congiura anticesariana. Trovò l'appoggio di molti uomini, tra cui molti dei pompeiani passati dalla parte di Cesare, e anche alcuni tra coloro che erano sempre stati al fianco dello stesso Cesare a partire dalla guerra di Gallia, come [[Gaio Trebonio]], [[Decimo Giunio Bruto Albino]], [[Lucio Minucio Basilo]] e [[Servio Sulpicio Galba (pretore 54 a.C.)|Servio Sulpicio Galba]].<ref name="Congiura">{{cita|Canfora 1999|cap. XXXIV, ''L'"eteria" di Cassio e l'arruolamento di Bruto''}}.</ref>