Plotino: differenze tra le versioni

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==Dottrina==
La dottrina di Plotino nasce dalla constatazione che al vivere è essenziale l'unità<ref>«Se si può dare di ogni essere la sua definizione, è perché si dice di ciascuno che è uno, e
che a ciò deve la sua esistenza» (''Enn. V, 3, 15'').</ref>. Mentre l'artigiano costruisce l'uno a partire dai molti, cioè assemblando più parti tra loro, la natura sembra operare in senso inverso: da un principio semplice fa scaturire il [[molteplicità|molteplice]]. Ad esempio, nell'individuo Socrate sembra operare un unico principio o ''[[logos]]'', che articolandosi ne determina l'aspetto, come il volto, o il naso camuso; questo non è modellato da uno scultore, ma si sviluppa da sé, in virtù di una forza interiore che è la stessa che fa vivere Socrate. Plotino chiama ''[[Anima del mondo]]'' il principio vitale da cui prendono forma le piante, gli animali, e gli esseri umani. È da questo principio universale che è possibile comprendere i gradi inferiori della [[natura]], non viceversa. La [[vita]], secondo Plotino, non opera assemblando singoli elementi fino ad arrivare agli organismi più evoluti e intelligenti, ma al contrario, l'[[intelligenza]] dev'essere già presente dentro di lei.
 
Ciò evidentemente è possibile perché l'Anima discende a sua volta da una superiore unità in cui immediatamente coesistono quelle forme intellegibili (le [[idea|Idee]] [[Platone|platoniche]]), che per il suo tramite diventano le ragioni [[immanenza|immanenti]] e formanti degli [[organismo|organismi]]. Le Idee devono tuttavia restare in sé [[trascendenza|trascendenti]], espressioni di un medesimo [[Intelletto]] o Pensiero [[autocoscienza|autocosciente]], che pensandosi si rende oggetto a se stesso. In lui, [[essere]] e [[pensiero]] formano così un ''unicum''. Tale [[identità (filosofia)|identità]] di essere e pensiero è però ancora un'identità di due realtà distinte, benché coincidenti. Secondo Plotino occorre allora ammettere il puro [[Uno (filosofia)|Uno]] al di sopra di questa stessa identità, quale principio ineffabile del Tutto.
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Anche [[Parmenide]], a cui Plotino intende esplicitamente richiamarsi, aveva individuato nell'unità l'attributo primario dell'[[essere]] (per un'impossibilità [[logica]] di pensarlo diviso). Ma nel rifarsi a lui, Plotino cerca di dare maggiore coerenza e organicità al pensiero di [[Platone]], di cui si considera erede, conservando la nozione di filosofia come ''[[eros (filosofia)|eros]]'' e come ''[[dialettica]]''. Platone aveva posto al principio di tutto non l'Uno, ma una dualità, tentando così di fornire una spiegazione razionale al molteplice. Secondo Plotino invece la dualità è un principio contraddittorio, che egli collocherà piuttosto nell'Intelletto, da lui identificato anche con l’[[essere]] parmenideo. Plotino così pone l’Uno al di sopra dell'Essere a differenza non solo di [[Parmenide]], ma anche di [[Aristotele]] e [[Platone]].
 
