Giovanni Gronchi: differenze tra le versioni
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== Biografia ==
=== Giovinezza ed istruzione
<ref>{{Cita web|url=https://www.lanotiziagiornale.it/presidenti-della-repubblica-italiana-tutte-le-mogli-e-i-figli/|titolo=Presidenti della Repubblica italiana: tutte le mogli e i figli|autore=Fabrizio Capecelatro|sito=LA NOTIZIA|data=2022-01-22|lingua=it-IT|accesso=2023-06-15}}</ref>Suo padre, Sperandio, era contabile di un panificio e, per arrotondare, faceva il piazzista di salumi<ref name=vigorelli>Piero Vigorelli, ''L'uomo di sinistra che invece svoltò a destra'', ''[[Il Messaggero]]'', 18 ottobre 1978.</ref>. Militò nelle organizzazioni giovanili cattoliche, assumendo incarichi direttivi ed esprimendo simpatia per le tesi moderniste di [[Romolo Murri]]<ref name="cita-MontanelliCervi-1989-p16-MontanelliCervi">{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 16
=== Fondazione del Partito Popolare Italiano ed esordi in politica ===
Il 18 gennaio [[1919]] Gronchi partecipò alla riunione di fondazione del [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]], convocata da [[Luigi Sturzo|don Luigi Sturzo]] all'albergo Santa Chiara di [[Roma]]<ref name=vigorelli/> e, dopo il primo congresso svoltosi a Bologna dal 14 al 16 giugno dello stesso anno, entrò a far parte della direzione del partito; nello stesso anno venne eletto deputato. Nel [[1920]] venne chiamato a dirigere la [[Confederazione italiana dei lavoratori]] di orientamento cattolico; l'anno dopo venne eletto per la seconda volta alla [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]].
Sottosegretario all'Industria nel [[governo Mussolini]], si dimise dall'incarico allorché il PPI uscì dalla maggioranza governativa ([[1923]]). Nel [[1924]] Gronchi, insieme a [[Giuseppe Spataro]] e [[Giulio Rodinò]], fece parte del [[triumvirato]] che resse il Partito Popolare a seguito delle dimissioni di [[Luigi Sturzo]]<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 18
Nel [[1925]] gli fu attribuito un insospettabile elogio, da parte di [[Piero Gobetti]], sulla rivista ''[[La Rivoluzione liberale]]'': «Per uno spirito spregiudicato è una fortuna incontrare a un congresso popolare un uomo come Gronchi. Nessun altro cattolico ha la sua finezza e agilità parigina, né la sua devozione al pensiero moderno, né il suo culto per lo spirito di contraddizione, provvidenza e sale della società»<ref name=vigorelli/>.
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Eletto deputato all'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] ([[1946]]) e alla [[Camera dei deputati (Italia)|Camera dei deputati]] nel [[1948]] e nel [[1953]], Gronchi, insieme a [[Giuseppe Dossetti]], [[Amintore Fanfani]] e [[Giorgio La Pira]], fu il maggior esponente della corrente di sinistra del suo partito. In un convegno, organizzato a [[Pesaro]] nel 1948, giunse a definire la [[Elezioni politiche in Italia del 1948|vittoria elettorale del 18 aprile]] «il più grosso equivoco dei ceti conservatori, industriali e agrari» e fu immediatamente sconfessato da [[Alcide De Gasperi]]<ref name=vigorelli/>; quando replicò sulla ''[[Libertà (quotidiano)|Libertà]]'', a lui vicina, tale testata fu definita dalla direzione della DC «un quotidiano di opposizione»<ref name=vigorelli/>.
