Canzone al Metauro: differenze tra le versioni
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La dolente meditazione si serve di uno stile magniloquente, intonato a quel "sublime" che informa anche la "Gerusalemme liberata". Non a caso prevalgono gli austeri endecasillabi, rispetto ai più morbidi e musicali settenari; frequenti enjambements (per esempio "non niega/ .....riposo", v.11-12; "cruda /e cieca dèa", vv.14-15) spezzano il ritmo lirico, sottolineando i momenti più meditativi o l'addensarsi dei concetti; anafore in funzione enfatizzante sono presenti qua e là, come ai vv. 45-46 con due significati di "amarezza" prima e "fanciullezza" poi. Il lessico è rivestito di una patina aulica, con impiego sistematico di latinismi (chiaro, aure, egra), termini letterari (m'appiattì, risalda) e citazioni (con sospir mi rimembra), perifrasi eloquenti (per designare per esempio la Fortuna: cruda / e cieca dèa, vv. 14-15; ingiusta e ria, v. 24). Un intero verso petrarchesco (il già menzionato " con sospir mi rimembra", v. 34) viene con naturalezza incastonato entro il discorso poetico. Impreziosiscono il dettato chiasmi (egro e morto / la tomba e il letto, vv. 56-58), antitesi (piccolo / glorios, v.2; sepolcro / cuna, v.28) e altre figure retoriche, come l'ipallage aggettivale " per solingo calle/ notturno" (vv.17-18).
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