L'Uno «non può essere alcuna realtà esistente» e non può essere la mera somma di tutte queste realtà (diversamente dalla dottrina [[Stoicismo|stoica]] che concepiva [[Dio]] immanente al mondo), ma è «prima di tutto ciò che esiste». All'Uno quindi non si possono assegnare attributi. Ad esempio, non gli si possono attribuire [[pensiero|pensieri]] perché il pensiero implica distinzione tra il pensante e l'oggetto pensato. Allo stesso modo, non gli si può attribuire una [[Volontàvolontà]] cosciente, né attività alcuna<ref>«Nulla affermando sul suo conto, evitando l'errore di attribuirgli proprietà come se lo riguardassero», l'Uno «si riduce al solo ''"è"'' senza attestare caratteri che in Lui non ci sono» (''V, 5, 13'').</ref>. Plotino nega implicitamente anche una natura senziente o [[autocoscienza|autocosciente]] per l'Uno<ref>Cfr. [''IV, 5, 6''.V.VI]</ref>. Acconsente di chiamarlo "[[Bene (etica)|Bene]]", ma con tutte le cautele del caso: {{quote|L'Uno non può essere una di quelle cose alle quali è anteriore: perciò non potrai chiamarlo Intelligenza. E nemmeno lo chiamerai Bene, se Bene voglia significare una tra le cose. Ma se Bene indica Colui che è prima di tutte le cose, lo si chiami pure così.}}
[[File:Celestia sun.jpg|250px|right|thumb|L'Uno è come una sorgente di luce che viene emanata progressivamente nell'oscurità<ref>Cfr. ''IV, 3, 17''.</ref>]]
In [IV,V5,VI6], Plotino paragona l'Uno al [[sole]], l’Intelletto alla [[luce]], e infine l'Anima alla [[luna]], la cui luce è solo un «derivato conglomerato della luce del sole». Come spiega in [V.VI.III,6,3] e in altri punti, è impossibile che l'Uno sia un [[Dio]] personale e creazionista come quello cristiano. Dell'Uno nulla si può dire, a meno di non cadere in [[principio di non contraddizione|contraddizione]]. L'Uno può essere arguito solo per via negativa, dicendo ciò che esso ''non'' è: quella di Plotino è pertanto una [[teologia negativa]] o [[apofatismo|apofatica]], assimilabile alle religioni orientali come l'[[induismo]], il [[buddhismo]] e il [[taoismo]].
 
"''Uno''" è anch'esso un termine improprio, usato solo per distinguerlo dai molti. Nel risalire a Lui, Plotino ricorre al principio logico secondo cui il "meno perfetto" deve di necessità ''emanare'' dal "più perfetto". Così tutta la "creazione" discende dall'Uno in stadi successivi di sempre minore perfezione.
Volendo trovare un perché a questa discesa, potremmo immaginare l'Uno come ''volontà'' o [[energia]]<ref>L'Uno è «la potenza di tutte le cose» (''III, 8, 10'').</ref> che dona all'esterno di sé il risultato della sua natura attributiva (essendo la natura della volontà quella di volere). Questo ''donare'' però esula chiaramente da qualunque esigenza [[razionalità|razionale]]; se infatti l'Uno andava ammesso per una necessità della [[logica formale]], poiché non potremmo avere coscienza dei molti senza rapportarli all'uno, una tale necessità viene invece a mancare quando, nel discendere, cerchiamo ragioni che costringano l'Uno a ''uscire da sé'' e generare il [[molteplicità|molteplice]]. Egli infatti è del tutto autosufficiente, essendo "causa di sé". Assegnare ragioni all'Uno è peraltro impossibile, essendo Egli piuttosto la fonte di ogni [[ragione]]: diciamo allora che la ''necessità'' del donare fa parte della sua natura, ma non perché ne abbia bisogno. L'Uno genera in maniera assolutamente disinteressata e involontaria gli stadi a sé inferiori.
Questi stadi non sono temporalmente isolati, ma si susseguono lungo un processo costante, in un ordine eterno. I filosofi [[neoplatonismo|neoplatonici]] successivi, specialmente [[Giamblico]], aggiunsero centinaia di esseri ed emanazioni intermedie tra l'Uno e l'umanità, mentre il sistema plotiniano rimane relativamente semplice.
 
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La seconda ipostasi è quella dell'[[Intelletto]], generato — non creato — per emanazione o [[processione (teologia)|processione]] (''apòrroia''). L'emanazione avviene per una sorta di auto-contemplazione [[estasi|estatica]] dell'Uno: nel contemplarsi, l'Uno si sdoppia in un soggetto contemplante e un oggetto contemplato. Questa autocontemplazione non appartiene propriamente all'Uno, perché in Lui non c'è dualismo alcuno. L'autocontemplazione o [[autocoscienza]] è soltanto la conseguenza del traboccare dell'Uno, che ne rimane al di sopra. Tale autocoscienza, che tra l'altro è ancora piena identità di soggetto e oggetto, è l’Intelletto (o [[Essere]]). In altre parole, l’Intelletto è l'[[estasi]] dell'Uno: estasi vuol dire infatti "uscire da sé". L'Uno esce di sé non per un libero atto di amore, ma per un processo necessario ed eterno, «verosimilmente perché è ridondante» dice Plotino: si tratta come abbiamo visto di una necessità originata dall'Uno stesso, che ne resta comunque superiore.
 
