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Egli non abbracciò, a differenza della maggior parte dei cospiratori e democratici genovesi<ref>Il Prof.Augusto Franchetti scrive: "Secondavanli inoltre (i novatori) le famiglie Patrizie dei Serra, dei Sauli, dei Gentile, dei Carrega, non tanto per simpatie alle nuove dottrine venute di Francia, quanto per desiderio di private vendette contro gli Spinola ed i Pallavicini la quale inimicizia aveva origine non solo dall'invidia dei Nobili poveri verso quelli ricchi nelle cui mani era il goveno dello Stato [...]", in "Storia politica d'Italia", AA.VV., F.Vallardi Editrice, Milano 1897.</ref>, le idee Rivoluzionarie per interessi personali, ma per la sua forte avversione nei confronti dell'[[Aristocrazia]], della quale pure faceva parte, e soprattutto del [[Clero]]. Aristocrazia che governava la Repubblica con leggi ormai antiquate<ref>L'ordinamento giuridico di stampo feudale su cui si reggeva la Repubblica risaliva al [[1576]] e limitava il potere ad una ristretta cerchia di nobili "forniti di congruo patrimonio" e di ricchi borghesi.</ref> che assicuravano tutto il potere nelle mani del [[Doge]] e dei [[Serenissimi Collegi]], composto da venti senatori e un capo, il Doge appunto, con carica biennale e da tutti gli ex Dogi con carica a vita<ref>Pietro Nurra, ''"Genova durante la Rivoluzione Francese - La Cospirazione Antioligarchica"'', in Giornale Storico Letterario della Liguria, 1927, fasc.IV, pag.336 n.1</ref>.
Il Federici vedeva in questa gestione privatistica dello Stato la prima causa della sua debolezza
{{quote|Non è possibile promuovere l'utile Agricoltura, se non si hanno molte e attive braccia, e non è possibile avere un'abbondante ed industriosa popolazione, ove non regni una discreta libertà di Commercio, almeno per l'esito dei prodotti che avanzano, e per l'introito dei necessari che mancano|Lettera di Marco Federici a Luigi D'Isengard del 6 novembre 1791}}
==I giacobini della Spezia==
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