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A lui si contrappose [[Giansenio]], fautore di un ritorno ad [[Agostino d'Ippona|Agostino]]: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i [[giansenismo|giansenisti]] nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di [[Adamo]]. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.
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Nell'ambito della concezione religiosa della libertà il [[filosofia moderna|pensiero moderno]] ha assunto una visione razionalista con [[Cartesio]] che, identificando la volontà con la libertà, concepiva quest'ultima in senso intellettuale come scelta impegnativa di cercare la verità tramite il [[dubbio]].<ref>Cartesio, ''Principia'', I, 41</ref> Una cattiva volontà è ciò che può essere di ostacolo in questa ricerca e causa l'insorgere degli errori.
Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di ''[[res cogitans]]'' e ''[[res extensa]]'', attribuendo assoluta volontà alla prima e passività meccanica alla seconda, [[Spinoza]] si propose di conciliarle in un'unica sostanza, riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo.<ref>Cfr. Spinoza, ''Ethica'', V, 3.</ref>
====Leibnitz====
[[Leibniz]] accettò l'idea della volontà come semplice autonomia dell'uomo, ossia accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, ma cercando di conciliarla con la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità.<ref>Egli sostenne infatti che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza» (Leibniz, ''Nuovi saggi'', II, 21).</ref> Egli ricorse pertanto al concetto di [[monade]], ossia
====Da Kant a Hegel====
Per [[Kant]] la volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli imperativi ipotetici (in vista di un obiettivo), sia a quelli [[imperativo categorico|categorici]], dettati unicamente dalla legge morale. Solo nel caso degli imperativi categorici la volontà è ''pura'', perchè in tal caso non comanda alcunchè di particolare: essa è formale, cioè prescrive solo come la volontà debba atteggiarsi, non quali singoli atti deve compiere.
In un mondo dominato dalle leggi deterministiche della natura (fenomeni), la volontà morale è ciò che rende possibile la libertà, perchè obbedisce ad un comando che essa stessa si è liberamente dato, non certo in maniera arbitraria, bensì conformemente alla sua natura razionale (noumeno). Essa però non comanda il "Bene": per Kant l'unica cosa buona è la volontà intrinsecamente buona.
Riprendendo il Kant della ''Critica del Giudizio'', [[Fichte]] e [[Friedrich Schelling|Schelling]] esaltarono la volontà come assoluta attività dell'Io, o dello [[Spirito]], in contrapposizione alla passività del non-io, o della Natura, nell'ottica però di un rapporto [[dialettica|dialettico]] che si risolve nella supremazia rispettivamente dell'etica, o dell'arte.
Per [[Hegel]] invece un tale rapporto si risolve nella supremazia della [[Ragione]] [[dialettica]] stessa, dando adito alle critiche di chi, come Schelling, sostenne l'impossibilità di ricondurre un libero atto di volontà entro il rigido schema razionale della dialettica.
===Schopenhauer e Nietzsche===
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