Fu eletto [[Presidente della Camera dei deputati (Italia)|Presidente della Camera dei deputati]] nella [[I legislatura della Repubblica Italiana|I]] e nella [[II legislatura della Repubblica Italiana|II legislatura]], forse per distoglierlo dalla politica attiva, in quanto titolare di una carica istituzionale<ref name=vigorelli/>. Ciò non gli impedì di assumere un atteggiamento critico verso il [[NATO|Patto Atlantico]]<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 27
[[File:Giovanni Gronchi presidente della Camera.jpg
=== Elezione alla Presidenza della Repubblica ===
[[File:Giuramento Gronchi.jpg|miniatura|destra|Il giuramento di Giovanni Gronchi come presidente della Repubblica Italiana, 11 maggio 1955]]
All'[[Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1955|elezione del Presidente della Repubblica del 1955]], il segretario nazionale della DC, Amintore Fanfani candidò il [[Presidente del Senato della Repubblica|Presidente del Senato]] [[Cesare Merzagora]], che non raccoglieva l'unanimità dei consensi del partito democristiano a causa delle divisioni interne in chiave antifanfaniana e [[Mario Scelba|antiscelbiana]]<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 20
[[File:Gronchi Scelba elezione.jpg
Al secondo scrutinio, la sinistra DC si espresse per Gronchi, che raggiunse 127 voti. Essendo allora chiaro il fallimento della candidatura Merzagora, anche i voti dell'opposizione di sinistra confluirono su Giovanni Gronchi (terzo scrutinio). Dopo un vano tentativo di convincerlo al ritiro, Fanfani fu costretto a candidare ufficialmente il [[Presidente della Camera dei deputati (Italia)|Presidente della Camera]] alla massima carica dello Stato. Il 29 aprile [[1955]], al quarto scrutinio, Gronchi venne eletto [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]] con 658 voti su 883, compresi i suffragi della destra monarchica<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 24
Come presidente della Camera, toccò a lui presiedere la seduta comune e leggere a voce alta le schede con il suo nome che via via gli venivano porte e continuò a leggerle fino alla fine. Si interruppe solo pochi istanti, quando un applauso del Parlamento segnò il raggiungimento del ''quorum''. Gronchi si alzò allora dallo scranno e, con in mano una scheda, ringraziò l'assemblea con un breve inchino. Poi sedette di nuovo e continuò a leggere le schede con una certa tensione della voce. Quando ebbe letto l'ultima scheda pregò al microfono il vicepresidente della Camera, [[Giovanni Leone]], di procedere allo scrutinio e di proclamare il risultato. Fra gli applausi si alzò e guadagnò l'uscita.
[[File:Gronchi Leone 1958.jpg
Leone ufficializzò poco dopo l'elezione del nuovo Capo dello Stato e ne venne poi eletto successore come presidente della Camera. Secondo il regolamento, quando Gronchi si alzò e si ritirò nel suo ufficio, anche il Presidente del Senato Merzagora – che gli era vicino – lasciò il posto al vice presidente del Senato, che sedette accanto al vicepresidente Leone<ref>L'analoga elezione di un altro Presidente della Camera a Capo dello Stato (quella di [[Oscar Luigi Scalfaro]] nel 1992) non vide ripetersi l'insolita scena, in quanto l'uomo politico, essendo a conoscenza del consenso dei grandi elettori sul suo nome, evitò di presiedere la seduta comune che l'avrebbe poi eletto Presidente della Repubblica, lasciando tale compito all'allora vicepresidente della Camera [[Stefano Rodotà]], che procedette all'intero scrutinio e proclamò il risultato.</ref>.
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[[File:Giovanni Gronchi 1961.jpg|thumb|left|Il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel 1961]]
Durante il suo mandato, Gronchi tentò di adottare una politica estera di equidistanza tra i blocchi, personale e parallela a quella governativa, ma trovò l'opposizione della [[Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale|Farnesina]] e dei [[NATO|governi alleati della NATO]]<ref>
{{Cita|MontanelliCervi 1989|pp. 112-113
Alla vigilia del suo viaggio per [[Washington]], dette un'intervista al ''[[The Christian Science Monitor]]'' in cui proponeva l'unione delle [[Storia della Germania dal 1945|due Germanie]] e la loro neutralizzazione per vent'anni; successivamente, all'insaputa del governo, Gronchi comunicò tale proposta all'ambasciatore sovietico Bogolomov, che si disse interessato, anche a nome del [[Unione Sovietica|Cremlino]]. Tale iniziativa – che avrebbe sicuramente trovato contrarietà negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] – suscitò la reazione negativa dei più influenti membri del governo (il presidente [[Antonio Segni]], il vice [[Giuseppe Saragat]] e il ministro [[Gaetano Martino]]): questi ultimi, in un tempestoso colloquio al Quirinale, costrinsero Gronchi a tornare sui suoi passi, proprio alla vigilia del suo viaggio a Washington<ref>{{Cita libro|autore=Sergio Romano|titolo=Guida alla politica estera italiana|città=Milano|editore=Rizzoli|anno=2002|pp=103-105}}</ref>.
