Antoon van Dyck: differenze tra le versioni
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Presentato alla migliore aristocrazia cittadina, ebbe modo di ritrarre alcuni esponenti delle più facoltose famiglie del patriziato locale (Spinola, Durazzo, Lomellini, Doria, Brignole etc.); il suo immediato successo è dovuto in modo particolare alla fama di Rubens, che era vissuto ed aveva lavorato molto a Genova, e di cui van Dyck era visto come il nuovo rappresentante e continuatore.
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In seguito alla fortunata esperienza genovese, van Dyck partì, nel [[febbraio]] [[1622]], alla volta di [[Roma]], dove soggiornò sino all'[[agosto]] di quell'anno e per gran parte del [[1623]]. Accolto con favore nella Roma pontificia, venne introdotto nei migliori ambienti della società; durante il suo secondo soggiorno ricevette dal [[cardinale]] [[Guido Bentivoglio]] due importanti commissioni, che consistevano nella realizzazione di una ''Crocifissione'' e di un ritratto a figura intera dello stesso cardinale, il ''[[Ritratto del cardinale Guido Bentivoglio]]''. Bentivoglio era divenuto cardinale l'anno prima ed era il protettore della folta comunità fiamminga romana, essendo stato [[Nunziatura apostolica|nunzio pontificio]] a [[Bruxelles]] dal [[1607]] al [[1615]].<ref>Brown, p.20</ref> Oltre al ritratto del cardinale Bentivoglio, uno dei più famosi di tutta la produzione di van Dyck, il giovane pittore ritrasse anche il cardinale [[Maffeo Barberini]], che sarebbe divenuto di lì a poco papa, con il nome di Urbano VIII.<ref>Il ritratto del cardinale Barberini è andato perduto.</ref> Di questo periodo sono anche numerosi ritratti come quelli dei conigui Shirley (''[[Ritratto di Lady Theresa Shirley]]'' e ''Ritratto di Sir Robert Shirley''). A differenza del maestro Rubens, van Dyck non amò mai il [[Roma Antica|mondo classico]]. Ne è testimonianza il suo ''Taccuino italiano'', diario di schizzi e disegni realizzati sulla base di grandi opere studiate durante il soggiorno italiano.<ref>Brown, p.20</ref> A Roma ebbe comunque l'opportunità di osservare e copiare i capolavori dei grandi del [[Romanticismo]], contenuti principalmente a Palazzo Ludovisi e a [[Villa Borghese]].
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===Da Mantova a Palermo===
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Da Venzia passò a [[Mantova]], dove fu introdotto alla corte dei [[Gonzaga]]. Qui conobbe [[Ferdinando Gonzaga|Ferdinando]] e [[Vincenzo II Gonzaga]], che era stato protettore di Rubens. Con il soggiorno a Mantova, van Dyck ebbe la possibilità di vedere la collezione dei duchi prima che venisse dispersa. Nel [[1623]] fu nuovamente a Roma, città nella quale si era rifiutato di venire in contatto con la locale associazione di pittori fiamminghi, lontani dallo stile accademico, che conducevano una vita semplice e non ostentata come la sua.<ref>La ''Schildersbent'', "banda di pittori", si era costituita tra il 1621 ed il 1623: i pittori che ne facevano parte erano per lo più paesaggisti e [[Caravaggio|caravaggeschi]] [[Olanda|olandesi]]. (Bodart, p.18)</ref>
[[Gian Pietro Bellori]], nella sua opera ''Le Vite de' pittori scultori e architetti moderni'' così scrive del periodo romano di van Dyck:
{{quote|''Erano le sue maniere signorili più tosto che di uomo privato, e risplendeva in ricco portamento di abito e divise, perché assuefatto nella scuola del Rubens con uomini nobili, ed essendo egli natura elevato e desideroso di farsi illustre, perciò oltre li drappi si adornava il capo con penne e cintigli, portava collaned'oro attraversate al petto, con seguito di servitori. Siché imitando egli la pompa di Zeusi, tirava a sé gli occhi di ciascuno: la qual cosa, che doveva riputarsi ad onore da' pittori fiamminghi che dimoravano in Roma, gli concitò contro un astio ed odio grandissimo: poiché essi, avvezzi in quel tempo a vivere giocondamente insieme, erano soliti, venendo uno di loro nuovamente a Roma, convitarsi ad una cena all'osteria ed imporgli un sopranome, col quale dopo da loro veniva chiamato. Ricusò Antonio queste baccanali; ed essi, recandosi a dispregio la sua ritiratezza, lo condannavano come ambizioso, biasimando insieme la superbia e l'arte.''<ref>Bellori, p.274</ref>}}
Da Roma passò a Genova, fermandosi prima a [[Milano]] e a [[Torino]], dove fu ricevuto dalla famiglia [[Casa Savoia|Savoia]].
