Lingue d'Italia: differenze tra le versioni
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|url =https://www.treccani.it/enciclopedia/vitalita-e-varieta-dei-dialetti_(L%27Italia-e-le-sue-Regioni)|titolo=Vitalità e varietà dei dialetti|autore=Gianna Marcato|sito=Treccani.it|editore=Istituto dell’Enciclopedia Italiana|accesso=24 febbraio 2025}}</ref><ref>{{Cita libro|titolo=Storia linguistica dell’Italia unita|autore=Tullio De Mauro|editore=Editori Laterza|città=Bari|anno=1976|annooriginale=1960|volume=I|edizione=4|capitolo=Nuove condizioni linguistiche|p=93|citazione=Nella scuola elementare, insomma, la lingua comune ancora all’inizio del secolo continuava a essere in genere una realtà lontana, staccata dalla vita quotidiana che trovava espressione nel dialetto, una lingua che si insegnava ma non si praticava}}</ref><ref name="avolio" /> (ispezioni ministeriali effettuate negli anni postunitari evidenziarono casi di grave inadeguatezza da parte di insegnanti che sfioravano l’analfabetismo e che in classe si esprimevano nel proprio idioma locale)<ref>{{Cita libro|titolo=Introduzione alla dialettologia italiana|autore=Corrado Grassi, Alberto A. Sobrero, Tullio Telmon|editore=Editori Laterza|città=Bari|anno=2003|edizione=5|capitolo=Latino, italiano, dialetti|p=26|citazione=A partire dall’Unità d’Italia la scuola avrebbe dovuto svolgere una funzione fondamentale nel dare una lingua comune agli italiani. In realtà essa non fu assolutamente in grado di assolvere tale compito: era poco frequentata (la legge Casati del 1859 prevedeva l’obbligatorietà delle scuole elementari, ma le cifre dell’evasione scolastica furono subito imponenti, rasentando in alcune province meridionali il 100%) e versava in condizioni disastrose; per restare ai problemi della lingua, le ispezioni ministeriali rilevarono la grave impreparazione degli insegnanti, spesso ai limiti dell’analfabetismo, al punto che la maggior parte di loro parlava in dialetto a scuola e incontrava difficoltà nella scrittura }}</ref>. Così si fece strada anche l’accostamento di essi alla mancanza di istruzione, alla povertà linguistica e ad una bassa condizione socio-economica<ref>{{Cita testo|lingua=en|autore=Federica Guerini|titolo=Language policy and ideology in Italy|data=25 giugno 2011|url=https://www.academia.edu/16864106/Language_policy_and_ideology_in_Italy|p=119|citazione= Italo-Romance dialects came to be associated with lack of education, linguistic deprivation and low socio-economic status, thereby instilling feelings of linguistic insecurity (Labov 1966) and inferiority in those who could not master a spoken variety of Italian.|accesso=24 febbraio 2025}}</ref> e in quanto reputati codici devianti e inferiori, anche i loro parlanti furono giudicati nello stesso modo<ref name="mari" />.
