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L'articolo non mi sembra male, sintetico e chiaro, mi piacerebbe che sia approfondita la parte riguardante la revisione del processo. Purtroppo non sono un teologo e quindi non me la sento di intervenire. Se qualcuno può dare uno sguardo agli atti della processo di revisione ed inserirlo nel documento, credo che farebbe cosa giusta. In fondo assistiamo al cambiamento di visione della chiesa, la quale, in 350 anni, ha dovuto riconoscere il torto fatto.
Comunque consiglio di togliere il capitolo riguardante le considerazioni dell'attuale Papa, suona di parte.
:ho elaborato questo paragrafo sulla storia dello studio della controversia tolemaico-copernicana (1979-1992). Non saprei però come proporlo nè come sostituire l'altro, nel caso debba essere sostituito; oltretutto nelle esplicite intenzioni della commissione non c'era l'intenzione di "riabilitare" Galileo (non aveva bisogno di nessuna riabilitazione) nè era necessario cancellare eresie inesistenti... Il problema era capire cos'è successo storicamente circa la vicenda di Galileo e fare chiarezza.
Questo è il paragrafo che propongo. Se qualcuno mi aiuta a capire come si fa una modifica corretta lo ringrazio di cuore.
Giovanni Paolo II il 10 novembre 1979 in occasione della commemorazione del centenario di Albert Einstein fa un esplicito e significativo riferimento a Galileo: «La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein, ma a differenza di quest’ultimo (…) il primo ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi interventi indebiti (…). Per andare al di là di questa presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, uomini di scienza e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, riconoscendo lealmente i torti, da qualunque parte essi vengano, facciano scomparire le diffidenze che questo affare frappone ancora, in molti spiriti, ad una concordia fruttuosa fra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. Do tutto il mio appoggio a questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza e aprire la porta a future collaborazioni» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso per la commemorazione del centenario della nascita di Alberto Einstein (1979), in AAS, 71(1979)1464-1465; ora anche in Discorsi dei Papi alla Pontificia Accademia delle Scienze (1936-1994), Pontificia Accademia delle Scienze, Città del Vaticano 1994, 165-171. Il discorso è stato pronunciato in francese).
Fedele a questi propositi il 3 luglio 1981 Giovanni Paolo II costituiva una Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII affidando al cardinale Garrone il coordinamento delle ricerche. La Commissione era suddivisa in quattro sezioni: una sezione esegetica coordinata dal cardinale Carlo Maria Martini; una sezione culturale coordinata dal cardinale Paul Poupard; una sezione scientifico-epistemologica coordinata dal professor Carlos Chagas e dal P. George Coyne, e una sezione storico-giuridica coordinata da mons. Michele Maccarrone.
La finalità delle sezioni era di lavorare scientificamente per poter «rispondere alle attese del mondo della scienza e della cultura riguardo al “caso” Galileo» (POUPARD P., La controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII, in POUPARD P. (ED.), La nuova immagine del mondo. Il dialogo tra scienza e fede dopo Galileo, Piemme, Casale Monferrato 1996, 15-21, 16. Si tratta del “Discorso al termine dei lavori della Commissione Pontificia di studi sulla controversia tolemaico-copernicana dei secoli XVI e XVII”. Il discorso originale è in francese, ora anche in Discorsi dei Papi alla Pontificia Accademia delle Scienze (1936-1994), o.c., 281-285) e per riconoscere con obiettività torti e ragioni da qualunque parte stessero. Di fatto la Commissione doveva rispondere a tre domande: «Che cosa è avvenuto? Come è avvenuto? Perché i fatti si sono svolti così?» (POUPARD P., La controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII, o.c., 16).
