Giuseppe d'Arimatea: differenze tra le versioni
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Secondo le consuetudini [[storia romana|romane]] i cadaveri dei giustiziati erano lasciati decomporre sulla croce alla mercé degli animali – e poi sepolti senza cerimonie pubbliche e in una fossa comune<ref group=Nota>Questo anche per evitare che la tomba potesse diventare meta di pellegrinaggi da parte di eventuali seguaci del condannato.</ref> – come deterrente per chi osava sfidare Roma; non vi è neppure una prova documentale di un'eccezione da parte di un governatore romano<ref group=Nota>Ma ve ne sono molteplici in senso opposto, sulla spietata crudeltà dei Romani in merito ai crocifissi, per esempio in Orazio (Satire ed epistole), Giovenale (Satire), Artemidoro da Efeso, Petronio (Satyricon).</ref> e tantomeno [[Ponzio Pilato]], noto per la sua fermezza e crudeltà. Questo, in particolare, nel caso di crocifissioni di rivoltosi; il cadavere, in situazioni del tutto eccezionali, poteva essere richiesto solo da un familiare, che doveva avere una certa influenza presso i Romani.<ref name="ref_A">Bart Ehrman, ''Jesus apocalyptic prophet of the new millennium'', Oxford University Press, 1999, pp. 224-225,229-232, ISBN 978-0-19-512474-3.</ref><ref>{{cita|Ehrman 2017|pp. 132-143}}.</ref> Anche lo studioso [[John Dominic Crossan]], tra i cofondatori del [[Jesus Seminar]], rileva come l'episodio riportato dallo storico [[Flavio Giuseppe]] – che descrive il suo intervento direttamente presso il generale romano, e futuro imperatore, [[Tito (imperatore)|Tito]] per potere deporre tre suoi parenti che aveva scoperto essere stati crocifissi durante le guerre romano-giudaiche – dimostri che solo se molto influenti si poteva ottenere la sepoltura di un cadavere di un parente crocifisso. Flavio Giuseppe, che aveva frequentato anche l'imperatore [[Vespasiano]], era infatti al servizio dei romani come interprete e godeva di una certa influenza; quindi la regola era che «se uno era influente, non veniva crocifisso, e se veniva crocifisso, non aveva influenza sufficiente per ottenere la sepoltura».<ref>{{cita|Crossan 1994|pp. 156–159, 188–194, 196}}; {{cita|Crossan 1995|pp. 160–176,187–188}}; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, p. 179, 1976.</ref> Diversi studiosi rilevano tuttavia che le norme religiose ebraiche prevedevano che i condannati a morte, per motivi di purità, venissero sepolti nel giorno stesso dell’esecuzione<ref>Vedi [[Deuteronomio]] 21, 22-23</ref>, pertanto i Romani, che rispettavano le usanze locali, lasciavano che ciò avvenisse, tranne nei casi di esecuzioni di massa effettuate in seguito alla repressione di rivolte popolari, che tuttavia rappresentavano l’eccezione e non la norma. La sepoltura dei giustiziati doveva essere effettuata in fretta e senza i consueti riti funebri (corteo, lamenti, ecc.).<ref name=Grasso>Santi Grasso, ''Il Vangelo di Giovanni'', Città Nuova, 2008, pp. 746–748; Antonio Lombatti, ''Inchiesta sulla Bibbia'', pp. 226–228.</ref> Secondo la legge ebraica, i condannati a morte da un tribunale giudaico non potevano essere sepolti nelle tombe di famiglia, ma dovevano essere tumulati in una tomba predisposta dalla corte di giustizia. Nel caso dei condannati a morte dai Romani, i familiari potevano invece richiedere il corpo. La consegna della salma non era però un diritto, ma una concessione che poteva avvenire di volta in volta a discrezione dell'autorità romana; in alternativa, il cadavere era portato nel luogo destinato alle sepolture dei criminali. La possibilità di ottenere il corpo del condannato sembra attestata dal ritrovamento archeologico di una tomba di famiglia sul [[monte Scopus]], vicino a Gerusalemme, in cui sono stati rinvenuti i resti dello scheletro di un uomo crocifisso; secondo vari studiosi, è plausibile che la richiesta del corpo di Gesù, proveniente da un giudeo autorevole come Giuseppe di Arimatea, sia stata accolta favorevolmente.