Umberto II di Savoia: differenze tra le versioni

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==1904-1913: l'infanzia borghese==
Umberto di Savoia nacque nel [[Castello di Racconigi]] dove i genitori, Vittorio Emanuele III ed Elena avevano passato l'estate con le due figlie, Jolanda e Mafalda, alle 23:15 del 15 settembre 1904: alla nascita pesava 4 chili e 550 <ref>L. Regolo, ''Il re signore'', Simonelli editore, p. 13 </ref>. Vittorio Emanuele III telegrafò immediatamente dopo nell'ordine alla [[Palazzina di Caccia di Stupinigi]] dover si trovava la madre, [[Margherita di Savoia]]: "Mamma, abbiamo avuto un figlio. Lo chiameremo Umberto", al sindaco di Roma e al presidente del Consiglio [[Giovanni Giolitti]], comunicando che avrebbe devoluto un milione di lire alla Cassa Nazionale per la Vecchiaia degli operai. Quel giorno stesso la Camera del Lavoro di Milano aveva accolto la proposta di sciopero generale, il primo in Italia, che sarebbe durato altri cinque giorni.

A causa di questo l'avvenimento divenne di dominio pubblico in modo defilato, poiché il 16 solo il [[Corriere della Sera]] poté andare in stampa, e contrastato: a Milano gli scioperanti costrinsero il sindaco Barinetti a togliere la bandiera dal balcone del municipio <ref>L. Regolo, op. cit., p. 16 </ref> e Giolitti, già impegnato a Roma col governo nel varare misure atte a risanare la pace sociale e politica, impiegò alcuni giorni ad arrivare, in veste di notaio della Corona, a Racconigi, per stendere l'atto di nascita. Il bambino, battezzato la sera del 16 coi nomi di Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria <ref>Umberto era il nonno paterno, Nicola quello materno, Tommaso il prozio paterno duca di Genova </ref>, venne infine regolarmente il 20 con atto firmato dal presidente del Consiglio, controfirmato da [[Giuseppe Saracco]] presidente del Senato come ufficiale di stato civile e da Vittorio Emanuele III, presenti come testimoni [[Costantino Nigra]] e [[Giuseppe Bancheri]], presidente della Camera.
 
Il 29 settembre veniva concesso con Regio Decreto (pubblicato il 18 ottobre) all'erede il tradizionale titolo nobiliare di [[principe di Piemonte]]: il re era più propenso a "principe di Roma", ma la regina Margherita lo convinse ad evitare un gesto che sarebbe stato recepito come ostile dal Vaticano, a cui bisognava chiedere il permesso per il battesimo ufficiale del bambino ancora da celebrare, gravante tutt'ora sui Savoia la scomunica inferta dopo la [[Breccia di Porta Pia]]. Infatti da tradizione per i principi, al fine di venire incontro ad ovvie richieste protocollari, si dava appena nati il battesimo con acqua e l'imposizione delle mani ed in un secondo tempo, organizzata la cerimonia e giunti dall'estero i membri delle altre case regnanti, si procedeva con gli esorcismi, il sale, l'olio, il cero e la veste candida. Il battesimo ufficiale si ebbe solo tre mesi dopo, il 4 novembre 1904, nella [[Cappella Paolina del Quirinale]], i cui altari erano dal 1870 sconsacrati per volontà di [[Pio IX]] e fu celebrato con dispensa speciale da monsignor Giuseppe Beccaria: nessun membro dell'alto clero celebrava, ma la concessione per la prima volta del Quirinale per una cerimonia di Casa Savoia venne ugualmente considerata un gesto di distensione da parte di Pio X. Padrini furono [[Guglielmo II di Germania]], rappresentato dal fratello [[Alberto di Prussia]] ed [[Edoardo VII del Regno Unito]], rappresentato dal fratello duca di Connaught [[Arturo di Sassonia-Coburgo-Gotha]]; presenti esponenti di tutte le case reali europee, a partire da quelle più strettamente legate per vincoli familiari, quali [[Nicola I del Montenegro]] con la moglie [[Milena del Montenegro|Milena]], [[Napoleone Vittorio Bonaparte]] figlio di [[Maria Clotilde di Savoia]], il [[Alfonso Carlo di Braganza|duca di Oporto]] figlio della regina di Portogallo [[Maria Pia di Savoia|Maria Pia]].
 
[[Immagine:Umberto di Savoia 1907.JPG|thumb|Umberto piccolo corazziere (1907)]]
La nascita di Umberto sollevava i genitori dal timore che la dinastia si estinguesse, lasciando il trono al ramo collaterale dei [[Savoia-Aosta]]: se Umberto I aveva avuto un unico figlio maschio, Vittorio Emanuele III, suo fratello [[Amedeo I di Spagna|Amedeo]] ne aveva avuti quattro il primogenito dei quali, fino ad allora l'erede presuntivo al trono [[Emanuele Filiberto, secondo duca d'Aosta]], era già padre di due figli, ed era diviso dal cugino sovrano da una non velata rivalità. Agli albori della civiltà della comunicazione di massa, il sovrano, alto poco più di un metro e cinquanta, né bello né ''affascinante'' e dedito ad una vita schiva e ''borghese'' (come molti gli rimproveravano), era oggettivamente sminuito nel confronto con i cugini Aosta, tutti alti, belli, muscolosi per la vita attiva e all'aria aperta che conducevano <ref>Luigi Amedeo duca degli Abruzzi era già famoso come esploratore, e Vittorio Emanuele conte di Torino si cimentava con successo in gare di equitazione. </ref> e dalla brillante vita sociale <ref>Elena duchessa d'Aosta, moglie del duca Emanuele Filiberto, era figlia del pretendente al trono francese: già promessa fidanzata a [[Vittorio Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha]], erede dell'Impero inglese, provenendo dalla famiglia reale più antica d'Europa, chiamava la regina Elena ''mia cugina la pastora'', ironizzando pesantemente sulla sua dimessa famiglia d'origine, i [[Petrovich-Niegosh]].</ref>. Il Quirinale impiegò l'immagine del piccolo erede al trono, e le sue foto a tre anni vestito alla marinara o da piccolo corazziere, con la tenuta da boy-scout, assieme alle sorelle nel parco della villa di san Rossore vennero fatte pubblicare sulla rivista [[Illustrazione Italiana]] o come cartoline, rendendo Umberto il nuovo ''simbolo'' di Casa Savoia <ref>L. Regolo, op. cit., p. 20</ref>.
 