Nell'Intelletto il [[soggetto (filosofia)|Soggetto]], cioè il Pensiero, è identico immediatamente all'[[oggetto (filosofia)|Oggetto]], cioè l'Essere: sono infatti due termini complementari, che non possono logicamente sussistere senza l'altro. Si tratta dell'[[identità (filosofia)|identità]] di essere e pensiero di cui già aveva detto [[Parmenide]]. Plotino però chiama la chiama "''Noùs''", che è il nome dato da [[Aristotele]] al "pensiero di pensiero" (''Nòesis noèseos'' in [[lingua greca|greco]]), e prima ancora da [[Anassagora]] all'[[intelletto cosmico|Intelletto ordinatore]]. ''Nòesis'' in greco vuol dire [[intuizione]]: l'Intelletto è infatti auto-intuizione, ovvero riflessività. Ma l’originalità di Plotino rispetto ad Aristotele sta nel collocare nell'Intelletto le [[idea|idee]] platoniche: in tal modo, egli sottrae il "pensiero di pensiero" all'apparente astrattezza aristotelica, dandogli un contenuto e rendendolo più articolato. Le idee platoniche costituiscono infatti il ''principium individuationis'', la ragione o ''lògos'' per cui una certa realtà risulta fatta così, e non diversamente.
 
Le idee platoniche non sono per Plotino degli oggetti di pensiero: l’Intelletto non ''pensa'' le idee, piuttosto, le Idee sono tutte identiche all'Intelletto stesso, e sono perciò principalmente [[soggetto (filosofia)|Soggetti]] di pensiero. In altri termini, le idee sono infiniti modi di prospettarsi dell'unico Intelletto. In esso è presente un'alterità solo in potenza; nell'[[Essere]] ogni idea è tutte le altre.
 
Il ''Nous'' è rivolto verso l'Uno, ne guarda la [[bellezza]], la pienezza originaria<ref> L’Intelletto, «per restare se stesso, bisogna che guardi a Quello di lassù» (''V, 1, 6'').</ref>, e non potendola più raggiungere, pensa se stesso, all'interno di un circolo [[ermeneutica|ermeneutico]] soggetto – oggetto, [[pensiero]] – [[essere]]. L'Intelletto non è più Uno, ma è un Uno-molti, poiché ha un'unità solo nella diversità, un'unità nel senso di identità "dell'identico e del diverso" (pensiero ed essere). Grazie a questa distinzione può pensare ed essere pensato senza contraddizione, non è più ineffabile e impredicabile. È la prima forma di [[intuizione]], il livello estremo a cui il nostro pensiero può arrivare. Plotino lo paragona alla [[luce]], che si rende visibile nel far vedere: così l'Intelletto si rivela come condizione del nostro ''pensare''.
 
===L'Anima===
La terza ipostasi è quella dell'[[Anima]], sorgente della [[vita]], che si fa veicolo dell'Uno nel mondo<ref>«L'Anima, in virtù della sua unità, trasferisce ad altri esseri l'unità, che, del resto, lei stessa accoglie per averla ricevuta da un altro» (''VI, 9, 1'').</ref>. L'Anima [[processione (teologia)|procede]] dall'auto-contemplazione dell'Intelletto; è un'unione non più immediata, bensì mediata (dal ''Noùs'') di essere e pensiero. Essa così rende possibile il ragionamento discorsivo-[[dialettica|dialettico]], fungendo da tramite: per un verso è rivolta verso l'Intelletto, per un altro guarda verso il basso, risultando sdoppiata in due parti, una superiore ed una inferiore. Questo articolarsi dell’Anima ha come riflesso l’articolarsi del [[pensiero]], che può volgersi alla ricerca dell’[[Uno (filosofia)|unità]], e al contempo passare a distinguere e definire il [[molteplicità|molteplice]] allontanandosi dall’astrattezza dell’[[assoluto]]. Come questi due procedimenti sono solo apparentemente antitetici, così anche l’Uno e il molteplice vanno conciliati l’uno con l’altro.
 