[[File:Gronchi Jacqueline Kennedy 1962.jpg
Un altro momento acuto di crisi si ebbe nel marzo del [[1957]], quando il Presidente Gronchi scrisse personalmente una lettera indirizzata al presidente degli Stati Uniti [[Dwight D. Eisenhower|Dwight Eisenhower]] contenente rilevanti obiettivi di politica estera. La lettera fu redatta senza che fosse consultato preventivamente il governo, ma soltanto trasmessa per la controfirma successiva del ministro competente<ref name=fabrizio>Fabrizio Rossi Longhi, ''Il messaggio 'ritenuto' del presidente Gronchi al Presidente Eisenhower'', in: Marcello Saija (a cura di), ''Gaetano Martino. Scienziato, rettore, statista (1900-1967)''. Atti del Convegno internazionale di studi, Messina, 24-26 novembre 2000, Trisform, Messina, 2003.</ref>. Tale prassi, oltre ad essere irrituale<ref>Vittorio Zincone, ''Presidente e Governo'', ''[[Il Tempo]]'', 14 giugno 1957.</ref>, avrebbe ingenerato un pericoloso precedente interpretativo della [[Costituzione della Repubblica Italiana|norma costituzionale italiana]], autorizzando ''de facto'' il presidente della Repubblica ad indicare al governo le linee da adottare in politica estera. Onde evitare pericolosi «scivolamenti» verso il [[Repubblica presidenziale|presidenzialismo]], pertanto, l'allora Ministro degli Esteri [[Gaetano Martino]], previo scambio di note con il Presidente del Consiglio [[Antonio Segni]], decise di ritenere il messaggio del Capo dello Stato e di non inoltrarlo al destinatario statunitense<ref name=fabrizio/>.
[[File:Gronchi Dulles 1955.jpg
Gronchi, tuttavia, non rinunciò alla sua diplomazia personale, ma con esiti irrilevanti. Preparò con cura un suo viaggio a [[Mosca (Russia)|Mosca]] (febbraio [[1960]]), sperando di trovare un'interlocuzione sui suoi progetti di mediazione dell'Italia nei rapporti Est-Ovest e, soprattutto, sul problema tedesco, ma si trovò di fronte l'atteggiamento ironico e tracotante<ref>Silvio Bertoldi, ''L'italiano che seppe tener testa a Krusciov'', ''[[Oggi (periodico)|Oggi]]'', 26 gennaio 1961.</ref> di [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Nikita Krusciov]], che lo irrise di fronte alla stampa<ref>Sergio Romano, ''cit.'', pp. 113-114.</ref> provocando una messa a punto della diplomazia italiana a viaggio concluso. L'episodio è stato descritto da Tito Lucrezio Russo, in ''"Parla il Capo dello Stato''": «Con telespresso segreto del 15 febbraio 1960 diramato dalla Farnesina alle Ambasciate italiane operanti in ambito [[NATO|Nato]], avente per oggetto la visita del Presidente a [[Mosca (Russia)|Mosca]], fu sottolineato che il tono della discussione era stato polemico, pur non essendo mancati degli spunti costruttivi per il miglior chiarimento di alcune posizioni sovietiche. Krusciov – proseguì la nota – aveva accusato il Governo italiano di essere troppo legato alla politica americana, riferendosi anche alle installazioni di missili e, circa la [[Germania Ovest|Germania]], di essere troppo ligio alle tesi di [[Konrad Adenauer]]. Lo statista sovietico aveva prefigurato una confederazione dei due Stati tedeschi, subordinata all'irreale, preventiva rinunzia di uno di essi (chiaramente inimmaginabile per quello comunista) al proprio sistema politico–sociale, con [[Berlino]] come capitale ed avente lo status di "città libera". Alla precisa domanda di Gronchi se fosse giusto creare tale status senza sentire prima le popolazioni interessate, Krusciov aveva replicato: ''"Noi non siamo obbligati a sentire il parere di [[Berlino Ovest|Berlino occidentale]]"''».<ref>{{Cita libro|autore=Tito Lucrezio Rizzo|titolo=Parla il Capo dello Stato|città=Roma|editore=Gangemi|anno=2012|p=68}}</ref>
[[File:Gronchi Heuss 1957.jpg
Maggior successo, in politica estera, ebbe il suo appoggio personale alle aperture terzomondiste del ruolo economico dell'Italia operate dal presidente dell'[[Eni]], [[Enrico Mattei]], proprio in quegli anni<ref>Sergio Romano, ''cit.'', pp. 106-107.</ref>.
