Geppetto: differenze tra le versioni
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== Ruolo nella storia ==
Geppetto è un povero e vecchio uomo, dal mestiere di [[Intaglio|intagliatore]], contrariamente alla [[Falso ricordo|credenza comune]] che sia un [[falegname]].<ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo XXXVI|citazione=— E il mio babbo dov’è? — gridò tutt’a un tratto; ed entrato nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buonumore, come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali.}}</ref> Viene descritto come un vecchio arzillo e con indosso una parrucca bionda dal colore simile a quello della [[Polenta|polendina]] di [[Zea mays|granturco]], motivo per il quale i bambini del posto lo chiamano "Polendina", soprannome che lo manda su tutte le furie.<ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo II|citazione=Allora entrò in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le furie, lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.<br/>Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c’era più verso di tenerlo.}}</ref> Per il resto, però, Geppetto è un uomo tranquillo, umile e gentile. Vive da solo in una casetta che fa da sottoscala a un'altra, in compagnia del [[Figaro (Disney)|suo gatto]] e del [[Grillo Parlante]] (anche se non è specificato se fosse a conoscenza della sua presenza) ed è talmente povero che il fuoco nel camino è dipinto, ha il letto malandato, una sedia non buona e la sua giacca è piena di rattoppi.<ref name=":0">{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo III}}</ref><ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo IV|citazione=— Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da più di cent’anni.}}</ref><ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo VII|citazione=— Babbo mio, non posso, — rispondeva il burattino piangendo e ruzzolandosi per terra.<br/>— Perchè non puoi?<br/>— Perchè mi hanno mangiato i piedi.<br/>— E chi te li ha mangiati?<br/>— Il gatto, — disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno. — Aprimi, ti dico! — ripetè Geppetto — se no, quando vengo in casa, il gatto te lo do io!}}</ref>
Compare dal secondo capitolo del libro, in cui va a trovare l'amico falegname mastr'Antonio per farsi prestare un pezzo di legno. Stufo di patire la fame con il suo misero mestiere, Geppetto prende la decisione di diventare un [[burattinaio]] affinché possa guadagnarsi da vivere. Dopo aver esposto questo suo piano, il ciocco di legno che aveva tormentato Antonio il capitolo prima, si complimenta a "Polendina" per l'idea, facendo arrabbiare Geppetto che accusa Antonio dell'insulto, arrivando a picchiarsi e mordersi i loro finti capelli. Subito dopo, mentre Antonio cerca di dargli lo stesso ciocco, questi si butta contro le gambe di Geppetto e parte un'altra incomprensione e lite tra i due, che culmina con la pace.<ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo II}}</ref>
Tornato a casa con il ciocco, Geppetto si fabbrica subito il [[Marionetta|burattino]] e lo battezza Pinocchio in onore di una famiglia a lui amica in cui portavano tutti lo stesso nome. Durante la lavorazione, Pinocchio si dimostra vivo e dispettoso, facendo linguacce, rubando la parrucca e tirando calci, eppure Geppetto non solo non è terrorizzato quanto Antonio, ma lo definisce anche "figliolo" e si autodefinisce il suo "babbo", deluso dal fatto che il figliolo, non ancora pronto, lo manca già di rispetto. Una volta terminato, Pinocchio impara a camminare e subito imbuca la porta e corre per le vie della città, inseguito da Geppetto. Un [[carabiniere]] lo ferma, e quando Geppetto sgrida Pinocchio prendendolo per il collo (notando di non avergli fatto le orecchie), gli promette che lo punirà per questa sua scappatella, facendo piangere la marionetta, i cittadini iniziano a vociferare che forse Pinocchio sia scappato perché Geppetto è violento e ne abusa, al punto che il carabiniere decide di arrestare lui.<ref name=":0" />
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Quando Pinocchio gli chiede di rifargli i piedi, Geppetto rifiuta, considerandola una punizione adatta per il guaio in cui l'ha cacciato il giorno prima, ma Pinocchio gli promette che non solo si comporterà bene, ma è intenzionato ad andare a scuola e imparare un mestiere ed essere il bastone della sua vecchiaia. Convinto, Geppetto gli ricostruisce i piedi, e gli fabbrica poi un vestito di carta, scarpe di corteccia e un cappello di mollica di pane secco. Infine vende la giacca, in pieno inverno, per comprargli l'abbecedario per la scuola.<ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo VIII}}</ref> Purtroppo le buone intenzioni di Pinocchio sono subito sospese dalla curiosità del burattino, dando così il via alle disavventure sue e di suo padre che, per un'intera giornata, lo attende sull'uscio di casa.<ref>{{Cita libro|autore=Carlo Collodi|wkautore=Carlo Collodi|titolo=[[Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino]]|annooriginale=1881-1883|anno=1902|editore=R. Bemporad & figlio|città=Firenze|capitolo=Capitolo XII|citazione=— Buon giorno, Pinocchio, — gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente. — Com’è che sai il mio nome? — domandò il burattino.<br/>— Conosco bene il tuo babbo.<br/>— Dove l’hai veduto?<br/>— L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.<br/>— E che cosa faceva?<br/>— Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.}}</ref>
Nel capitolo XV (inizialmente concepito dall'autore come conclusivo), Pinocchio, Impicatto alla Grande Quercia, prima di svenire, invoca il padre, chiedendo perdono.
—Oh babbo mio! Se tu fossi qui!...—
—E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.}}</ref>
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