Le sezioni lavorarono autonomamente, le riunioni plenarie della Commissione in dodici anni furono soltanto sette (dall’ottobre 1981 al novembre 1983) e che dopo un intervallo dei lavori di sette anni, nel 1990 fu incaricato il cardinale Poupard di coordinare la fase finale dei lavori della Commissione. Nel giro di tre mesi Poupard, dopo aver chiesto ai coordinatori delle sezioni una relazione sui lavori compiuti e le opere pubblicate, annunciò ai membri della Commissione – senza consultazione previa – la conclusione dei lavori. Passeranno, però, due anni prima della presentazione pubblica della relazione sui lavori al Papa.
Lo stesso Giovanni Paolo II, nel periodo di lavoro della Commissione, parlerà pubblicamente altre due volte di Galileo: una prima volta nel maggio 1983 in un discorso nel quale affermò che «l’esperienza vissuta dalla Chiesa in occasione e in seguito al caso Galileo ha permesso una maturazione e una comprensione più giusta dell’autorità che è propria della Chiesa. (…) Si comprende così più chiaramente che la Rivelazione divina, di cui la Chiesa è garante e testimone, non comporta di per sé alcuna teoria scientifica dell’universo» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Simposio “La scienza galileiana oggi” in occasione del 350° anniversario della pubblicazione del Dialogo sopra i due Massimi Sistemi, in L’Osservatore Romano 9-10 maggio 1983, 1.3);
una seconda volta durante la visita a Pisa nel settembre 1989 nel discorso alla città ricordò Galileo «la cui opera scientifica, improvvidamente osteggiata agli inizi, è ora da tutti riconosciuta come una tappa essenziale nella metodologia della ricerca e, in generale, nel cammino verso la conoscenza del mondo della natura» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla città di Pisa, in L’Osservatore Romano 24 settembre 1989, 4).
Il 31 ottobre 1992 in occasione dell’ordinaria annuale Sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, il cardinale Paul Poupard presentava la relazione sui lavori della Pontificia Commissione di studi della controversia tolemaico-copernicana e Giovanni Paolo II nel suo tradizionale discorso all’Accademia delle Scienze ne tirava le conclusioni.
Nella sua relazione il cardinale Poupard dopo aver richiamato al dato di fatto dell’attenzione che Giovanni Paolo II aveva messo sul caso Galileo già dall’inizio del suo pontificato, si propone di dare un “resoconto” dei lavori della Commissione Pontificia. In realtà c’è da pensare che sia per la brevità, sia per i contenuti abbastanza sommari del discorso, non siamo di fronte ad un resoconto quanto ad una formale introduzione a conclusioni che fanno piuttosto parte del discorso papale.
Poupard parla anzitutto del metodo di lavoro: la suddivisione in sezioni, la finalità della ricerca, l’oggetto della ricerca. Dopo aver fatto riferimento alla pubblicazione degli importanti dossier riguardanti i processi a Galileo, di molti altri documenti che riguardano il caso e di vari studi curati dalle sezioni della Commissione, Poupard entra nel merito della questione introducendo la lettera del 12 aprile 1615 del cardinale Bellarmino a Foscarini.
In questa importante lettera Bellarmino metteva a fuoco il problema del copernicanesimo: la sua verità e la sua conciliabilità con le Scritture. Per Poupard «secondo Roberto Bellarmino, finché non ci fosse la prova dell’orbitazione della Terra intorno al Sole, era necessario interpretare con grande circospezione i passi della Bibbia nei quali si parla della Terra immobile. Qualora però si fosse giunti a dimostrare il movimento di rivoluzione della Terra, i teologi avrebbero dovuto, a suo parere, rivedere le loro interpretazioni dei passi biblici apparentemente in contrasto con le nuove teorie copernicane, in modo da non considerare come false quelle opinioni la cui verità fosse stata comprovata» (POUPARD P., La controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII, o.c., 17-18).
Poupard mostra poi l’incapacità sia di Galileo di provare il duplice movimento terrestre sia dei suoi detrattori di confutare l’ipotesi copernicana. E constata poi il dato di fatto dell’imprimatur da parte del Sant’Uffizio per concessione di Benedetto XIV nel 1741 alla prima edizione dell’opera omnia di Galileo, dopo che ormai le prove ottiche e meccaniche avevano scientificamente dimostrato il duplice movimento della Terra: «i fatti finirono per imporsi e mettere in evidenza il carattere relativo della sentenza pronunciata nel 1633, la quale non era per nulla inappellabile» (POUPARD P., La controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII, o.c., 19).
