Termini Imerese: differenze tra le versioni

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==Storia==
Il sito naturalmente fortificato dove sorge il nucleo più antico della città, fu abitato sin dalla preistoria grazie anche alla presenza di grotte e di ripari sotto roccia (Contino, 2007). Una stazione preistorica dell'Epigravettiano è documentata nel cosiddetto riparo del castello di Termini.
Dopo la distruzione di [[Imera (colonia greca)|Imera]] da parte dei [[Cartaginesi]], nel [[409 a.C.]], l’insediamento fu ricostruito due anni dopo (407 a. C.) a 12 km ad ovest del precedente, nel luogo dove oggi sorge Termini Imerese. Il nome che esso allora assunse '''''Thermai Himeraìai''''' (in latino '''''Thermae Himeraeae''''') è dovuto all’esistenza nei pressi di sorgenti d’acque calde, ancor oggi utilizzate: le Terme moderne, nella città bassa, occupano lo stesso luogo di quelle romane, delle quali conservano ancora alcuni resti. Note già molto prima della distruzione di Iimera, queste acque sono, infatti, ricordate da [[Pindaro]] nella XII olimpica, in onore di Ergoteles di Imera. Secondo una leggenda, esse sarebbero sgorgate ad opere delle Ninfe, che volevano compiacere Atena: in esse si sarebbe bagnato per la prima volta [[Ercole]], dopo la lotta contro [[Erice]] ([[Diodoro]], V 3, 4). Le monete di Termini, che sul dritto hanno la testa di Ercole e sul rovescio tre Ninfe, s’ispirano a questo mito.
 
Secondo Diodoro Siculo, la città sarebbe stata fondata dai Cartaginesi, con l’apporto di coloni libici (XIII 79, 8), ma [[Cicerone]] afferma che si trattava in realtà di superstiti di Imera (''Verrine'', II 2, 86): è probabile del resto che le due informazioni non siano contraddittorie, e che nella colonia punica siano successivamente confluiti gli esuli d’Himera. Ciò sembra confermato dal fatto che, quando Dionigi attaccò l’eparchia cartaginese, nel 397 a. C., egli ottenne l’appoggio dei Termitani (Diodoro, XIV 47, 6). Nel 361 a. C., quando la città era sotto il dominio cartaginese, vi nacque Agatocle, il futuro tiranno di [[Siracusa]], figlio di un esule di Reggio (Diodoro, XIX 2, 2 sgg.). Questi farà di Terme una delle sue basi nella lotta contro i Cartaginesi (Diodoro, XX 56, 3).
 
Nel 260 a. C., nel corso della prima guerra punica, i Romani subirono presso la città una durissima sconfitta ad opera di Amilcare, ma successivamente riuscirono a conquistarla, nel 253. Da allora rimase fedele a [[Roma]], e fu tra quelle soggette a tributo (''civitas decumana'': Cicerone, ''Verrine'' II 2, 90). Dopo la conquista di [[Cartagine]], nel 146 a. C., Scipione Emiliano restituì a Terme le opere d’arte sottratte dai Cartaginesi ad Imera: tra queste era una statua di [[Stesicoro]], che vi aveva soggiornato (''Verrine'' II 2, 86; 4, 73). C’è pervenuta la base di una di queste statue, con parte dell’iscrizione (''IG'' XIV 315). Nel corso delle guerre civili la città parteggiò per Mario (forse in essa vivevano molti di quei commercianti italici che costituivano una parte importante del partito mariano): Pompeo, nell’81 a. C., s’apprestava a punire duramente Terme, quando ne fu distolto dall’intervento del più influente cittadino, Stenio, che, da partigiano di Mario, divenne allora sostenitore ed amico di Pompeo ([[Plutarco]], ''Vita di Pompeo'', 10-11): il che non impedì a Verre di spogliare la casa di Stenio delle sue opere d’arte e d’intentargli un processo (''Verrine'', II 2, 83-112).
 
Dopo la guerra con Sesto Pompeo Augusto vi dedusse una colonia: è probabile che questo fatto costituisse una punizione per la città, che, per legami clientelari, aveva abbracciato probabilmente il partito pompeiano. La radicalità dell’operazione risulta dalle numerose iscrizioni latine che ci sono pervenute, e soprattutto dalla presenza massiccia in esse di nomi romani ed italici: il vecchio fondo della popolazione sembra praticamente scomparire all’inizio dell’età imperiale.
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La continuità di vita attraverso il [[Medioevo]] ha probabilmente permesso la conservazione delle linee fondamentali dell’impianto primitivo. Il Foro corrispondeva probabilmente alla zona dell’attuale piazzale del Duomo (a nord della piazza Vittorio Emanuele), il ''cardo'' a via del Belvedere e il ''decumanus'' alle vie che conducono dal Duomo a San Giovanni. In un’iscrizione greca, conservata al Museo Civico, si ricorda l’opera di un ginnasiarca, che aveva fatto costruire alcuni edifici (tra i quali forse lo stesso ginnasio) e pavimentare una strada a partire da una porta in direzione del mare (''IG'', XIV 317).
 
Resti di edifici furono visti in passato preso il Duomo, e identificati senza motivo con la casa di Stenio: si trattava probabilmente di costruzioni pubbliche annesse al Foro. A quest’ultimo appartiene verosimilmente un grande '''portico''' scoperto nel secolo scorso lungo il fianco sinistro del Duomo e la via del Belvedere: trattasi di un edificio allungato (m 130 x 18,40), preceduto da una gradinata con un colonnato ad est ed una serie d’ambienti ad ovest, pavimentati in signino, databile tra il II e il I secolo a. C.
 
Un altro monumento superstite della città si trova nella Villa Palmeri (o Municipale), subito dopo l’ingresso da porta [[Palermo]], a sinistra. Si tratta di resti di un edificio in opera cementizia, con paramento a blocchetti; falsamente identificato con la ''curia'' (ricordata da Cicerone: ''Verrine'', II, 112). Non lontano è l'[[anfiteatro di Termini Imerese|anfiteatro]], uno dei tre conosciuti in [[Sicilia]] (oltre a quelli di [[Siracusa]] e di [[Catania]]): esso occupa la zona compresa tra via Garibaldi e via San Marco, dove un gruppo di case ne ha conservato la pianta. È in gran parte realizzato con paramento a blocchetti in opera cementizia, e presenta un doppio ambulacro, fatto notevole per un edificio così piccolo (m 98 x 75 circa). La ''cavea'' era in parte scavata e in parte costruita: resta una parte dell’ordine inferiore delle arcate, visibile sul alto occidentale (in via Anfiteatro). Non sappiamo se esistessero ordini superiori. L’anfiteatro, come gli altri simili della Sicilia, fu probabilmente realizzato in età augustea, in relazione con la deduzione della colonia.