[[Immagine:Queen Elena of Italy.jpg|thumb|180 px|left|La regina Elena]]
Abitavano nella Palazzina della Fuga al [[Palazzo del Quirinale]], alla fine della cosiddetta "Manica Lunga", la regina ed i figli al primo piano, il re al secondo, mentre in estate soggiornavano prima a [[San Rossore]] e poi, dopo la chiusura estiva di Camera e Senato, a Racconigi, luogo cui il sovrano resterà sempre molto legato sia per la relativa libertà di cui godeva, sia per le "spedizioni e le corse nel parco. Le scoperte delle soffitte, dove si conservavano abiti e cimeli antichi" <ref>dichiarazione di Maria Beatrice di Savoia in L. Regolo, op. cit., p. 22</ref>. Nei suoi primi anni di vita l'educazione venne lasciata in mano alla madre, donna di gusti estremamente semplici e casalinghi, dolce e sensibile, verso la quale il figlio avrebbe sviluppato un legame profondo ed un affetto duraturo <ref>L. Regolo, op. cit., p. 29</ref>, che andava a compensare il rapporto distaccato col padre. Quanto Elena era una madre premurosa e protettiva, che cercava quanto più possibile di mitigare le asprezze del protocollo e della vita di corte <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 48</ref>, Vittorio Emanuele III era un uomo intelligente e colto, ma "caratterialmente arido, riservato, diffidente, che nell'introspezione nasconde un groviglio di frustrazioni per l'inferiorità fisica e per il peso di una formazione troppo severa" <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 45</ref>. I problemi derivati dall'altezza, l'educazione di stampo militaresco impartitagli dal colonnello Egidio Osio, suo governatore nella prima giovinezza, gli avevano reso estremamente difficile relazionarsi con gli altri, compresi i figli e soprattutto Umberto, in cui vedeva prima di tutto un erede al trono da educare come tale: vigevano nelle relazione del padre verso il figlio "autorità, etichetta, rigore, un sostanziale distacco in cui si mescolano la naturale freddezza emotiva del sovrano e la volontà di imporre un modello regale di comportamento <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 47</ref>.
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==1913-1925: apprendistato da re==
Il 13 novembre 1913 Vittorio Emanuele III conferì all'ammiraglio [[Attilio Bonaldi]] il compito di occuparsi dell'educazione del principe ereditario, seguendo quella tradizione educativa radicata in Casa Savoia, di cui lo stesso sovrano aveva pagato il prezzo divenendo un "uomo dal cuore freddo e dalla testa chiara" <ref>D. Bartoli, ''La fine della monarchia'', Mondadori, Milano, 1947, p. 65 </ref>. Bonaldi impartì al giovanissimo Umberto un'educazione eccessivamente rigida, che ebbe certamente delle conseguenze sulla personalità del futuro sovrano. E se Vittorio Emanuele III mantenne fino all'ultimo dei rapporti addirittura affettuosi con il suo precettore Osio, Umberto preferì prendere le distanze dal suo austero educatore, fino al punto da non recarsi alle sue esequie. Anni dopo Umberto avrebbe commentato così: "Io stesso credo di aver dato il segno di non aver gradito il peso, ma allora nella mia casa si usava così. A nessuno sarebbe mai passato per la mente di farmi diventare un buon uomo di scienza o o un esperto giurista. I Savoia erano re soldati e si preparavano fin da bambini a questo destino. Con mio padre avevo contatti normali nell'ambito di questa educazione" <ref>G. Orecchia, ''Maria Josè, regina di maggio'', MAE, Milano, 1988, p. 25</ref> .

Nessuna scuola pubblica per l'erede, ma una decina di precettori coordinati da un militare: se un tipo di educazione simile poteva essere anche considerata accettabile nel 1880, dopo oltre trent'anni era del tutto anacronistica ed fuori dai mutamenti pedagogici e sociali nel frattempo occorsi: <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 46</ref>. Obbediente e rispettoso, cresce in solitudine e si forma un carattere dominato dall'ossequio all'autorità e alla gerarchia fortemente dominato da un rigido autocontrollo <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 47</ref>
 
Secondo la prassi per ogni principe ereditario, segue una rapida carriera militare divenendo [[generale]] dell'esercito. Dopo il [[1925]] Umberto si stabilisce a Palazzo Reale a [[Torino]] dove fino al matrimonio conduce una vita spensierata. Vive in una realtà sostanzialmente estranea dalla politica attiva, essendo relegato, per volontà dello stesso regime fascista, in una posizione marginale. Di formazione liberal-conservatrice e (contrariamente alla tradizione familiare) profondamente credente, Umberto non suscita particolari simpatie in [[Benito Mussolini]], che diede disposizione sin dalla fine degli anni 20Venti di raccogliere un dossier relativo alla presunta [[omosessualità]] del principe, che vedeva coinvolti personaggi quali l'attore [[Jean Marais]] e diversi ufficiali suoi sottoposti e giovani amici, tra i quali figura anche [[Luchino Visconti]]. Tuttavia, anche a causa dell'uso che ne fece [[Benito Mussolini|Mussolini]] per la propaganda della [[Repubblica di Salò]], si pensa che le voci sulla presunta omosessualità di Umberto II furono il frutto di un'azione diffamatoria nei suoi confronti. Sull'altro versante, la sua amicizia con la cantante [[Milly (cantante)|Milly]] è stata enfatizzata dalle voci popolari e, nel secondo dopoguerra, anche dalla cronaca rosa.
 
