In questo modo si attenua il formalismo degli ordinamenti giuridici che prevedono una limitazione di responsabilità. Tale concetto si estende anche alle joint venture.
L'espressione ''cross default'' divenne comune sui media italiani quando la [[Cirio]] nel [[2002]] non onorò una rata del suo debito.<ref> [http://www.studiotanza.it/sentenza_di_brindisi.html Sentenza Brindisi] </ref>
Sulla base della clausola del cross default furono dichiarate in insolvenza tutte le obbligazioni assunte dalle varie società dell'intero Gruppo Cirio.
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Lo stesso avvenne poi per [[Parmalat]].
A dire il vero una clausola del genere da anni esiste sul mercato finanziario internazionale ed è solo il formalismo giuridico che non ne aveva fatto ancora conoscere la portata e l'efficacia.
Quando nel [[1991]], a seguito dell'insolvenza di [[Federconsorzi]], <ref>all'epoca dei fatti il dissesto della Federconsorzi era il maggiore dell'intera storia dell'Italia repubblicana, con una esposizione debitoria per 4.400 miliardi di lire </ref>, questa cessò di onorare le sue obbligazioni, [[Agrifactoring]] <ref> I crediti non riscossi di Agrifactorig al momento della sospensione dei pagamenti, ammontavano ada oltre 900 miliardi di lire</ref>, che era una società partecipata al 50% si trovò in grande difficoltà. [[B.N.L.]] che ne era direttamente o attraverso sue consociate azionista al 50% di Agrifactoring fu indotta dai suoi consulenti legali ad invocare la limitatezza della responsabilità.<ref> L'intera vicenda è narrata, anche con dovizia di particolari e con la relativa documentazione, dalla ''relazione finale della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul dissesto della federazioneFederazione italianaItaliana dei consorziConsorzi Agrari. In particolare alle pagpagg. 139 e seguenti </ref> La comunità bancaria internazionale, invocò la clausola ''cross default'' e chiese il rientro di prestiti per circa 5.000 miliardi di lire. A sua volta il [[Ministero del tesoro]] a cui la B.N.L. apparteneva per la quasi totalità, <ref> all'epoca la percentuale di quote italiane era quasi del 100%. </ref>, ebbe addirittura il timore dell'estensione di detta clausola all'intero ''paese Italia''. La soluzione fu poi trovata con una postergazione delle banche azioniste di Agrifactoring e in subordine delle altre banche italiane in modo da far prospettare sia pure in tempi ''lunghi'' il rientro integrale delle banche estere dei loro crediti.<ref> Relazione citata, pag. 148</ref>