=== Tentativi di apertura a sinistra ===
Gronchi mirò ad inserire i [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] nella maggioranza parlamentare, ma ottenne effetti opposti, con conseguenze destabilizzanti.
[[File:Gronchi Merzagora Togliatti.jpg
Il suo dissenso con la linea politica del centrismo degasperiano si manifestò già al suo insediamento, quando tentò di accettare le dimissioni presentategli dal Presidente del Consiglio [[Mario Scelba|Scelba]] solo a titolo di cortesia<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 28
Nuove prospettive si aprirono dopo [[Rivoluzione ungherese del 1956|i fatti di Ungheria]], con la denuncia del patto d'unità d'azione da parte dei socialisti. Ma, alla caduta del primo governo Segni (maggio 1957), a seguito del ritiro dell'appoggio del [[Partito Socialista Democratico Italiano|PSDI]], l'unica soluzione alla crisi si profilò con la formazione di un monocolore democristiano, senza maggioranza precostituita. Gronchi tentò la strada del «[[governo del presidente]]» (già percorsa dal suo predecessore Einaudi, con il [[governo Pella]]), affidando l'incarico ad [[Adone Zoli]], un elemento non di spicco della DC, per guadagnarsi l'appoggio esterno dei socialisti. Tuttavia, le condizioni poste da [[Pietro Nenni]] per appoggiare il nuovo governo non poterono essere accettate dal Presidente del Consiglio incaricato<ref name="cita-MontanelliCervi-1989-pp71-74-MontanelliCervi">{{Cita|MontanelliCervi 1989|pp. 71-74
[[File:Giovanni Gronchi and Giulio Andreotti 1960 Olympics.jpg
[[Adone Zoli]] riuscì a ottenere la fiducia del [[Parlamento della Repubblica Italiana|Parlamento]] solo con l'appoggio dei monarchici e quello della destra neofascista, determinante, sia pure per un solo voto, alla [[Camera dei deputati (Italia)|Camera dei deputati]]; di conseguenza, il 10 giugno 1957 presentò le sue dimissioni, che furono accolte da Gronchi con riserva. Il Presidente della Repubblica, per risolvere nuovamente la crisi, inaugurò l'esperienza del mandato esplorativo, che affidò al Presidente del Senato [[Cesare Merzagora]], ma che si concluse con un nulla di fatto<ref name="cita-MontanelliCervi-1989-pp71-74-MontanelliCervi"/>. Onde evitare una situazione di ingovernabilità, quindi, Gronchi fu costretto a convincere Zoli a ritirare le dimissioni e a restare in carica fino al termine della legislatura (1958). La comunicazione di ciò alle Camere, da parte di Zoli, non comportò un nuovo voto di fiducia<ref name="cita-MontanelliCervi-1989-pp71-74-MontanelliCervi"/>.
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I risultati delle [[Elezioni politiche in Italia del 1958|elezioni politiche del 1958]] condussero alla formazione del [[Governo Fanfani II|secondo governo Fanfani]], composto da democristiani e socialdemocratici, con l'appoggio esterno dei repubblicani che, pur denominato di [[Centro-sinistra|centrosinistra]], vedeva i socialisti ancora all'opposizione. Tale esecutivo ebbe breve vita e andò in crisi il 15 febbraio [[1959]]. Gli successe un [[Governo Segni II|nuovo governo Segni]], monocolore con l'appoggio esterno del [[Partito Liberale Italiano|PLI]] e i voti (non determinanti) di monarchici e [[Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale|MSI]].