Tuttavia, anche a causa dell'uso che ne fece [[Benito Mussolini]] per la propaganda della [[Repubblica di Salò]], si pensa che le voci sulla presunta omosessualità di Umberto II furono il frutto di un'azione diffamatoria nei suoi confronti. Sull'altro versante, la sua amicizia con la cantante [[Milly (cantante)|Milly]] è stata enfatizzata dalle voci popolari e, nel secondo dopoguerra, anche dalla cronaca rosa.
Secondo la prassi per ogni principe ereditario, segue una rapida carriera militare divenendo [[generale]] dell'esercito.
Dopo il [[1925]] Umberto si stabilisce a Palazzo Reale a [[Torino]] dove fino al matrimonio conduce una vita spensierata. Vive in una realtà sostanzialmente estranea dalla politica attiva, essendo relegato, per volontà dello stesso regime fascista, in una posizione marginale. Di formazione liberal-conservatrice e (contrariamente alla tradizione familiare) profondamente credente, Umberto non suscita particolari simpatie in [[Benito Mussolini]], che diede disposizione sin dalla fine degli anni 20 di raccogliere un dossier relativo alla presunta [[omosessualità]] del principe, che vedeva coinvolti personaggi quali l'attore [[Jean Marais]] e diversi ufficiali suoi sottoposti e giovani amici, tra i quali figura anche [[Luchino Visconti]]. Tuttavia, anche a causa dell'uso che ne fece [[Benito Mussolini|Mussolini]] per la propaganda della [[Repubblica di Salò]], si pensa che le voci sulla presunta omosessualità di Umberto II furono il frutto di un'azione diffamatoria nei suoi confronti. Sull'altro versante, la sua amicizia con la cantante [[Milly (cantante)|Milly]] è stata enfatizzata dalle voci popolari e, nel secondo dopoguerra, anche dalla cronaca rosa.
 
==Il matrimonio==
L'[[8 gennaio]] [[1930]], nella [[cappella Paolina]] del [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], si sposa con [[Maria José del Belgio|Maria José]], principessa del Belgio. Umberto veste l'uniforme di colonnello di fanteria. Secondo la leggenda sarebbe un matrimonio d'amore, ma la storia sarà comunque contrastata a causa dei diversi interessi culturali, politici e sociali e soprattutto dal divario fra le due educazioni ricevute. Dopo la funzione gli sposi sono ricevuti da [[papa Pio XI]], segnale di un progressivo disgelo fra l'Italia e il [[Vaticano]].
Dopo la funzione gli sposi sono ricevuti da [[papa Pio XI]], segnale di un progressivo disgelo fra l'Italia e il [[Vaticano]].
 
==1930-1931: il periodo torinese==
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==1931-1935: l'inizio del periodo napoletano==
Arrivarono a Napoli il [[4 novembre]], prendendo residenza nel Palazzo Reale: l'indomani ci fu un solenne ''[[Te Deum]]'' in [[Duomo di Napoli|cattedrale]], un ricevimento a Palazzo San Giacomo ed infine la serata di gala al [[Teatro San Carlo]], mentre i napoletani si dimostravano entusiasti dell'arrivo dei Principi, profondendosi in molteplici manifestazioni – preparate e spontanee – d'omaggio <ref>L. Regolo, op. cit. p. 295 </ref>. La coppia lasciò ben presto la reggia borbonica, destinata ad occasioni ufficiali, in favore di [[Villa Rosebery]], presso [[Posillipo]], dotata di spiaggia privata, dove Maria Josè e il marito amavano fare bagni notturni. La Principessa di Piemonte in questo periodo poté contattare, tramite l'amico [[Umberto Zanotti Bianco]], prima [[Benedetto Croce]] e poi altri esponenti dell'alta società avversi al fascismo, come lo stesso arcivescovo [[Alessio Ascalesi]]: Umberto lasciava fare, senza favorire o dissuadere la moglie. Naturalmente, come a Torino, l'OVRA vigilava ed [[Arturo Bocchini]] ordinava di sorvegliare costantemente la vita della coppia alla ricerca di rotture ed infedeltà, incrementando voci che naturalmente facevano il giro della città, alimentate a dismisura da soffiate anonime. Un viaggio a [[Bruxelles]] della Principessa venne inteso come prodromo ad una separazione, quando invece era solo sintomo della solitudine che la donna provava in climi tanto ostili <ref>L. Regolo, op. cit. pg 298 </ref>.
 
