Miko: differenze tra le versioni
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La tradizione delle miko risale alle antiche ere del Giappone. In tempi remoti le donne che entravano in [[trance (psicologia)|trance]], dando voce alle parole del Dio, venivano chiamate miko (sacerdotesse), in maniera non dissimile alle sacerdotesse dell'[[Oracolo di Delfi]].<ref name=saku />
Più avanti, "miko" diventò il termine per indicare le giovani donne al servizio di altari e templi shintoisti. Erano spesso le figlie dei [[kannushi]], sacerdoti incaricati di prendersi cura di uno dei santuari. I ruoli della miko includevano l'esibizione in danze cerimoniali<ref name = iniz>Sokyo Ono, ''Iniziazione allo Shintoismo'', Roma, Edizioni Mediterranee
È piuttosto difficile dare una definizione precisa dell'equivalente occidentale alla parola giapponese "miko", comunque "vergini dell'altare", per quanto impropria<ref name = iniz />, è quella usata più di frequente. Altri termini sono stati usati come succedanei, quali profetesse, medium, sacerdotesse, suore, streghe. I giapponesi definiscono le miko come saishi (sacerdotesse), tuttavia ci sono diversi gradi e ordini che distinguono le miko dai sacerdoti e sacerdotesse chiamati kannushi, e dipendono esclusivamente dall'organizzazione del santuario e dalle leggi in vigore. Quindi le miko non hanno lo stesso grado di autorità di un sacerdote (kannushi), per quanto possano ricoprire gli incarichi di un chierico anziano se non c'è disponibile alcun sacerdote. Le uniche eccezioni a questa norma avvenivano in antichità, quando le profezie rivelate dalle miko erano considerate come ispirate dalla stessa voce dei [[Kami]] (le divinità).
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