Poupard per dimostrare il “carattere relativo della sentenza pronunciata nel 1633”, oltre all’imprimatur del 1741 fa riferimento ad un decreto della Sacra Congregazione dell’Indice che toglieva nell’edizione del 1757 del Catalogo dei Libri proibiti le opere che vi erano state incluse perché sostenevano la teoria eliocentrica, e soprattutto fa riferimento al famoso “caso Settele” che condusse ad un aggiornamento dell’Indice dei libri proibiti nel 1846.
Nella conclusione del suo discorso Poupard fa riferimento alla buona fede dei protagonisti del processo, parla della “situazione di transizione” che in quel periodo c’era in astronomia e alla “confusione” che sempre in quel periodo l’esegesi aveva circa la cosmologia, confusione dovuta ad una “concezione unitaria del mondo”.
«In tale congiuntura storico-culturale, ben lontana dal nostro tempo, i giudici di Galileo, incapaci di dissociare la fede da una cosmologia millenaria, credettero, indubbiamente a torto, che l’accettazione della rivoluzione copernicana, per altro non ancora definitivamente provata, fosse di natura tale da far vacillare la tradizione cattolica e che, pertanto, fosse loro dovere proibirne l’insegnamento. Questo errore soggettivo di giudizio, tanto evidente per noi oggi, li spinse ad adottare una misura disciplinare per la quale Galileo “ebbe molto a soffrire”. Questi torti vanno riconosciuti con lealtà, come Lei, Beatissimo Padre, ha chiesto» (POUPARD P., La controversia tolemaico-copernicana nei secoli XVI e XVII, o.c., 20-21. Questa citazione nel testo e pure nell’originale è riportata interamente in corsivo per sottolinearne la portata conclusiva).
Nel suo discorso, invece, Giovanni Paolo II, dopo i formali saluti iniziali fa riferimento al tema della sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione della quale egli era presente. Il tema della Sessione era “L’emergere della complessità in matematica, in fisica, in chimica e in biologia”. In effetti la prima e l’ultima parte del discorso papale, a mo’ d’inclusione, sono proprio una riflessione sul tema della “complessità”.
Dopo aver fatto riferimento allo storico discorso del 10 novembre 1979 e ai lavori della Commissione, Giovanni Paolo II entra nel cuore della questione galileiana affermando che il problema della controversia fu duplice: fu un problema epistemologico e fu un problema pastorale.
Fu un problema epistemologico perché riguardava anzitutto l’ermeneutica biblica. Ma fu problema epistemologico anche perché siamo agli inizi del metodo sperimentale, perché non ci si intese su “prova” e su “ipotesi”, perché non si distinse sufficientemente tra osservazione ai fenomeni naturali e riflessione filosofica su questi fenomeni.
Giovanni Paolo II ricorda inoltre che la concezione geocentrica del mondo faceva parte della cultura del tempo, essendo oltretutto compatibile con la visione del mondo biblica. Di fatto bisogna ammettere che per quanto riguarda l’interpretazione della Scrittura Galileo fu più accorto dei suoi detrattori: «la nuova scienza, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi presupponevano, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. Nella maggior parte non l’hanno saputo fare. Paradossalmente, Galileo, credente sincero, su questo punto si dimostrò più perspicace dei suoi avversari teologi» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, in POUPARD P. (ED.), La nuova immagine del mondo. Il dialogo tra scienza e fede dopo Galileo, o.c., 23-34, 27. L’originale in francese in Discorsi dei Papi alla Pontificia Accademia delle Scienze (1936-1994), o.c., 271-280).
Di fronte al problema epistemologico, poi, la prima conclusione che Giovanni Paolo II trae è l’invito alla chiarificazione delle discipline, cioè alla delimitazione della natura specifica di ogni singola disciplina.