[[Immagine:Battesimo MariaPia Savoia.JPG|thumb|right|180 px|Battesimo di Maria Pia di Savoia ]]
Continuavano intanto le cerimonie ufficiali e di rappresentanza: l'incontro con il vecchio [[Gabriele d'Annunzio]] al [[Vittoriale]] nel novembre [[1932]] e la nuova ostensione della Sindone, dal [[24 settembre]] al [[15 ottobre]] [[1933]], in occasione dell'[[Anno Santo]]. Dopo lunga attesa (tanto ché all'inizio del 1932 Vittorio Emanuele III aveva mandato la nuora, accompagnata dal medico di corte, da un illustre ginecologo in Germania a farsi visitare) il [[5 febbraio]] [[1934]] il ginecologo di Casa Savoia, Valerio Artom di Sant'Agnese, poté confermare la prima gravidanza: due settimane dopo in un incidente in montagna moriva Alberto I del Belgio, e per il suo stato Maria Josè dovette rinunciare ad andare ai funerali. Il 24 settembre, a Palazzo Reale a Napoli, alla presenza anche di Elena di Savoia ed Elisabetta del Belgio, nasceva la primogenita [[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]]: portava lo stesso nome della [[Maria Pia di Savoia|Regina del Portogallo]], sorella di Umberto I, che alla proclamazione della repubblica si era rifugiata in esilio in Italia, a Stupinigi,e di cui Umberto aveva alcuni affettuosi ricordi. Vennero distribuiti 2350 sussidi e borse di studio "Maria Pia di Savoia", Vittorio Emanuele III offrì un pranzo per 400 poveri, e villa Rosebery venne ribattezzata Villa Maria Pia. Una settimana dopo ci fu il battesimo, madrina la zia materna [[Maria Francesca di Savoia|Maria]], padrino [[Leopoldo III del Belgio]], rappresentato per procura da Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta.
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La gravidanza, nei primi mesi, venne sommersa di voci maliziose su una sua possibile origine non naturale: si disse che era frutto di [[inseminazione artificiale]], richiesta per l'inabilità di Umberto a procreare, pratica allora non ortodossa e guardata con sospetto. La voce divenne così di dominio pubblico che [[Luigi Pirandello]] in un caffè romano ne parlò scandalizzato ad [[Alberto Moravia]] <ref>A. Cambria, op. cit., p. 57</ref> ed ancora anni dopo, di nuovo incinta, Maria Josè volle smentirlo con Ciano, che al [[30 dicembre]] [[1939]] registrò che la Principessa "mi ha lasciato intendere che il figlio che nascerà è di lui, senza intromissioni di medici e siringhe". Interrogato in merito, Ferdinando Savignoni, assistente di Artom, dichiarò che "i figli del Principe di Piemonte nacquero nel modo più naturale possibile" <ref>A. Cambria, op. cit., p. 58</ref>. Oltretutto, nonostante le molteplici visite mediche che la principessa fece, l'ipotesi dell'applicazione di una pratica allora in fase di studio iniziale, è abbastanza ardita e priva di fonti che la possano suffragare <ref>Oliva, op. cit., p. 148</ref>.
[[Immagine:Umberto MariaJosè Libia.JPG|thumb|180 px|left|Umberto e Maria Josè in Libia nel 1935]]
Umberto nello stesse periodo venne nominato comandante di divisione, assumendo il comando della Volturno, e poi membro del Consiglio dell'Esercito, ma questo non cambiò la sua situazione di escluso dall'ambiente politico che decideva, tanto che della prossima campagna d'Etiopia lo seppe da [[Italo Balbo]]. Alla fine del [[1935]] infatti i Principi di Piemonte partirono per un viaggio nel nord Africa, prima tappa la colonia di Libia e poi l'Egitto, dove regna re Farouk, amico di vecchia data di Casa Savoia.

Il governatore fresco del successo personale della crociera atlantica, offrì agli ospiti sorvoli aerei della Tripolitania e, nella sua residenza, il castello di el-Serai, il proprio punto di vista ed i propri dubbi sul regime e sulla sua scarsa preparazione militare. "In Libia, Balbo ci parlò in modo molto scettico riguardo al regime e a Benito Mussolini. Disse che la ''ciambella del fascismo'' non era riuscita secondo le iniziative e che un paese dove non si può manifestare liberamente la propria opinione non ha futuro. Il governatore, inoltre, sembrava essere già al corrente delle intenzioni che il Duce, di lì a qualche mese, avrebbe manifestato a proposito dell'Etiopia" <ref>L. Regolo, La regina incompresa, p. 166 </ref>. Da quel momento iniziò un regolare scambio di missive tra i principi e Balbo, ed altre visite di Maria Josè in Libia, tutti fatti che irritarono Mussolini e le alte gerarchie del partito <ref>L. Regolo, op. cit. p. 329 </ref>. In ogni caso Umberto non disse nulla al padre né chiese informazioni su quanto aveva sentito, nonostante egli stesso a Napoli salutasse molteplici truppe in partenza per il porto di Massau, ufficialmente per esercitazioni.
 
==1935-1937: l'Impero d'Etiopia ed il nuovo erede al trono==
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Ad agosto, per la chiusura delle [[Giochi della XI Olimpiade|Olimpiadi di Berlino]], Umberto fu sul palco affianco ad Hitler, che disprezzava, ricambiato<ref>L. Regolo, Il re signore, p. 337 </ref>, ed accettò la gran croce d'oro dell'[[Ordine dell'Aquila Nera]] e poco dopo, a Napoli, ricevette in compagnia della moglie [[Primo Carnera]]. Anche in questa occasione le calunnie dell'OVRA non si fecero attendere e si registrò di ''avances'' al pugile, secondo alcuni fatte da Maria Josè, secondo altri da Umberto<ref>L. Regolo, op. cit., p. 343</ref>. A queste menzogne si aggiunsero quelle, naturali considerato quanto già avvenuto nel 1934, sorte quando nell'ottobre del 1936 venne annunciata la nuova gravidanza della Principessa di Piemonte, tutte tese ad attribuirla a padri illegittimi. Si osservò che era rimasta incinta a ridosso della partenza per l'Africa, e si tirò fuori la storia dell'amicizia tra la Principessa e gli aitanti, sportivi e gaudenti cugini Savoia-Aosta, Aimone ed Amedeo: si disse che aveva incontrato due volte il secondo, mentre in realtà ad incontrare Maria Josè, due volte, era stato Aimone, sulla Cesarea, alla presenza comunque di altre autorità<ref> L. Regolo, op. cit., pg. 342 </ref>. Era nota infatti la simpatia tra lei ed i due fratelli, anticonformisti, esuberanti ed insofferenti all'etichetta: che vi fosse una particolare simpatia verso il futuro viceré d'Etiopia lo si pensò quando Maria Josè dedico il suo primo libro ''A la memoire du valeureux et chavaleresque Amédée'' pubblicando la foto di suo figlio Vittorio Emanuele appoggiato alla "quercia di Amedeo"<ref>Bertoldi, L'ultimo re l'ultima regina, pp. 47-48 </ref>.
[[Immagine:Vittorio Emanuele III e nipote.JPG|thumb|150 px|left|Vittorio Emanuele III con il nipote ed erede omonimo]]
 