Nel 1960 Gronchi subì la personalità del capo dei servizi segreti militari (il [[Servizio informazioni forze armate|SIFAR]]), generale [[Giovanni de Lorenzo]], che aveva saputo conquistare la sua fiducia con lo spauracchio di un ipotetico rapimento del Capo dello Stato in [[Corsica]], asseritamente ordito da [[Randolfo Pacciardi]], già Ministro della Difesa, con la collaborazione dell'[[Organisation armée secrète|OAS]]<ref name=dl62>{{Cita libro|autore=Giuseppe De Lutiis|titolo=I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all'intelligence del XXI secolo|città=Milano|editore=Sperling & Kupfer|anno=2010|p=62}}</ref><ref>{{Cita|Trionfera 1968|pp. 17-18
[[File:Gronchi Ammiraglio Pecori Giraldi.jpg
Nel febbraio [[1960]], il PLI ritirò il suo appoggio al secondo governo Segni, che fu costretto a dimettersi. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di esponenti indicati dal partito di maggioranza relativa, Gronchi incaricò [[Fernando Tambroni]], suo uomo di fiducia della corrente di sinistra, con l'incarico di formare un nuovo «Governo del Presidente», senza una maggioranza predefinita, ma di apertura a sinistra. Il governo monocolore Tambroni ottenne la fiducia della [[Camera dei deputati (Italia)|Camera]] con il determinante appoggio esterno dei deputati del MSI. Immediatamente, i ministri [[Giorgio Bo]], [[Giulio Pastore]] e [[Fiorentino Sullo]], appartenenti alla sinistra della DC, si dimisero, costringendo Tambroni a fare altrettanto<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|p. 125
Il presidente Gronchi, nell'accettare le dimissioni dei tre, si riservò di decidere su quelle dell'intero governo e, nel frattempo, incaricò vanamente [[Amintore Fanfani]] di ricomporre una maggioranza di centro. Gronchi, allora, respinse le dimissioni di Tambroni e lo rimandò al [[Senato della Repubblica|Senato]] per completare la procedura del voto di fiducia, che questi ottenne, sempre con l'appoggio determinante dei missini<ref>{{Cita libro|autore=Benedetto Coccia (a cura di)|titolo=40 anni dopo: il sessantotto in Italia fra storia, società e cultura|città=Roma|editore=Editrice APES|anno=2008|pp=76-77}}</ref>. In tale occasione, Tambroni, modificando le dichiarazioni precedenti, affermò che l'esecutivo avrebbe provveduto soltanto all'ordinaria amministrazione fino all'approvazione dei bilanci, entro il 31 ottobre 1960.
[[File:Giuramento Governo Tambroni 1960.jpg
Dal Parlamento la tensione politica si diffuse nelle piazze poche settimane dopo, quando i missini decisero di convocare il sesto congresso del partito a [[Genova]], città da cui era partita l'[[Resistenza italiana|insurrezione del 25 aprile]]. Ciò produsse scontri in diverse città d'Italia, in particolare, nella stessa Genova, a [[Licata]] e a [[Reggio Emilia]], dove la polizia aprì il fuoco sui manifestanti, uccidendo cinque persone<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|pp. 128-140
[[File:Governo Fanfani III 1960.jpg
Solo dopo il Congresso nazionale di [[Napoli]], nel [[1962]], con Fanfani al Governo e con [[Aldo Moro]] alla segreteria, la [[Democrazia Cristiana]] approvò con ampia maggioranza la linea di collaborazione con il [[Partito Socialista Italiano]], in un dibattito al quale Gronchi fu estraneo. Subito dopo, Fanfani poté formare il suo [[Governo Fanfani IV|quarto governo]], questa volta di coalizione (DC-PSDI-PRI e con l'appoggio esterno del [[Partito Socialista Italiano|PSI]]), iniziando così l'esperienza delle maggioranze di [[Centro-sinistra "organico"|centrosinistra]].
=== Fine del mandato presidenziale e morte ===
Le tensioni fra Gronchi e gli esponenti principali del suo partito gli pregiudicarono la rielezione ad un secondo mandato, cui avrebbe ambito con l'appoggio del presidente dell'[[Eni]] [[Enrico Mattei]]. Secondo il giornalista [[Renzo Trionfera]], Mattei avrebbe messo a disposizione un miliardo di lire per corrompere alcuni parlamentari al fine di rieleggerlo<ref>Renzo Trionfera, ''op. cit.''.</ref>. Il segretario politico della [[Democrazia Cristiana]], [[Aldo Moro]], che non vedeva di buon occhio tali manovre, propose invece al partito la candidatura di [[Antonio Segni]], che fu [[Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1962|eletto Presidente della Repubblica]] al nono scrutinio ([[1962]])<ref>{{Cita|MontanelliCervi 1989|pp. 165-176
[[File:Giovanni Gronchi 1969.jpg
L'11 maggio [[1962]] cessò il settennato (il suo giuramento, infatti, era avvenuto l'11 maggio [[1955]]) e Gronchi divenne [[Senatore a vita (ordinamento italiano)|senatore di diritto e a vita]]. Morì il 17 ottobre del [[1978]], ma la notizia passò in secondo piano in quanto i giornali e i [[mass media]] furono completamente dedicati all'elezione di [[Papa Giovanni Paolo II|Karol Wojtyła]] quale nuovo Pontefice, avvenuta il giorno prima.
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