Lodo Rete 4: differenze tra le versioni

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==Dubbi di legittimità==
Alla fine degli anni '80 alcuni pretori tentarono di "spegnere" il segnale di alcune emittenti fra cui Rete4 sollevando dubbi sulla costituzionalita'costituzionalità dell'embrionale legislazione che regolamentava in modo non organico l'emittenza televisiva in Italia.
La [[Corte costituzionale della Repubblica italiana|Corte Costituzionale]] con sentenza del 1988 rigetto'rigettò le eccezioni di incostituzionalita'incostituzionalità sollevate dalle preture, consentendo a Rete4 di continuare a trasmettere. Nelle motivazioni della sentenza, la Corte ricordo'ricordò tuttavia l'illegittimità della concentrazione dei mezzi d'informazione e sollecito'sollecitò il legislatore a produrre un adeguato quadro normativo per l'emittenza radiotelevisiva.<ref>[http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0826s-88.html Sentenza n. 826 del 1988]</ref>.
 
L'articolo 15, comma quarto, della Legge 6 agosto 1990 n. 223<ref>[http://www.agcom.it/L_naz/L223_90.htm Legge 6 agosto 1990 n. 223]</ref> vieta a un privato di controllare più del "''25 per cento del numero di reti nazionali previste''" e comunque non più di tre reti radiotelevisive, e soprattutto lo vieta a un editore di testate giornalistiche.<br>
Dal momento dell'acquisto da parte di [[Fininvest]] della [[Mondadori]] e di Rete 4 si continua a discutere della legittimità per Retequattro di trasmettere, e di farlo per via analogica.
 
Una successiva sentenza della Corte Costituzionale dell'anno 1994 stabilì che proprio questo comma della Legge 6 agosto 1990 n. 223 era incostituzionale (per violazione dell'articolo 21 della Costituzione) e sollecitò il legislatore al fine di trovare una soluzione definitiva entro e non oltre l’agosto 1996, rispettando l'auspicio di aumentare il pluralismo informativo<ref>[http://www.giurcost.org/decisioni/1994/0420s-94.html sentenza della Corte Costituzionale n. 420, anno 1994]</ref>. Secondo la sentenza, la legge del 1990 non risolveva i problemi di concentrazione evidenziati dalla precedente sentenza del 1988, in quanto le 3 reti possibili, su un massimo di 12, di cui 9 date in concessione ai privati, avrebbero continuato a permettere ad un unico soggetto (la cui situazione era già stata definita incostituzionale precedentemente) di controllare un terzo delle reti, ma anzi li aggravava, perché, in una situazione in cui vi è già una "''posizione dominante"'', fissando a 9 le reti usabili dai privati, rispetto all'assenza di limiti precedenti alla legge, si tiene "''fuori dalla categoria dei soggetti privati concessionari [...] ogni ulteriore emittente nazionale non utilmente collocata in graduatoria''", impedendo quindi l'accesso a possibili nuovi concorrenti che porterebbero un maggiore pluralismo.
 
{{quote|''L'inadeguatezza del limite alle concentrazioni emerge poi anche dal raffronto non soltanto con la normativa degli altri paesi, e soprattutto con quelli della Comunità europea (che hanno in larga prevalenza una disciplina più rigorosa e restrittiva), ma anche con la parallela disciplina nazionale dell'editoria. L'art. 3, lett. a), legge 25 febbraio 1985 n.67 considera come posizione dominante quella di chi editi (o controlli società che editino) testate quotidiane la cui tiratura nell'anno solare precedente abbia superato il 20% della tiratura complessiva dei giornali quotidiani in Italia; limite questo che si giustifica - al pari del limite dell'art.15, comma 4, per le emittenti televisive - con l'esigenza di salvaguardare il pluralismo delle voci. Però con questa rilevante differenza: che nel settore della stampa non c'è alcuna barriera all'accesso, mentre nel settore televisivo la non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione della particolare forza penetrativa di tale specifico strumento di comunicazione (sent. 148/81, paragr. 2 e amplius paragr. 3; già sent. 225/74, paragr. 4, e poi sent. 826/88, paragr. 9 e 16), impone il ricorso al regime concessorio.''