Il [[12 febbraio]] 1937, alle 14:30, nacque l'atteso [[Vittorio Emanuele di Savoia|erede maschio]] cui venne imposto il nome del nonno, e a seguire molti altri, di carattere dinastico o familiare <ref>Vittorio Emanuele, Alberto, Carlo Teodoro, Umberto, Bonifacio, Amedeo, Damiano, Bernardino, Maria, Gennaro</ref>. A questa gioia e motivo di orgoglio seguì due mesi dopo, il 5 aprile 1937, il conferimento alla regina Elena da parte di [[papa Pio XI]] della [[Rosa d'Oro]], il più importante segno di benevolenza papale verso le sovrane. Il battesimo fu celebrato il [[31 maggio]] nella Cappella Paolina, dove si erano sposati i genitori, ed era il primo battesimo di un erede al trono in pompa magna a Roma<ref>Umberto I fu battezzato a Torino, Vittorio Emanuele III a Napoli ed Umberto II a Roma, ma in maniera dimessa per via della scomunica pendente sui Savoia.</ref>. Alle undici del mattino: obbligatorio per gli uomini divisa o [[panciotto]] e [[marsina]] e [[coccarda]] di raso azzurro Savoia, per le donne velo bianco, bande di pizzo e l'iniziale in brillanti della Regina o della Principessa ereditaria. Il corteo era aperto dai padrini, Vittorio Emanuele III ed Enrichetta del Belgio duchessa di Vendôme (in rappresentanza della madrina la regina Elisabetta del Belgio, Umberto con la madre Elena e Maria Josè al braccio del cugino monsignore il principe Giorgio di Baviera<ref>L. Regolo, op. cit., p. 348 </ref>.
 
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==1937-1939: crisi nella Diarchia, antinazismo e velleità di golpe==
[[Immagine:P1010329.JPG |thumb|250 px|right|Amedeo di Savoia-Aosta, nominato Vicerè, riceve gli omaggi dei ras]]
Nel settembre del 1937 Mussolini in visita in Germania restò affascinato dalla potenza che sprigionava il regime nazista: a novembre firmò il patto anti-[[Comintern]] e a dicembre uscì dalla [[Società delle Nazioni]]. Mentre Mussolini si avvicina ad Hitler e diventa sempre più insofferente nei confronti della Casa Reale, suo genero e ministro degli esteri, antitedesco, [[Galeazzo Ciano]] provava a stringere con i Principi di Piemonte rapporti più stretti. I principi avevano di Ciano l'impressione di un uomo snob e di scarso acume (cui si aggiungeva una sana antipatia tra Maria Josè ed [[Edda Ciano]])<ref>"Edda Ciano ed io non siamo mai andate molto d'accordo. Lei voleva primeggiare. Ma era una donna molto intelligente e sapeva molte cose" Maria Josè di Savoia in L. Regolo, op. cit., p. 369</ref>, ma in seguito ne apprezzarono l'antinazismo, le molte informazioni cui poteva arrivare ed infine il modo di fare più garbato ed intellettuale rispetto a quello tipico di altri gerarchi come [[Achille Starace]], [[Ettore Muti]] o Farinacci<ref>L. Regolo, op. cit., p. 350 </ref>: era insomma uno dei pochi gerarchi frequentabili<ref>Bertoldi, l'ultimo re l'ultima regina, p. 88 </ref>. Ciano iniziò ad organizzare vari incontri, più o meno casuali, con il Principe ereditario, riportandone sempre le impressioni, che passarono da un "colloquio scialbo" il [[31 agosto]] ad un "gran calore" per le felicitazioni alla nascita del figlio Marzio il [[19 dicembre]].

Tale evoluzione fu forse dovuta anche ad una reazione al fatto che Mussolini mostrava sempre più fiducia in Amedeo d'Aosta, proposto a Franco come possibile re di Spagna ed intanto nominato viceré d'Etiopia la posto del maresciallo Graziani, mentre Umberto rimaneva in una posizione defilata. I sospetti esplosero quando ai principi divenne nota la clausola inerente la successione al trono votata dal [[Gran Consiglio]] nel 1928, e spinsero Maria Josè ad irrompere a [[Palazzo Venezia]] per aver lumi: Mussolini rispose che la norma andava applicata solo in mancanza di discendenza diretta, cosa che in quel momento non si verificava<ref>L. Regolo, op. cit., p. 351 </ref>.
 
Nell'aprile del 1938 la crisi tra Corona e Regime toccò il suo punto più alto, con il colpo di mano della creazione del grado di [[Primo Maresciallo dell'Impero]]: Starace e Ciano fecero approvare di sorpresa prima alla Camera, per acclamazione, poi al Senato, questo nuovo grado, attribuito sia al Re che al Duce, il che li equiparava di fatto, e violava gravemente i poteri regi. Le rimostranze di Vittorio Emanuele III furono veementi, tanto da dire a Mussolini che gli portava la legge da firmare: «Questa legge è un altro colpo mortale contro le mie prerogative sovrane. [...] questa equiparazione mi crea una posizione insostenibile perché è un'altra patente violazione dello [[Statuto Albertino|Statuto del Regno]]» e che avrebbe preferito abdicare, se l'Italia non fosse in quel mentre attiva sul [[guerra civile spagnola|fronte spagnolo]], pur di non indossare quella doppia greca <ref>B. Mussolini, ''Storia di un anno'', p. 180</ref>. Un possibile motivo di arrendevolezza del sovrano in questo frangente è desumile da quanto riportato il [[2 aprile]] da Ciano nel suo Diario: «Mussolini [...] mi ha detto: "Basta. Ne ho le scatole piene. Io lavoro e lui firma. [...] Ho risposto che potremo andare più in là alla prima occasione. Questa sarà certamente quando alla firma rispettabile del Re si dovesse sostituire quella meno rispettabile del Principe. Il duce ha annuito e, a mezza voce, ha detto: "Finita la Spagna, ne riparleremo"». <ref>G. Ciano, op. cit., pg 120.</ref>: pare realistico pensare che Vittorio Emanuele III allora, ed altre volte in futuro, evitasse di coinvolgere il figlio negli affari di Stato o cedergli qualsiasi scampolo di potere effettivo per proteggerlo da queste oscure manovre del Regime<ref>L. Regolo, op. cit., p. 354 </ref>.
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Divenuto intanto generale designato d'Armata ed ispettore di fanteria, Umberto iniziò ad esprimere, a chi glielo chiedeva, il suo profondo scontento verso le risorse effettive delle truppe: Mussolini, che oramai non si fidava più ed iniziava a ritenerlo, se non pericolo, almeno palesemente avverso, gli impedì di andare a [[Parigi]], covo dei fuoriusciti antifascisti, ad inaugurare un busto del defunto suocero [[Alberto I del Belgio]]. In un clima così teso, le nozze dell'ultimogenita dei sovrani, [[Maria Francesca di Savoia|Maria]] con il principe Luigi di [[Borbone di Parma|Borbone-Parma]] avvenute il 23 gennaio 1939, ebbero il minimo dell'attenzione e dell'organizzazione possibile <ref>L. Regolo, op. cit., p. 369</ref>. Tre mesi dopo, infatti, l'Italia invadeva l'[[Albania]] (di cui Vittorio Emanuele III era proclamato sovrano) e, il [[22 maggio]], veniva firmato il [[Patto d'Acciaio]]. A marzo, incontratolo a [[Salisburgo]], [[Italo Balbo]] aveva già anticipato l'avvenimento a Maria Josè, oramai certa di quale sarebbe stata la sorte del Belgio davanti all'aggressività tedesca. Le intenzioni, le idee e la ''fronda'' dei principi di Piemonte erano così note anche all'estero che nei giorni della firma del Patto d'Acciaio sul ''[[Daily Mirror]]'' <ref>cfr Daily Mirror, 13 maggio 1939</ref> uscì un articolo anonimo dal titolo "Il duce spedisce il principe in esilio", dove si diceva che Umberto e la moglie si sarebbero a breve rifugiati a [[Bruxelles]] in una "sorta di esilio dettato dal signor Mussolini [...] Il principe ereditario non ha mai nascosto la sua opposizione al fascismo"; inoltre si aggiungeva che erano sorte tensioni fra lui e Ciano (cosa possibile, poiché dopo l'incontro del 6 novembre 1938 il ministro ne ha uno solo il 18 novembre 1939); notizie tutte riprese lo stesso giorno dal ''News Chronicle''. Naturalmente erano esagerazioni, ma davano l'idea di come la posizione dei principi ereditari fosse nota <ref>L. Regolo, op. cit., p. 370</ref>.
 
