I geometri algebrici della scuola italiana hanno spesso usato un concetto abbastanza impreciso di "punto generico" dando degli enunciati sulle [[varietà algebrica|varietà algebriche]]. Ciò che è vero per un punto generico è vero per ogni punto della varietà, tranne un piccolo numero di punti speciali. Negli anni [[Anni 1920|'20anni venti]] [[Emmy Noether]] ha suggerito per la prima volta un modo per chiarificare il concetto: cominciamo con l'anello delle coordinate della varietà (l'anello di tutte le funzioni polinomiali definite sulla varietà); gli [[ideale massimale|ideali massimali]] di questo anello corrispondono ai punti ordinari della varietà (sotto opportune ipotesi) e gli [[ideale primo|ideali primi]] non massimali corrispondono ai vari punti generici. Prendendo tutti gli ideali primi si ottiene una collezione di punti ordinari e generici. Noether non continuò il suo approccio.
Negli anni [[Anni 1930|'30anni trenta]] [[Wolfgang Krull]] cambiò la situazione e prese un passo decisivo: si prenda ''qualsiasi'' anello commutativo, si consideri l'insieme dei suoi ideali primi e lo si trasformi in uno [[spazio topologico]] introducendo la [[topologia di Zariski]] e si studi la geometria algebrica con questi oggetti piuttosto generici. Altri non capirono il senso del ragionamento di Krull ed egli lo abbandonò.
[[André Weil]] era specialmente interessato alla geometria algebrica sui [[campo finito|campi finiti]] ed altri anelli. Negli anni [[Anni 1940|40anni quaranta]] egli ritornò all'approccio con gli ideali primi; infatti egli aveva bisogno di una ''varietà astratta'' (al di fuori di uno [[spazio proiettivo]]) per motivi di fondazione, soprattutto per la formulazione in maniera algebrica della [[varietà jacobiana]]. Nel libro fondamentale di Weil i punti generici sono presi prendendo elementi di un [[campo algebricamente chiuso]], chiamato ''dominio fondamentale''.
All'incirca nel 1942 [[Oscar Zariski]] ha definito uno ''spazio di Zariski'' astratto dal campo di funzioni di una [[varietà algebrica]], per i bisogni della [[geometria birazionale]]: è come il [[limite diretto]] di varietà ordinarie (con lo [[scoppiamento]]) e la costruzione, che ricalcava la [[teoria locale]], usava [[anello di valutazione discreta|anelli di valutazione discreta]] come punti.
Negli anni [[Anni 1950|'50anni cinquanta]] [[Jean-Pierre Serre]], [[Claude Chevalley]] e [[Masayoshi Nagata]], motivati dalla [[congettura di Weil]] che lega la [[teoria dei numeri]] e la [[geometria algebrica]], seguirono un approccio simile usando ideali primi come punti. Secondo [[Pierre Cartier]] la parola ''schema'' fu usata la prima volta nel Seminario Chevalley del [[1956]], nel quale Chevalley seguiva le idee di Zariski e fu Martineau che propose a Serre di spostarsi sullo [[spettro di un anello]].
Poi [[Alexander Grothendieck]] diede la definizione decisiva. Egli definisce lo [[spettro di un anello|spettro]] di un anello commutativo come insieme degli ideali primi con la topologia di Zariski, ma lo arricchisce di un [[fascio (teoria delle categorie)|fascio]] di anelli: ad ogni aperti di Zariski associa un anello di funzioni, pensate come funzioni polinomiali sull'aperto. Questi oggetti sono gli ''schemi affini''; uno schema in generale si ottiene incollando degli schemi affini, analogamente al fatto che le varietà proiettive si ottengono incollando varietà affini.