Pregiudizi e opinioni denigratorie sul valore delle varietà locali, levatesi dal mondo della cultura, sono stati assecondati da politiche che svalutavano e non rispettavano i patrimoni linguistici italiani, in particolare durante il regime fascista, che addirittura attuò una persecuzione delle minoranze alloglotte[82] , in quanto, soprattutto a partire dagli anni trenta, il regime iniziò a vedere nelle varietà locali una minaccia all’unità culturale e linguistica del paese<ref name="avolio">{{Cita libro|titolo=Lingue e dialetti d’Italia|autore=Francesco Avolio|editore=Carocci|città=Roma|anno=2009|capitolo=Tra lingua e dialetto|pp=86-87|citazione=Il rapporto tra dialetti e scuola, o se si preferisce, fra culture regionali e didattica è sempre stato molto difficile e controverso. Fin dagli anni successivi all’Unità, infatti, malgrado gli interventi di personalità come Manzoni e Ascoli, tendenze efficacemente definite “dialettofobe” sono riuscite ad avere la meglio nell’elaborazione e nella stesura i linee programmatiche e disposizioni ministeriali. Così è stato, per esempio con i programmi scolastici per le elementari del 1905, del 1934 e del 1955 e con quelli della nuova scuola media unica del 1963, che hanno infatti ignorato pressoché del tutto il patrimonio linguistico e culturale dell’alunno, vedendo nei dialetti quasi solo un’inevitabile fonte di errori di pronuncia, quando non oggetto di scherno e derisione. Poche, anche se meritorie, le eccezioni, fra cui l’iniziativa del ministro Paolo Boselli […] nel 1890 […] e, soprattutto i nuovi programmi della scuola elementare del 1923 inclusi nella riforma di Giovanni Gentile, che si debbono all’illustre pedagogo Giuseppe Lombardo Radice. […] Dopo il drastico giro di vite imposto negli anni trenta dal secondo fascismo, per il quale il folklore […] e i dialetti erano ormai divenuti una minaccia per quel valore assoluto rappresentato dall’unità culturale e linguistica della nazione, un vero e decisivo cambiamento si sarebbe potuto registrare soltanto nel 1979, con i nuovi programmi della scuola media, anche grazie all’influsso delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, formulate nel 1975 da un gruppo di linguisti e pedagogisti riuniti nel GISCEL […]. In questi programmi i dialetti sono ormai divenuti una «varietà idiomatica da accettare a pieno titolo tra le altre varietà che compongono il quadro multiforme della realtà sociolinguistica italiana d’oggi». Ma le difficoltà, dopo oltre un secolo d’inerzia, non potevano certo finire di colpo, come testimoniano i vivaci dibattiti e gli ottimi contributi di insegnanti e linguisti pubblicati fino ad oggi in varie sedi, fra cui, in primo luogo, la Rivista Italiana di Dialettologia e gli atti di alcuni convegni organizzati annualmente dal GISCEL}}</ref>. Eppure, inizialmente, la riforma fascista dell’istruzione varata nel 1923 dal ministro [[Giovanni Gentile]], i cui programmi didattici furono redatti da [[Giuseppe Lombardo Radice]], mise da parte l’atteggiamento antidialettale predominante nella scuola, ponendosi l’obiettivo di sconfiggere l’analfabetismo partendo dal retroterra linguistico dell’alunno prima di approdare alla lingua nazionale (secondo il metodo «dal dialetto alla lingua»)<ref name="d’agostino">{{Cita libro|titolo=Sociolinguistica dell’Italia contemporanea|autore=Mari D’Agostino|editore=Il Mulino|città=Bologna|anno=2007| capitolo=Immagini di un recente passato. Dinamiche linguistiche e dinamiche sociali|p=37|citazione=Nel 1923, appena un anno dopo la marcia su Roma, fu varata la riforma della scuola ad opera del filosofo, e in quegli anni ministro dell’istruzione, Giovanni Gentile. I programmi scolastici redatti nello stesso anno da Giuseppe Lombardo Radice si contraddistinsero per un superamento della dialettofobia fino a quel momento imperante nella scuola. Giuseppe Lombardo radice, direttore generale dell’istruzione primaria e popolare dal 1922 al 1924, si impegna profondamente in un programma di lotta all’analfabetismo che ha come base il metodo «dal dialetto alla lingua». I capisaldi di tale sistema sono: - partire dal retroterra linguistico e culturale dell’alunno; - prevenire all’apprendimento dell’italiano per mezzo della traduzione di testi di letteratura}}</ref><ref name="avolio" />. Fu invece dai programmi scolastici del 1934 («programmi Ercole») che i “dialetti” tornarono ad essere considerati solo fonte di errori, da sanzionare, come era stato in quelli del 1905 e come sarà in quelli del 1955<ref name="avolio" /><ref name="d’agostino" />.
Dunque la scuola, anche dopo il regime, fu teatro di un’aspra battaglia contro tali idiomi, giudicati come il principale ostacolo nell'apprendimento di un italiano corretto e basato su modelli letterari, che fu usato come strumento di selezione sociale per un secolo dopo l’unificazione del paese: questa generale “dialettofobia” istituzionale perdurò fin oltre la metà del XX secolo (simbolicamente viene da alcuni indicata la data del 1962/1963, anno dell’istituzione della scuola media unica, seppure in essa si siano verificati anche successivamente atteggiamenti “antidialettali”)<ref>{{Cita testo|lingua=en|autore=Arturo Tosi|titolo=The Language Situation in Italy|pubblicazione=Current Issues in Language Planning|data=22 dicembre 2008 |url =|pp=277-290|citazione=The commitment shown by the school authorities to impose the ‘good’ models of the literary language led to such radical stigmatisation of the local dialects (called malerba dialettale or ‘dialectal weeds’), that for the first 100 years the mastery of the national language in schools was used as an instrument of social selection. […] The situation changed in the 1960s when attendance of the lower secondary school (three years in addition to primary level) became compulsory, and when this middle school became comprehensive with the reform scuola media unica in 1963.
I pregiudizi linguistici risultano però ancora radicati in zone in cui le varietà locali sono maggiormente vitali, inoltre, un’inchiesta condotta nelle scuole da [[Giovanni Ruffino]] tra Secondo e Terzo millennio, tra alunni di 8-11 anni di tutta Italia, ha rilevato la sopravvivenza di forti preconcetti che associano i dialetti a rozzezza, volgarità e delinquenza<ref name="mari">{{Cita libro|titolo=Sociolinguistica dell’Italia contemporanea|autore=Mari D’Agostino|editore=Il Mulino|città=Bologna|anno=2007| capitolo=I problemi linguistici come problemi sociali|pp=209-212|citazione=Su un piano apparentemente opposto, ma che a ben vedere rivela la stessa incapacità di guardare a lingua e dialetto come idiomi di pari dignità, ma con funzioni comunicative differenti, è il pregiudizio antidialettale che persiste in alcune realtà scolastiche della penisola. Si veda, ad esempio, questa notizia battuta dalle agenzie di stampa il 6 gennaio del 2005: “Chi non parla in lingua italiana viene multato. Dieci centesimi di ammenda possono servire ad abituarsi a fare a meno del dialetto anche durante le conversazioni tra amici. L’esperimento viene fatto nella prima B della scuola media statale «Settembrini» di Pontelatone, nel Casertano. Finora, come riferisce il quotidiano «Il Mattino», in cassa è finito poco più di un euro. La cifra, appena diventerà un po’ più consistente, sarà investita nell’acquisto di bibite e dolciumi che verranno distribuiti tra tutti i ragazzi. Tesoriera è un’alunna della stessa scuola che diligentemente registra tutte le entrate. Ad accertare le infrazioni sono gli stessi compagni che si controllano a vicenda”. Nella stessa direzione vanno alcune delle testimonianze raccolte da Giovanni Ruffino [2006]. Lo studioso ha chiesto ad un ampio numero di bambini e bambine di scuole italiane sparsi un po’ ovunque nella penisola di indicare la differenza fra lingua e dialetto. In alcuni dei testi prodotti continuano ad emergere prepotentemente i pregiudizi e gli stereotipi antidialettali: […]. Già da questi pochi esempi si possono individuare alcune delle immagini negative del dialetto più ricorrenti: il dialetto è rozzo e volgare, mentre l’italiano è un linguaggio «da signore»; il dialetto è parlato dai «vandali» e dai «delinquenti»; con il dialetto si dicono le cose «scurrili», ecc. Vediamo riflesso nelle parole dei bambini il pregiudizio che ha caratterizzato la scuola italiana. Il dialetto è stato infatti visto frequentemente come l’ostacolo principale all’apprendimento dell’italiano, come una deviazione dalla norma corretta, come una lingua inferiore, e di conseguenza deviante e inferiore è stato considerato chi lo parla}}</ref>< ref name="trecc-marcato" />.
La politica "antidialettale" della scuola italiana, l'influenza dei mezzi di comunicazione e il parere - talvolta apertamente ostile - di alcuni autorevoli intellettuali[non chiaro] sono all'origine di una connotazione negativa degli idiomi locali, frequentemente derisi anche in televisione, dei quali l'opinione pubblica ha un'immagine sfavorevole, burlesca e distorta, vedendo in essi "dialetti" culturalmente inferiori e idonei solo a dare un senso di spontaneità al parlato o a suscitare ilarità[84], se non addirittura un insieme di parole prevalentemente scurrili e inadeguate[85] <ref>{{Cita testo|lingua=en|autore=Arturo Tosi|titolo=The Language Situation in Italy|pubblicazione=Current Issues in Language Planning|data=22 dicembre 2008 |url =https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/14664200408668259|p=279|citazione=Everywhere the dialects lost ground, not only because they were perceived as outdated in a modern industrial society (significantly they were frequently ridiculed on TV) but also because parents tried to provide children with a strong basis in the national language, before they would be required to use it at school.|accesso=24 febbraio 2025}}</ref>.