[[Immagine:Nozze Aosta Grecia 1939.JPG|thumb|left|140 px|Aimone ed Irene di Grecia]]
Fu quindi naturale che il Duce, nella preparazione dei comandi per la guerra prossima, scegliesse accuratamente di porre in secondo piano il principe ereditario, escludendolo non solo dalla possibilità di prendere decisioni, ma anche dal ricevere gloria militare, cosa che probabilmente sarebbe stata approvata da Hitler il quale, il 22 agosto 1939, disse ai suoi generali che "Mussolini è messo in pericolo da quell'imbecille di un re e da quel perfido furfante di un principe ereditario" <ref> Documents on British Foreign Policy 1919-1939, terza serie, volume VII, Londra, 1954, pg 258 in L. Regolo, op. cit., pg. 361</ref>. La manovra naturalmente non sfuggì al Re che, nel suo incontro con Ciano del 24 agosto, pretese che il duce «dia al principe di Piemonte un comando. Hanno il comando quei due [[Savoia-Genova|imbecilli di Bergamo e di Pistoia]], può ben averlo mio figlio, la cui testa vale quella del duca d'Aosta». Questa schiettezza e comunicatività del Re, notoriamente uomo di poche parole, col ministro degli esteri, neo [[Ordine Supremo della Santissima Annunziata|collare dell'Annunziata]], era motivata dal comune sentimento antitedesco, aumentato in Ciano dopo il suo incontro dell'11 agosto con von Ribbentrop ed Hitler. Il colloquio terminò con una confidenza del sovrano: "paternamente ha aggiunto che il Principe a me vuol bene, molto bene e che di me sempre gli parla con fiducia e speranza" <ref>G. Ciano, op. cit., p. 333</ref>. In situazioni simili naturalmente la nuova gravidanza di Maria Josè non fu oggetto neppure delle calunnie dell'OVRA.
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==1941-1942: forzata inattività==
Nei mesi successivi il fronte greco-albanese mostrò l'inadeguatezza dell'esercito italiano e, a fronte dei rovesci e degli insuccessi, Umberto chiese di essere mandato in visita d'ispezione, cosa che Mussolini rifiutò, preferendo scegliere per l'occasione alti esponenti del partito, come Ciano, Farinacci, Bottai ed infine sé stesso, nel marzo 1941. Ugualmente gli fu negata la possibilità di andare in Libia, durante l'offensiva inglese, anche per veto di [[Erwin Rommel]]. Di questi fatti il maresciallo Caviglia stese una rapida sintesi nel proprio diario, osservando come la politica dinastica di Mussolini fosse "ambigua. Egli sta [...] esaltando il Duca d'Aosta , così come faceva con il defunto padre di lui. [...] Il principe di Piemonte è messo in disparte: non gli danno nessun comando. Non glielo diedero in Albania [...] e il re nulla fa per salvare la dinastia" <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 336</ref> E mentre Mussolini ufficiosamente osteggiava l'erede al trono, dal gennaio 1941 generale d'armata, questi iniziava a stringere legami con Bottai e Ciano, che annota al 15 maggio di quell'anno un grave moto di scontento del principe in seguito alla stabilizzazione della situazione jugoslava dopo l'intervento tedesco: "Lui -sempre così prudente- ha criticato con parole aperte il sistema in genere, e la stampa in particolare. Vive nell'ambiente militare ed ha assorbito in questi mesi una buona dose di veleno, che in lui ha fatto effetto" <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 387 </ref>. Il 6 maggio i tedeschi avevano invaso la Jugoslavia, che s'era arresa il 18, avevano costituito lo [[Stato indipendente di Croazia]] 10 (cui re fu designato [[Aimone di Savoia, quarto duca d'Aosta]] come ''Tomislavo II'') e permesso l'erezione di un nuovo [[Occupazione italiana del Montenegro|regno di Montenegro]], di cui fu sovrano Vittorio Emanuele III in unione personale; la regina Elena si rifiutò di prendere in considerazione l'idea di beneficiare di tale dubbio onore il proprio nipote [[Michele I del Montenegro|Michele]], teorico erede al trono della dinastia Petrović Niegoš.
 