Al centro della controversia ci fu poi un problema pastorale. Si trattava di coniugare una novità scientifica che sembrava in contraddizione con la verità della fede. Giovanni Paolo II conclude il paragrafo sul problema pastorale affermando che è dovere dei teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per valutarne la bontà e per poter così aggiornare il loro insegnamento.
In un paragrafo storicamente importante e decisivo per l’interpretazione del caso Galileo, il papa così si esprime: «l’orizzonte culturale dell’epoca di Galileo era unitario ed era contrassegnato da una particolare formazione teologica. Tale carattere unitario della cultura, che in sé è positivo e che sarebbe auspicabile anche oggi, fu una delle cause della condanna di Galileo. La maggior parte dei teologi non coglievano la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li indusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto rilevante della ricerca scientifica» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, o.c., 29).
E quasi a riabilitare il ruolo della Chiesa nella vicenda galileiana fa riferimento a Bellarmino, ad Agostino, agli sviluppi che il discorso sull’interpretazione della Scrittura ha avuto con la Provvidentissimus Deus di Leone XIII (1894), e pure lui come Poupard, quasi per dimostrare il carattere relativo della sentenza processuale del 1633 fa riferimento al “caso Settele”.
Per rinforzare poi il ridimensionamento del ruolo della Chiesa, Giovanni Paolo II parla della storia degli effetti del “caso Galileo”: «A partire dal secolo dei Lumi e fino ai nostri giorni, il “caso” Galileo ha rappresentato una specie di mito (…). È divenuto il simbolo del preteso rifiuto del progresso scientifico da parte della Chiesa, ovverosia dell’oscurantismo “dogmatico” opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito (…) ha infatti contribuito a radicare numerosi scienziati in buona fede nella convinzione che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana dall’altro. (…) Tale doloroso equivoco appartiene ormai al passato» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, o.c., 31).
A partire dal “caso” il papa trae almeno due insegnamenti. Il primo riguarda la presunta certezza dei punti di riferimento, quasi un monito per chi assolutizza visioni parziali facendole diventare ideologie scientifiche o filosofiche o religiose. Il secondo è l’esigenza del metodo proprio che deve competere ad ogni disciplina: diverse discipline con diversi metodi che si raccordano perché sono distinte e non opposte e perché sono aspetti differenti dell’unica realtà.
Con questo secondo insegnamento Giovanni Paolo II raccorda il tema di Galileo a quello della “complessità” e rivolgendosi direttamente ai membri della Accademia fa accenno al tema della verità/fondatezza delle teorie scientifiche e filosofiche mostrando la sua preoccupazione: «Molte scoperte scientifiche recenti e le loro possibili applicazioni hanno un’incidenza più diretta che mai sullo stesso uomo, sul suo pensiero e sulla sua azione, al punto che sembrano minacciati gli stessi fondamenti dell’umano» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, o.c., 33).
Nella conclusione del suo discorso il papa con uno schema classico richiama gli scienziati alla complessità dello sviluppo dell’uomo, alla sua crescita “orizzontale” cioè culturale, tecnico-scientifica, e alla sua crescita “verticale” cioè trascendente e in riferimento al Creatore. Dalla tensione delle due crescite l’uomo si realizza come essere spirituale e sapiente pur nella disarmonia della progressione e nella fatica della tensione e della sintesi: «lo scienziato, che prende coscienza di questa duplice linea di sviluppo e ne tiene conto, contribuisce a restaurare l’armonia. Colui che si impegna nella ricerca scientifica e tecnica ammette come presupposto del suo iter che il mondo non è un caos, bensì un “cosmo” (…). Tale intellegibilità, confermata dalle prodigiose scoperte delle scienze e della tecnica, rimanda in definitiva al Pensiero trascendente e originale, di cui ogni cosa porta l’impronta» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, o.c., 34).
==Ammonizione di bellarmino==
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