Papa Leone I: differenze tra le versioni
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Suo padre si chiamava Quintianus. Le prime evidenze storiche certe su Leone lo individuano come [[diacono]] della Chiesa romana sotto papa Celestino I e poi sotto il [[papa Sisto III]].
Durante questo periodo, comunque, era già noto al di fuori di Roma e aveva delle relazioni con la Gallia, poiché [[Giovanni Cassiano]] nel 430 o nel 431 scrisse, dietro suo suggerimento, ''De Incarnatione Domini contra Nestorium''<ref>[[Jacques-Paul Migne]], P.L., L, 9 sqq.</ref>, usando come prefazione una lettera di dedica a Leone. Intorno a questo periodo, [[Cirillo di Alessandria]] si appellò a Roma contro la posizione del patriarca Giovenale di Gerusalemme sulla giurisdizione [[patriarcato (cristianesimo)|patriarcale]] della [[Palestina]]. In base a un'affermazione di Leone riportata in due scritti successivi<ref>Ep. cxvi, ed. [[Pietro Ballerini|Ballerini]], I, 1212; II, 1528</ref> non è però chiaro se le lettere di Cirillo fossero inviate a lui quale diacono romano, o al [[papa Celestino I|papa]].
Verso la fine del pontificato di Sisto III, Leone fu inviato in Gallia dall'imperatore Valentiniano III per ricomporre una disputa e far riconciliare [[Flavio Ezio]], il comandante militare della [[provincia]], e il [[prefetto del pretorio]], [[Cecina Decio Aginazio Albino (console 444)|Cecina Decio Aginazio Albino]]: l'incarico è un'evidente prova della grande fiducia riposta nell'intelligente e capace diacono dalla corte imperiale.
Alla morte di Sisto III (19 agosto 440) Leone si trovava ancora in [[Gallia]], e fu acclamato all'unanimità dal popolo e dal clero come suo successore. Fu [[Ordine sacro|consacrato]] appena rientrato a Roma, il 29 settembre. Avrebbe guidato la Chiesa romana per i successivi ventun
=== Zelo per l'ortodossia ===
L'intento principale di Leone era quello di sostenere l'unità della Chiesa. Non molto dopo la sua elevazione alla cattedra di Pietro
[[File:Leo - Sermones, adi XXI di maggio MCCCCLXXXV - 2397763 S.jpg|thumb|''Sermones'']]
Leone intraprese una lotta ancora più grande contro il [[manicheismo]]. I manichei erano fuggiti dall'[[Africa (provincia romana)|Africa]] invasa dai [[Vandali]], si erano stabiliti a Roma
In questo periodo nella città di Roma vennero convertiti ed ammessi alla confessione un certo numero di manichei; coloro che si rifiutavano di abiurare, in ossequio agli editti imperiali, furono banditi. Il 30 gennaio 444 il papa inviò una lettera a tutti i vescovi italiani, alla quale allegò i documenti dei procedimenti istruiti nei confronti dei manichei romani. In questa lettera li esortava a rimanere vigili e a denunciare qualsiasi manicheo<ref>Ep. VII.</ref>. Il 19 giugno 445 l'imperatore [[Valentiniano III]], probabilmente su insistenza del papa, emise un editto in cui stabiliva sette punizioni per i manichei<ref>''Epist. Leonis'', ed. Ballerini, I, 626; ep. VIII ''inter Leon. ep.''.</ref>.
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=== Il primato della sede di Roma ===
La disorganizzatissima condizione ecclesiastica di alcuni paesi obbligò relazioni più strette tra quegli episcopati e Roma per una migliore promozione della vita ecclesiastica. Leone, con questo obiettivo bene in vista, decise di utilizzare il vicariato papale dei [[Arcidiocesi di Arles|vescovi di Arles]] per la provincia di Gallia per creare un centro di aggregazione dell'episcopato gallico in stretta comunione con Roma. Patroclo di [[Arles]] (morto nel 426) aveva ricevuto dal [[papa Zosimo]] il riconoscimento del [[primate (ecclesiastico)|primato]] sulla Chiesa di Gallia, e tale primato venne poi fortemente rivendicato dal suo successore Ilario di Arles, che entrò in conflitto con Leone. Ilario si avvalse eccessivamente della sua autorità sulle altre [[provincia ecclesiastica|province ecclesiastiche]], ed affermò che tutti i vescovi avrebbero dovuto essere consacrati da lui, invece che dal loro [[metropolita]].
Quando, per esempio, fu resa pubblica la lamentela che Celidonio, [[Arcidiocesi di Besançon|vescovo di Besançon]], era stato consacrato in violazione del canone (si diceva che, come laico, avesse sposato una vedova e, come pubblico ufficiale, avesse dato il suo assenso ad una sentenza di morte), Ilario lo depose, e consacrò Importuno quale suo successore. Celidonio si recò di persona a Roma e si appellò al Papa. Contemporaneamente Ilario, come se la sede interessata fosse stata vacante, consacrò un altro vescovo per prendere il posto di un certo Projectus che era malato e che, a sua volta, si appellò al Papa contro le azioni del vescovo di Arles. Ilario fu chiamato a Roma per giustificarsi di fronte ad un sinodo (circa 445); poiché le lagnanze portate contro Celidonio non poterono essere provate, Leone lo reinsediò nella sua sede. E anche Projectus ricevette nuovamente la sua diocesi. Ilario tornò ad Arles prima che il sinodo finisse, ma il papa lo privò della giurisdizione sulle altre province galliche e dei diritti metropolitani sulla [[Arcidiocesi di Lione|provincia di Vienne]], lasciandogli solo la diocesi di Arles.
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Leone vi inviò il presbitero romano Potenzio per informarsi sulla sua esatta condizione, ed inviare un rapporto a Roma. Alla sua ricezione il papa inviò all'episcopato della provincia una lettera con istruzioni particolareggiate sulla soluzione di numerose questioni ecclesiastiche e disciplinari (ep. XII). Leone spedì anche una lettera a [[Dioscoro di Alessandria]] (21 luglio 445), il successore di [[San Cirillo di Alessandria|Cirillo]] al [[Patriarcato di Alessandria]], insistendo che la pratica ecclesiastica della sua sede doveva seguire quella di Roma, poiché [[Marco (evangelista)|Marco]], il discepolo di Pietro e fondatore della Chiesa alessandrina, non poteva avere altra tradizione che quella del "principe degli apostoli", ed esortandolo quindi alla severa osservanza dei canoni e della disciplina della Chiesa romana (ep. IX).
Ma fu soprattutto nelle sue prese di posizione sulla confusione [[Cristologia|cristologica]], che in seguito avrebbero agitato così profondamente la Cristianità Orientale, che Leone si rivelò un saggio, colto
Dopo la scomunica da parte di [[Flaviano di Costantinopoli|Flaviano]], [[Patriarcato di Costantinopoli|Patriarca di Costantinopoli]], a causa delle sue concezioni e delle sue predicazioni monofisite, il monaco Eutiche si appellò al papa il quale, dopo aver esaminato il nocciolo della disputa, inviò una lettera dogmatica a Flaviano (ep. XXVIII, ''Tomus ad Flavianum''), esponendo concisamente e confermando la dottrina dell'[[Incarnazione]] e dell'unione della natura divina ed umana nella Persona unica di Cristo. Il [[monofisismo]], infatti, assumendo una dottrina praticamente inversa all'[[arianesimo]], tendeva a sottolineare con tanta forza la natura divina del Cristo, da giungere quasi a non riconoscere più quella umana<ref>C. Rendina, cit., pag. 110.</ref>.
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