E mentre Mussolini ufficiosamente osteggiava l'erede al trono, dal gennaio 1941 generale d'armata, questi iniziava a stringere legami con Bottai e Ciano, che annota al 15 maggio di quell'anno un grave moto di scontento del principe in seguito alla stabilizzazione della situazione jugoslava dopo l'intervento tedesco: "Lui -sempre così prudente- ha criticato con parole aperte il sistema in genere, e la stampa in particolare. Vive nell'ambiente militare ed ha assorbito in questi mesi una buona dose di veleno, che in lui ha fatto effetto" <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 387 </ref>. Il 6 maggio i tedeschi avevano invaso la Jugoslavia, che s'era arresa il 18, avevano costituito lo [[Stato indipendente di Croazia]] 10 (cui re fu designato [[Aimone di Savoia, quarto duca d'Aosta]] come ''Tomislavo II'') e permesso l'erezione di un nuovo [[Occupazione italiana del Montenegro|regno di Montenegro]], di cui fu sovrano Vittorio Emanuele III in unione personale; la regina Elena si rifiutò di prendere in considerazione l'idea di beneficiare di tale dubbio onore il proprio nipote [[Michele I del Montenegro|Michele]], teorico erede al trono della dinastia Petrović Niegoš.
Mentre i successi germanici iniziavano ad arrestarsi Umberto nascondeva sempre meno la propria radicata avversione ai nazisti, come si apprende da Ciano, sempre più presente nell'entourage del principe. A fine ottobre, durante una battuta di caccia con von Ribbentropp, questi definì espressamente con il genero del Duce Umberto come ''ostile'', dopo aver affermato che a Corte ''si intriga''. Quanto il tedesco avesse ragione è sancito da ciò che Ciano scrisse poco dopo, al [[7 novembre]] 1941: del principe ''era chiaro il suo preconcetto contro gli alleati che giudica insopportabilmente grossolani''<ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 394 </ref>. Intanto continuavano ad essergli negati comandi effettivi: nel giugno del 1941 quello del [[CSIR]], le prime truppe italiane nella campagna di Russia, e poi quello dell'[[ARMIR]], sempre in Russia, nel febbraio 1942, compensato pateticamente pochi mesi dopo dal comando delle Armate Sud al posto del maresciallo [[Emilio De Bono]]. Questi avvenimenti suscitarono abbastanza scalpore nelle alte sfere politiche e militari. Caviglia osservò che su un esercito di 70 divisioni, 35 delle quali nei Balcani, al principe ne erano state affidate alcune peninsulari, con due di riserva strategica in caso di sbarco nemico <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 362 </ref>. Il conte di Torino, che pure non era tra i membri più importanti o più scaltri di Casa Savoia, si lamentò con Giovanni Agnelli che Mussolini aveva apposta ostacolato Umberto che ''dovrebbe invece poter acquistare maggior popolarità, altrimenti che cosa succederà alla morte del re?'' <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 395 </ref> A sintetizzare tutta la situazione, con i pro ed i contro ed un giudizio valido anche per gli avvenimenti futuri, fu ancora Caviglia nel suo diario, riportando un proprio colloquio con De Bono: Umberto non accettava sia perché aveva già delle armate assegnate, sia perché si sarebbe trovato gerarchicamente agli ordini dei tedeschi, cosa che Caviglia trovava anche accettabile. Eppure il maresciallo era d'idea che il Principe dovesse andare lo stesso in Russia, così da farsi ''fama di buon soldato. Se la situazione della dinastia, oggi, in Italia, fosse migliore, se l'attuale sovrano non fosse tanto scaduto nella opinione pubblica [...] non vi sarebbe bisogno del sacrificio del Principe di Piemonte. Perché, in caso di rovescio militare, quel sacrificio potrebbe salvare la dinastia'' <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 354 </ref>.
 
Mentre i successi germanici iniziavano ad arrestarsi Umberto nascondeva sempre meno la propria radicata avversione ai nazisti, come si apprende da Ciano, sempre più presente nell'entourage del principe. A fine ottobre, durante una battuta di caccia con von Ribbentropp, questi definì espressamente con il genero del Duce Umberto come ''ostile'', dopo aver affermato che a Corte ''si intriga''. Quanto il tedesco avesse ragione è sancito da ciò che Ciano scrisse poco dopo, al [[7 novembre]] 1941: del principe ''era chiaro il suo preconcetto contro gli alleati che giudica insopportabilmente grossolani''<ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 394 </ref>. Intanto continuavano ad essergli negati comandi effettivi: nel giugno del 1941 quello del [[CSIR]], le prime truppe italiane nella campagna di Russia, e poi quello dell'[[ARMIR]], sempre in Russia, nel febbraio 1942, compensato pateticamente pochi mesi dopo dal comando delle Armate Sud al posto del maresciallo [[Emilio De Bono]]. Questi avvenimenti suscitarono abbastanza scalpore nelle alte sfere politiche e militari. Caviglia osservò che su un esercito di 70 divisioni, 35 delle quali nei Balcani, al principe ne erano state affidate alcune peninsulari, con due di riserva strategica in caso di sbarco nemico <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 362 </ref>. Il conte di Torino, che pure non era tra i membri più importanti o più scaltri di Casa Savoia, si lamentò con Giovanni Agnelli che Mussolini aveva apposta ostacolato Umberto che ''dovrebbe invece poter acquistare maggior popolarità, altrimenti che cosa succederà alla morte del re?'' <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 395 </ref> A sintetizzare tutta la situazione, con i pro ed i contro ed un giudizio valido anche per gli avvenimenti futuri, fu ancora Caviglia nel suo diario, riportando un proprio colloquio con De Bono: Umberto non accettava sia perché aveva già delle armate assegnate, sia perché si sarebbe trovato gerarchicamente agli ordini dei tedeschi, cosa che Caviglia trovava anche accettabile. Eppure il maresciallo era d'idea che il Principe dovesse andare lo stesso in Russia, così da farsi ''fama di buon soldato. Se la situazione della dinastia, oggi, in Italia, fosse migliore, se l'attuale sovrano non fosse tanto scaduto nella opinione pubblica [...] non vi sarebbe bisogno del sacrificio del Principe di Piemonte. Perché, in caso di rovescio militare, quel sacrificio potrebbe salvare la dinastia'' <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 354 </ref>.
 