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Nell'[[aprile]] [[1624]] [[Emanuele Filiberto di Savoia]], [[viceré]] di [[Sicilia]] per conto del [[re di Spagna]] [[Filippo IV di Spagna|Filippo IV]], invitò van Dyck a [[Palermo]], perchè gli facesse un ritratto. Antoon accolse l'invito e si trasferì in Sicilia, dove ritrasse il viceré; poco tempo dopo la città di Palermo fu colpita da una terribile edipemia di [[peste]] che uccise lo stesso Emanuele Filiberto. Malgrado l'infuriare della pestilenza, van Dyck rimase in città all'incirca fino al [[settembre]] 1624. Qui conobbe l'anziana pittrice [[Sofonisba Anguissola]], ormai novantenne, che sarebbe morta l'anno seguente e di cui Antoon fece un ritratto. Durante l'incontro, che van Dyck descrisse come "cortesissimo", l'anziana donna, quasi completamente [[cecità|cieca]], diede preziosi consigli ed avvertimenti al giovane pittore, oltre a raccontargli episodi della sua vita.<ref>Bodart, p.20</ref> Il ritratto di Sofonisba Anguissola è conservato nel ''Taccunio italiano''.<ref>Van Dyck scrisse dell'incontro con Sofonisba Angiussola: "Mentre le facevo il ritratto mi diede molti spunti, come quello di non prendere la luce troppo dall'alto, altrimenti l'ombra delle rughe della vecchiaia diventa troppo forte, e molti altri buoni consigli, mentre mi raccontava episodi della sua vita..." (Brown, p.23)</ref>
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==Il ritorno nelle Fiandre==
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Nel [[settembre]] [[1627]] tornò nella natia Anversa, richiamato dalla morte della sorella Cornelia.<ref>Brown, p.24</ref> I primi mesi furono caratterizzati da una grande produzione religiosa: Antoon, fervente [[cattolicesimo|cattolico]], si unì alla Confraternita dei Celibi, creata dai gesuti di Anversa, che gli commissionarono anche due [[retablo|pale d'altare]], eseguite tra il [[1629]] ed il [[1630]]. In questo periodo i ritratti di carattere mitologico (''[[Sansone e Dalila (van Dyck)|Sansone e Dailia]]'') sono rari, mentre abbondano quelli a carattere biblico-religioso, tra i quali spiaccano il dipinto ''Estasi di sant'Agostino'', posto accanto ad una tela di Rubens e ad una di [[Jacob Jordaens|Jordaens]] e l'''Adorazione dei pastori''. Oltre a ciò, van Dyck eseguì anche sei ''Crocifissioni'', un ''Compianto sul Cristo morto'' e una ''Incoronazione di spine''. Tutti questi lavori sono intrisi di un fervore e di una profondità intensi e mistici.<ref>Brown, p.27</ref>
[[Immagine:Anthonis van Dyck 052.jpg|thumb|240px|left|''[[Sansone e Dalila (van Dyck)|Sansone e Dalila]]'', 1630]]
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Entro l'[[aprile]] [[1632]], van Dyck era giunto per la seconda volta in Inghilterra. Accolto con tutti gli onori, fu presentato al re, che aveva conosciuto anni prima come [[principe del Galles|principe di Galles]], e prese alloggio a Londra, presso la dimora di Edward Norgate, scrittore d'arte, a spese della Corona.<ref>Bodart, p.38</ref> In seguito cambiò residenza per stabilirsi a [[Blackfriars]], lontano dall'influenza della [[Worshipful Company of Painter-Stainers]], importante organizzazione di pittori londinese. In questa grande casa, dono del re, con un giardino sul [[Tamigi]], riceveva ospiti e spesso eseguiva i suoi dipinti. Pochi mesi dopo, il [[5 luglio]] 1632 Carlo I gli conferì il titolo nobiliare di [[baronetto]], nominandolo membro dell'[[Ordine del Bagno]] e gli garantì una rendita annua di duecento sterline, oltre a rendere ufficiale la sua nomina a primo pittore di corte.<ref>Müller Hofstede, ''Van Dyck'', p.56</ref> Bellori si espresse in questo modo sul periodo inglese di van Dyck:
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{{quote|''Contrastava egli con la magnificenza di Parrasio, tenendo servi, carrozze, cavalli, suonatori, musici e buffoni, e con questi trattenimenti dava luogo a tutti li maggiori personaggi, cavalieri e dame, che venivano giornalmente a farsi ritrarre in casa sua. Di più trattenendosi questi, apprestava loro lautissime vivande alla sua tavola, con ispesa di trenta scudi il giorno.''<ref>Bellori, p.278</ref>}}
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