Invece, dal punto di vista della [[linguistica]], la discriminazione dei cosiddetti "dialetti" è ingiustificata, così come la presunzione di superiorità di alcune [[Varietà (linguistica)|varietà]] rispetto ad altre.<ref name=''Guida''>{{Cita libro|titolo=
È infatti la politica ad attribuire lo status di "lingua" agli idiomi di chi dispone di mezzi di pressione per farsi riconoscere come comunità etnico-linguistica. Una volta ottenuta tale condizione, e relativi finanziamenti, anche gli idiomi minoritari possono venire dotati di quegli strumenti caratterizzanti le lingue statali (standardizzazione, grammatiche, dizionari, insegnamento scolastico, editoria, uso amministrativo ecc.). Sono appunto questi strumenti la conseguenza, e non la causa, dell’ufficialità di una "lingua".<ref>{{Cita testo|autore=Roberto Bolognesi, Matteo Incerti|titolo=Le lingue parlate nel territorio dello Stato italiano|pubblicazione=Eleaml.org|data=1999|url=https://www.eleaml.org/sud/stampa/lingue_ue.html|accesso=22 febbraio 2022}}</ref>. La mancata assegnazione politica dello statuto di ''lingue'' e la scarsa importanza attribuita al patrimonio linguistico italo-romanzo possono essere in parte spiegate come una difesa dell’unità nazionale in un paese di relativamente recente istituzione<ref name>{{Cita libro|titolo=Policy and Planning for Endangered Languages|autore=VVAA|autore-capitolo=Claudia Soria|editore=Cambridge University Press|città=Cambridge|anno=2015|lingua=en|capitolo=Assessing the effect of official recognition on the vitality of endangered languages: a case study from Italy|pp=127-128}}</ref>; l’[[Accademia della Crusca]], che considera i ''dialetti'' quali ''lingue'' sul piano strutturale, teme invece che la loro possibile espansione in contesti ufficiali possa mettere in crisi l’italiano, il quale già soffre la concorrenza dell’[[Lingua inglese|inglese]]<ref>{{Cita web|autore=Paolo D’Achille|url=https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/la-xxi-giornata-europea-delle-lingue-26-settembre-2022-unoccasione-per-riflettere-sullinvadenza-dell/26976|titolo=La XXI Giornata uropea delle lingue (26 settembre 2022). Un’occasione per riflettere sull’invadenza dell’inglese|sito=Accademiadellacrusca.it|editore=Accademia della Crusca|data=27 settembre 2022|accesso=22 febbraio 2022}}</ref>.
A prescindere dal loro riconoscimento politico, la maggioranza dei dialetti italo-romanzi non è comunque costituita da corruzioni, deviazioni o alterazioni della lingua nazionale di base toscana<ref>''Manuale di linguistica e filologia romanza'', Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 50</ref>, inoltre essi hanno [[grammatica]], [[lessico]] e spesso [[letteratura]]. La stessa [[lingua italiana]] è la forma standardizzata di uno di essi<ref name=
Per quanto l’uso del termine ''dialetto'', seppur deliberatamente ambiguo, tra i linguisti accademici sia appropriato e giustificato, è la complessità dei suoi vari significati a renderlo oscuro ai non specialisti, cosicché esso si è caricato di pregiudizi e di una connotazione negativa nel linguaggio comune, sui media e nella società in generale.<ref name="Soria" /><ref>{{Cita pubblicazione|titolo=Language Varieties of Italy: Technology Challenges and Opportunities|autore=Alan Ramponi|rivista =Transactions of the Association for Computational Linguistics|volume=12|data=9 gennaio 2024|lingua=en|url=https://direct.mit.edu/tacl/article/doi/10.1162/tacl_a_00631/119058/Language-Varieties-of-Italy-Technology-Challenges|accesso=22 febbraio 2022}}</ref><ref name="EU" /><ref name="Guida" />
=== Valore culturale dei dialetti in Italia ===
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