A sintetizzare tutta la situazione, con i pro ed i contro ed un giudizio valido anche per gli avvenimenti futuri, fu ancora Caviglia nel suo diario, riportando un proprio colloquio con De Bono: Umberto non accettava sia perché aveva già delle armate assegnate, sia perché si sarebbe trovato gerarchicamente agli ordini dei tedeschi, cosa che Caviglia trovava anche accettabile. Eppure il maresciallo era d'idea che il Principe dovesse andare lo stesso in Russia, così da farsi ''fama di buon soldato. Se la situazione della dinastia, oggi, in Italia, fosse migliore, se l'attuale sovrano non fosse tanto scaduto nella opinione pubblica [...] non vi sarebbe bisogno del sacrificio del Principe di Piemonte. Perché, in caso di rovescio militare, quel sacrificio potrebbe salvare la dinastia'' <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 354 </ref>.
 
Così, scartato anche dalla possibilità di un incarico in Africa Orientale, ad Umberto e a Maria Josè rimase solo la possibilità di alleviare con gesti pratici le sorti degli italiani vittime delle ristrettezze dei lutti apportati dalla guerra: si prodigò per il rientro dalla prigionia in mani inglesi del generale Alberto Cordero di Montezemolo e della famiglia; a fine 1942 provvide, su richiesta di [[Enrico Marone Cinzano]] alla sistemazione di circa 200 persone, dipendenti e famiglie della [[Cinzano (azienda)|Cinzano]], tutti sfollati per i bombardamenti; donò indumenti ai sinistrati e fece restaurare a sue spese oggetti antichi delle collezioni d'arte torinesi danneggiate dai bombardamenti <ref>L. Regolo, op. cit. pg 399 </ref>. E mentre Maria Josè si intratteneva al Quirinale con antifascisti di vari ambienti come [[Benedetto Croce]], [[Paolo VI|monsignor Montini]], [[Paolo Monelli]], Antoni Gonella, Umberto incontrò più volte il capo della Polizia [[Carmine Senise]], membri delle Forza Armate come Caviglia e [[Ugo Cavallero|Cavallero]], e del Partito come [[Giuseppe Bottai|Bottai]]. Questi il [[21 ottobre]] 1942 registrò sul suo diario che ''Gente, per solito sennata, viene a confidarti [...] di complotti capitanati dal principe ereditario e dalla sua consorte. Si danno per veri ordini impartiti alla polizia di sorvegliare gli edifici tipici dei colpi di stato'' <ref>G. Bottai, op. cit, pg 331 </ref>.
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Umberto partì quindici minuti dopo i genitori e per tutta la durata del viaggio espresse più volte la propria intenzione di restare, come comandante militare, a guidare una resistenza delle truppe e a rappresentare la Corona nella capitale, contestando l'ordine del padre<ref> Denis Mack Smith, "I Savoia Re d'Italia", Rizzoli, 1990, p. 411.</ref>. Era conscio che, sebbene apparisse ragionevole tentare salvare la continuità delle istituzioni statali, il trasferimento del Re e del governo, operato in quella maniera, si stava svolgendo nel modo peggiore, tale da arrecare un danno gravissimo anche al prestigio della Corona<ref>Oliva, "Umberto II" pg. 175.</ref>.
 
Nel viaggio da Roma, al bivio per [[Bracciarola]] (presso Chieti, quasi giunti alla destinazione prevista di Pescara), fermatosi il convoglio per un carretto in mezzo alla strada, il Principe scese e si affiancò alla macchina dove c'era il Re per esprimergli l'intenzione di tornare indietro: il padre gli rispose in piemontese "''Beppo, s'at piju, at massu''" cioè "Beppo, se ti prendono ti ammazzano". Più tardi, giunti presso il castello di [[Crecchio]], ospiti dai duchi di Bovino, parlando con il maggiore pilota Carlo Ruspoli, già suo compagno di corso al collegio militare, Umberto esplorò lo possibilità di tornare nella capitale in aereo, e di questo parlò con il generale Puntoni<ref>Paolo Puntoni, ''Parla Vittorio Emanuele III'', pag. 201.</ref>, aiutante di campo del Re. "La mia partenza da Roma è stato semplicemente uno sbaglio. Penso che sarebbe opportuno io tornassi indietro: la presenza di un membro della mia Casa nella capitale, in momenti così gravi la reputo indispensabile" <ref> L. Regolo, op. cit. pg. 432 </ref>.

Badoglio gli disse "Le devo ricordare che lei è un soldato, e poiché porta le stellette deve obbedire": egli, il Re ed Acquarone addussero motivi di sicurezza personale e politici: il suo gesto avrebbe screditato il governo ed il sovrano<ref>Oliva, "Umberto II" pg. 176.</ref>. La stessa duchessa di Bovino Antonia de Riseis cercò di convincerlo a tornare a Roma per organizzare una resistenza armata e galvanizzare il morale delle truppe, ma il Principe le rispose che in quel momento un tale atto sarebbe parso una ribellione, mentre tutti dovevano collaborare per non indebolire l'autorità sovrana, stringendolesi attorno <ref>Luigi Cafieri, ''Da Crecchio a San Samuele in otto tappe'', Laterza, pg. 26.</ref>. Ulteriore tentativo di Umberto di opporsi alle decisioni regie e governative avvenne all'aeroporto di Pescara, nel pomeriggio del 9 settembre, alla presenza di una nutrita parte della comitiva, quando egli espresse il desiderio di voler tornare a Roma per difendere l'onore di Casa Savoia: fu la regina, questa volta, a dirgli "Beppo, tu n'iras pas on va te tuer" cioè "Non andrai Beppo, ti uccideranno" <ref>L. Regolo, op. cit. pg 432.</ref>.
 
Nell'intervista del 1979, invece, Umberto II smentì questi fatti: