Biennio rosso in Italia: differenze tra le versioni

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[[File:Nicola Bombacci 3 (cropped).jpg|min|Nicola Bombacci]]
 
Da molte parti si sperava, o all'opposto si temeva, una rivoluzione socialista simile a quella avvenuta in [[Russia]] nel 1917. In particolare, le aspettative si rivolgevano all'opera di [[Nicola Bombacci]]<ref>V. Daniele Dell'Orco, ''Nicola Bombacci. Tra Lenin e Mussolini'', Historica, Roma 2012. ISBN 978-8896656570</ref>, {{cnSenza fonte|che era ritenuto stretto seguace nonché probabile emulatore di [[Lenin]] e che fu segretario del PSI tra il 1919 e il 1920. Come tale, si recò a [[Mosca (Russia)|Mosca]], dove fu ricevuto in separata sede da Lenin}}. Infatti, in Bombacci troviamo la più radicata convinzione del comunismo come agente che permette l’edificazione del sistema partito-stato che darà origine a un nuovo ordine sociale, morale e politico basato sulla rivoluzione di stampo proletario<ref>Matteo Tomasoni, «Steven Forti, El peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion y Oscar Pérez Solís en la Europa de Entreguerras», Diacronie [Online], N° 22, 2 | 2015, documento 24, online dal 01 juin 2015, consultato il 16 janvier 2024. URL: http://journals.openedition.org/diacronie/2130; DOI: https://doi.org/10.4000/diacronie.2130</ref>.
 
Inoltre l'allarmismo, causato dai continui richiami rivoluzionari e dagli echi della [[Internazionale Comunista|Terza Internazionale]], contribuì a creare in seno alle forze armate e al governo una sostanziale avversione contro le iniziative definite sovversive nelle quali, indistintamente, venivano compresi sia i socialisti che gli anarchici<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 484}}.</ref>. Per di più, proprio in occasione dello sciopero del 20-21 luglio numerose informative riservate segnalavano al Governo intenti rivoluzionari finalizzati alla conquista del potere da parte dei cosiddetti "sovversivi" e una pericolosa propaganda tra le truppe. Oltre a ciò si aggiunsero ulteriori segnalazioni circa l'arrivo in Italia di inviati del [[Comintern]] con il compito di attuare un'insurrezione<ref>{{Cita|Vivarelli, I|p. 486}}.</ref>.
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{{vedi anche|Rivolta dei Bersaglieri}}
[[File:Estensione della Rivolta dei Bersaglieri - giugno 1920.jpg|min|L'estensione della [[rivolta dei Bersaglieri]] da [[Ancona]] ad altre città italiane (26-29 giugno 1920)]]
Nel frattempo, allo scopo di sedare le rivolte nel [[protettorato italiano dell'Albania]], il [[Governo Giolitti V|governo Giolitti]] decise di inviare nuovi reparti militari a supporto del governo locale. L'11 giugno 1920 a [[Storia di Trieste|Trieste]], un gruppo di [[arditi]] di un reggimento d'assalto in attesa di imbarcarsi per l'Albania usò le armi contro gli ufficiali, causando due morti e diversi feriti<ref>Angelo Visintin, ''Una città in grigioverde'', in ''Storia e Dossier'', p. 16, ottobre 1992.</ref>.
 
Nella notte tra il 25 e il 26 giugno anche un reparto di bersaglieri destinati a partire per l'Albania si ammutinò prendendo il controllo della caserma Villarey ad Ancona. La popolazione locale solidarizzò con gli ammutinati iniziando ad armarsi nonostante l'opposizione dei partiti e dei sindacati. Nel pomeriggio del 26, in seguito a trattative con alti ufficiali dell'esercito, l'ammutinamento dei bersaglieri cessò. Nel frattempo in città furono erette barricate per impedire l'arrivo di militari, carabinieri e guardie regie e la protesta pacifista prese l'aspetto di un'insurrezione armata unita dal motto "Via da Valona", chiedendo la fine del [[protettorato italiano dell'Albania]], visto come un attacco alla libertà dei popoli. Si registrano sparatorie in tutta Ancona tra sovversivi e forze dell'ordine.
 
La rivolta si espanse anche in altre cittadine marchigiane, come Jesi, Pesaro, Osimo, Fabriano e Porto Civitanova. Disordini si registrano anche in [[Romagna]] ([[Rimini]], [[Cesena]], [[Forlimpopoli]] e [[Forlì]]), in [[Umbria]] ([[Terni]] e [[Narni]]), in [[Lombardia]] ([[Cremona]] e Milano) e a Roma. Negli scontri si registrano complessivamente una trentina di morti. Quando il re ordinò l'invio delle [[Regia guardia per la pubblica sicurezza|guardie regie]] per ristabilire l'ordine, fu indetto uno sciopero nazionale da parte del sindacato dei ferrovieri per impedire che i militi potessero arrivare ad Ancona. Infine il moto fu sedato il 27 giugno solo grazie all'intervento della marina militare, intervenuta per bombardare la città<ref>Ruggero Giacomini, ''La rivolta dei bersaglieri e le giornate rosse. I moti di Ancona dell'estate 1920 e l'indipendenza dell'Albania'', Ancona, Assemblea legislativa delle Marche/ Centro culturale "La Città futura", 2010.</ref>. Il fatto però convinse il governo italiano a rinunciare all'occupazione: con il [[Trattati di Tirana|trattato di Tirana]], siglato il 20 luglio 1920, e il trattato di amicizia con gli albanesi, firmato il successivo 2 agosto 1920, l'Italia riconobbe l'indipendenza e la piena sovranità dello Stato albanese e le truppe italiane lasciarono il Paese. Inoltre il trattato sancì il ritiro italiano da Valona, con il mantenimento dell'isolotto di [[Saseno]], a garanzia del controllo militare italiano sul canale di [[Otranto]]<ref>{{Cita|Sforza|pp. 115-119}}.</ref>.
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web |url=http://www.storico.org/biennio_rosso.htm |titolo=Breve storia del biennio rosso |accesso=20 marzo 2007 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070320232612/http://www.storico.org/biennio_rosso.htm |urlmorto=sì }}
* Steven Forti, [http://www.storicamente.org/01_fonti/forti.html ''«Tutto il potere ai Soviet!» Il dibattito sulla costituzione dei Soviet nel socialismo italiano del biennio rosso: una lettura critica dei testi''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120604142000/http://storicamente.org/01_fonti/forti.html |datedata=4 giugno 2012 }}, «Storicamente», 4 (2008)
 
{{Antifascismo}}