L'Anima inferiore, per la sua capacità di unificare in sé il molteplice disperso nell'universo, si fa [[anima del mondo|anima del ''mondo'']]<ref>''"[[Anima del mondo]]"'' è l'espressione che Plotino riprende fedelmente dal ''[[Timeo (dialogo)|Timeo]]'' di [[Platone]].</ref>: quest'ultimo risulta così tutto vivo e intimamente popolato da [[energia|energie]]. Nel vitalizzare il [[cosmo]], l'Anima non opera "deliberando": la sua attività non è progettuale né tantomeno riproducibile pragmaticamente nei suoi passaggi, perché antitetica al [[meccanicismo]] o a un operare artigianale. Si può arguirla solo per via di negazione. Si tratta di un principio [[natura|naturale]] dominato da una volontà cieca o inconscia, che genera involontariamente il molteplice dall’uno. Si potrebbe per certi versi paragonarla all'operare onirico di un artista.
 
Con l'ipostasi dell'Anima, Plotino raccoglie le critiche che [[Aristotele]] aveva mosso al [[platonismo]]; l'Anima consente infatti a Plotino di concepire le [[idea|idee]] non solo come [[trascendenza|trascendenti]], ma anche [[immanenza|immanenti]], in quanto vengono veicolate dall'Anima in ogni elemento del mondo sensibile; egli si avvicina così al concetto aristotelico di ''[[entelechia]]''.
 
L'Anima infatti, sia quella superiore che inferiore (IV 3; 31), ha una funzione intellettiva che le deriva dal ''Noùs'', rendendo attuale nel tempo la potenza eterna delle idee intellegibili. Queste vengono ridestate tramite la [[reminiscenza]]; ma rispetto a Platone, Plotino intende sminuire il ricordo cosciente rivalutando invece l'importanza del rammemorare [[inconscio]] o non deliberato, nel quale le Idee sembrano ridestarsi con maggiore vitalità e purezza. Il [[tempo]] stesso, al cui tema viene dedicato un intero trattato della III Enneade, è per Plotino immagine e ricordo dell'[[eternità]]: egli intuisce la [[relatività]] del tempo, come entità priva di sussistenza autonoma. Questo rapporto fra tempo ed eternità sarà poi studiato soprattutto da [[Sant'Agostino|Agostino]] e dai pensatori del [[XX secolo|Novecento]].
 
Dalla grande Anima dell'[[Organismo]] universale prendono quindi forma le singole anime degli esseri viventi<ref>«Ogni essere che si trova nell'universo, a seconda della sua natura e costituzione, contribuisce alla formazione dell'universo col suo agire e con il suo patire, nella stessa maniera in cui ciascuna parte del singolo animale, in ragione della sua naturale costituzione, coopera con l'organismo nel suo intero, rendendo quel servizio che compete al suo ruolo e alla sua funzione» (''IV, 4, 45'').</ref>. Ciò che avveniva a livello universale, ossia la duplicità di Anima originaria e Anima del mondo, si ripropone a livello individuale, come sdoppiamento tra un'anima superiore, rimasta a guardare verso l'alto, ed una "scesa giù", preposta al governo dell'[[io (filosofia)|io]] terreno. Plotino tiene a sottolineare non solo che l’anima è distinta dal [[Corpo (metafisica)|corpo]], ma che essa viene ''prima'' del corpo. Questo "prima" va inteso non in senso cronologico, ma nell’ordine dell’essere, cioè in senso [[ontologia|ontologico]]. L’anima modella il proprio corpo per via di un suo offuscamento, in maniera simile all'energia di un [[fuoco (fisica)|fuoco]] che spegnendosi si solidifica; è lo svanire della potenza dell’anima che dà luogo a uno spazio in cui essa prende corpo.
La "voglia di appartenersi" che Plotino attribuisce all'anima umana è la volontà-distacco dall'Uno che in un istante immediato diviene essere e pensare un corpo in cui si ritrova [[incarnazione|incarnata]]. Nell'anima umana tuttavia rimane una presenza [[divinità|divina]] e [[trascendente]], quella della sua parte originaria che era prima del corpo, e spinge per tornare all'Uno.
 
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Per ricomporre l’identità delle idee andata smarrita, la soluzione non è il conformismo (dalla valenza puramente esteriore), ma al contrario la fuga dal mondo (ovvero il differenziarsi); tema e scelta di rilievo nel [[Medioevo]], che fu dovuta in parte a guerre e situazioni storiche, ma trova qui un contributo fondamentale nell'orientare molti posteri alla vita [[Monachesimo|monastica]] o alla solitudine dal mondo.
 
