Franco Freda: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Metakosmios (discussione | contributi)
Riga 112:
nuovo spiraglio sulla trama nera? Deve rispondere di tentata estorsione contro Forziati|pubblicazione=L'Unità|data=28 gennaio 1973|url=https://archivio.unita.news/assets/main/1973/01/28/page_002.pdf}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2012/05/31/NZ_36_01.html|titolo=Quella strage mancata alla materna slovena|sito=Archivio - Il Piccolo|data=31 maggio 2012|accesso=}}</ref>
 
All'inizio del 1972, [[Marco Pozzan]], stretto collaboratore di Freda, aveva confidato agli inquirenti di una serie di incontri, avvenuti con Freda in cui sarebbero stati decisi e progettati una serie di attentati terroristici realizzati poi nel corso dell’anno 1969 – quelli di aprile a Milano, quelli di agosto sui treni, quelli di ottobre, sino a quelli del 12 dicembre -; in uno di questi incontri, quello tenuto il 18 aprile 1969, avrebbero partecipato, oltre ovviamente a Freda e Ventura, anche altre due elementi di spicco: [[Pino Rauti]] del Movimento Sociale Italiano e un giornalista membro dei servizi segreti<ref>{{Cita web|url=https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/strage-piazza-fontana-9189b08b|titolo=Piazza Fontana: un buco nel muro, le armi nascoste. E la pista nera decolla davvero|autore=Mario Consani|data=30 novembre 2019}}</ref>. Nel marzo 1972, i magistrati di Treviso fanno arrestare Freda, Ventura e Rauti ma quest’ultimo verrà scarcerato il mese successivo a seguito di un alibi fornito da alcuni giornalisti de [[Il Tempo]], testata giornalistica per la quale lavorava Rauti. Nel frattempo, Pozzan, ormai testimone “scomodo” – si rese irreperibile fuggendo a [[Madrid]], in [[Spagna]], con l’aiuto del capitano del Sid [[Antonio Labruna]], sotto il falso nome di «Mario Zanella», lo stesso nome con cui comparirà anni dopo [[Appartenenti alla P2|nella lista degli iscritti della P2]]. Prima della sua fuga Pozzan, attribuì a Freda anche l’esecuzione di un ulteriore attentato: quello verificatosi il 15 aprile 1969 all’[[Università degli Studi di Padova|Università di Padova]], dove Pozzan lavorava come bidello, in cui venne collocato un ordigno (circa mezzo etto di esplosivo) nello studio del rettore e professore di giurisprudenza [[Enrico Opocher]], ex insegnante nonché relatore di tesi di Freda<ref>{{Cita web|url=https://a4view.archivioflamigni.org/entita/a6756220-adaa-4298-9d79-65b1b74f63d2/Freda,%20Franco/informazioni|titolo=Franco Freda|sito=Archivio Flamigni}}</ref>. Casualmente Opocher non era presente al momento dell'esplosione. Non ci furono feriti né vittime ma i danni furono ingenti<ref>{{Cita web|url=https://www.rassegnapenitenziaria.it/rassegnapenitenziaria/cop/747126.pdf|titolo=Piazza Fontana: dopo l'evento più nero, il processo più lungo nella storia della Repubblica Italiana|autore=Stefano D'Auria|pp=70-71}}</ref>.
 
Quello stesso anno, più precisamente il 6 ottobre 1972, l'[[Brigata paracadutisti "Folgore"|ex parà]] Ivano Boccaccio, 21 anni, militante di Ordine Nuovo, tentò di dirottare il volo BM 373 Trieste-Venezia-Ancona-Foggia-Bari, operato con un [[Fokker F27]] della [[Aero Trasporti Italiani|ATI]], consociata dell'[[Alitalia]], con 7 passeggeri e 3 membri di equipaggio chiedendo, in cambio degli ostaggi, la liberazione di Freda più 200 milioni di lire per finanziare il movimento neofascista e un velivolo per poter fuggire a [[Il Cairo]]. Dopo ore di trattative i passeggeri furono liberati in cambio di carburante, approfittando della situazione riuscirono a fuggire anche i membri dell'equipaggio e Boccaccio resta ucciso in una sparatoria con la polizia all'interno dell'aereo stesso ritornato sullo scalo di [[Ronchi dei Legionari]]. Nel 1975 i militanti Vincenzo Vinciguerra e [[Carlo Cicuttini]], già autori insieme a Boccaccio della [[strage di Peteano]] avvenuta nel maggio di quello stesso anno, furono inquisiti e processati per aver organizzato con Boccaccio il tentativo di dirottamento: vennero assolti in primo grado, ma condannati in appello nel 1976.