<ref name=Grasso /><ref>Charles Perrot, ''Jesus'', PUF, Paris, 1998, p. 115.</ref> Altri storici, come [[John Dominic Crossan|Crossan]], sottolineano, però, come sia stato rinvenuto un solo cadavere di un crocifisso sepolto in Palestina, nonostante le migliaia di crocifissioni di ribelli durante le varie rivolte ebraiche e le tre maggiori rivolte messianiche (per esempio il solo legato romano [[Publio Quintilio Varo|Varo]], dopo la morte di [[Erode il Grande|Erode]], crocifisse oltre duemila ribelli e il governatore [[Gessio Floro|Floro]], nel 66 altri tremilaseicento<ref group="Nota">Anche durante l'[[Assedio di Gerusalemme (70)|assedio e la distruzione di Gerusalemme]], nel 70, Flavio Giuseppe annota come gli ebrei venissero «crocifissi di fronte alle mura» e «ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più [...] e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime».</ref>); questo unico rinvenimento, stante anche l'attività degli archeologi israeliani, dimostra come la sepoltura di un crocifisso fosse un'assoluta eccezione.<ref>{{cita|Crossan 1994|pp. 156-159}}; {{cita|Crossan 1995|pp. 167-168, 188}}.</ref>
La figura di Giuseppe di Arimatea non compare negli ''[[Atti degli Apostoli
Secondo alcuni studiosi, non è verosimile che Giuseppe di Arimatea, come sostiene il ''Vangelo secondo Matteo'', si fosse fatto costruire una tomba a [[Gerusalemme]]: per gli Ebrei era importante essere sepolti nella propria terra nativa con i loro padri che, nel caso di Giuseppe e dei suoi familiari, era la città di [[Arimatea]], identificabile come l'attuale [[Rantis]], a oltre trenta chilometri da Gerusalemme. Anche se non si può escludere che, risiedendo ormai a Gerusalemme, Giuseppe di Arimatea potesse avere acquistato un sepolcro in questa città,<ref>Gianfranco Ravasi, ''I Vangeli del Dio risorto'', San Paolo, 1995</ref> alcuni commentatori ritengono che l'autore del ''Vangelo secondo Matteo'' abbia voluto sottolineare la realizzazione della profezia di Isaia (53,9) secondo cui nella sua morte il messia sarebbe stato con il ricco.<ref>[http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+53%3B+Matteo+1%3A21%3B+Romani+3%3A21-26%3B+Ebrei+9%3A15&versioni]; [https://dehoniane.it/contents/testimoni/20030723a.htm Il servo trasfigurato]</ref> Inoltre, se Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, come riportato nei vangeli, avessero toccato il cadavere o il sepolcro – a causa dell'impurità contratta<ref group=Nota>L'impurità di sette giorni è richiamata per esempio in {{Cita passo biblico|Nm19,11; Nm31,19}}.</ref> non avrebbero potuto festeggiare l'imminente Pasqua: per analogo motivo, infatti, i capi dei giudei la stessa mattina non vollero entrare nel pretorio durante il processo a Gesù di fronte a Pilato<ref>''Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e potere mangiare la Pasqua'' ({{Cita passo biblico|Gv18,28}}).</ref> Alcuni studiosi ritengono tuttavia verosimile che Giuseppe di Arimatea si sia limitato a dirigere le operazioni di sepoltura, evitando il contatto diretto con il cadavere, fonte di contaminazione per un giudeo osservante.<ref>John J. Donahue, Daniel J. Harrington, ''The Gospel of Mark'', The Liturgical Press, 2002</ref>
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== Nella cultura di massa ==
Giuseppe d'Arimatea viene citato all'interno di ''[[Steel Ball Run]]'', settima serie del [[manga]] ''[[Le bizzarre avventure di JoJo
== Note ==
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