«Fuggi il molteplice» (''OphéleieÁphele tà pànta'' = lett. ''fuggi tutte le cose''<ref>Cfr. ''V, 3, 17''.</ref>) è il motto del filosofo, come «conosci te stesso» lo era per [[Socrate]]: la fuga dal mondo non vuol dire impoverirsi, ma un arricchirsi ritrovando dentro di noi l'Uno che è il mondo e molto più. Perciò la fuga dal mondo non vuol dire tanto abbandonare ogni bene, che poi si ritrova molto più nell'Uno, ma fuggire il molteplice. È molto vicino all'[[vangelo|evangelico]] impoverirsi per ritrovare Dio, ma il filosofo resta da solo sebbene mostri al mondo la via dell'Uno.
 
====La provvidenza====
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Al culmine delle potenzialità umane si ha l'[[estasi]], vissuta dall'[[asceta]] quando l'anima è rapita in Dio, e si identifica con l'Uno stesso, compenetrandosi in Lui. L'Uno non viene contemplato perché non è un [[oggetto (filosofia)|oggetto]], ma il fondo stesso dell'anima: questa non lo può possedere, viceversa ne viene posseduta. È opportuno evitare anche di parlare di [[panteismo]] [[Naturalismo (filosofia)|naturalistico]] nel plotinismo, per il fatto che l’Uno è identico soltanto all’anima individuale, a cui sola è permessa l’estasi. Poiché vivere una tale esperienza è dato però raramente a pochissimi, Plotino raccomanda per lo più di condurre una vita virtuosa: la [[virtù]] dunque come semplice "mezzo" di elevazione. L'[[etica]] è da intendersi qui [[Aristotele|aristotelicamente]] come ricerca della [[felicità]], consistente nella realizzazione della propria [[essenza (filosofia)|essenza]], che è qualcosa di eterno, ingenerato e imperituro.
 
Oltre all'[[etica]], un'altra via fondamentale indicata da Plotino consiste nella ricerca [[estetica]] del [[bellezza|bello]]. Quell’unione che il filosofo teorizza, infatti, la vivono in primo luogo (senza rendersene conto del tutto) il [[musica|musico]] e l'[[amore|amante]]. Plotino corregge in parte il giudizio negativo che Platone aveva dato dell'[[arte]]: l'operare dell'artista non deriva dalla semplice imitazione di un'imitazione, ma è ispirato da un'[[idea]] attinta da una visione interiore del bello a lui rivelatasi<ref>«Davanti allo spettacolo di tutta la bellezza sensibile,… potrà mai esserci qualcuno così ottuso e così privo di trasporto che … non resti pieno di meraviglia, risalendo dalla qualità delle nostre realtà a quella dei loro princìpi? Certo che, se costui non ha capito il nostro mondo,
neppure saprà contemplare l'altro» (''II, 9, 16'').</ref>. Si ripropose però anche in Plotino, per certi versi, lo stesso conflitto platonico per cui la bellezza assoluta non può essere contaminata dalla [[materia]] dell'opera prodotta; fu solo col [[Cristianesimo]] che la materia sarà pienamente riscattata dal giudizio duramente negativo del platonismo. Così anche l’''[[eros (filosofia)|eros]]'' è un fuoco [[mistica|mistico]] inteso platonicamente come amore puramente ascensivo. Analogamente la [[bellezza]], che noi vediamo riflessa nei corpi, ci spinge a cercarne l'origine nel mondo di lassù. Ritorna in proposito la rivalutazione del pensiero [[inconscio|inconsapevole]], perché nel risalire verso l'intellegibile il pensiero [[conscio|cosciente]] e puramente logico non è sufficiente, ma è «come se un [[demone]] ci guidasse».
 
Il percorso di [[ascesi]] rimane comunque sempre guidato dalla [[ragione]], che è il mezzo principale di cui il filosofo si serve nell'ascendere all'Uno. La [[razionalità]] [[dialettica]] è però soltanto uno strumento, che consiste nell’eliminazione e nell’oblìo di tutti gli elementi particolari e contingenti della [[molteplicità]]. Scopo della dialettica è in un certo senso quello di eliminare o negare se stessa, quando nell'estasi non si avrà né pensiero, né azione morale, né atto logico, essendo uno stato in cui la ragione si trova fuori di sé ({{polytonic|ἐξ στάσις}}).