Verità processuale: differenze tra le versioni

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La '''verità processuale''' è l'insieme dei [[Giudizio|giudizi]] formulati seguendo le regole del [[diritto processuale]]. Non necessariamente corrisponde alla [[verità]] in senso assoluto.
 
Il rispetto delle regole è finalizzato al rispetto dei [[diritto|diritti]]: se le regole vengono violate, il risultato non potrà concorrere a formare la verità processuale. Alcune violazioni debbono essere rilevate entro termini molto stretti e solo su impulso di parte, mentre altre sono rilevabili anche al [[giudice]] e senza limiti temporali ([[Invalidità_dell'atto_processuale_penale|invalidità dell'atto processuale penale]]).
 
Per esempio, il [[codice di procedura penale]], all'articolo 188<ref>Codice di procedura penale, [http[s://it.wikisource.org/wiki/Codice_di_Procedura_PenaleCodice di Procedura Penale/III |Art. 188]]</ref> (“libertà morale della persona nell’assunzione della prova”) stabilisce che non è ammessa la [[tortura]] dell'interrogato. Se tale regola viene violata, anche se l'interrogato [[confessione|confessa]] un [[crimine]], la confessione non è utilizzabile e dunque non può concorrere a formare la base della verità processuale (pure nel caso in cui il fatto confessato fosse realmente accaduto nei termini e modi descritti). Infatti, "''la [[prova]], per risultare idonea all'accertamento dei fatti, non può prescindere da forme volte a garantire genuinità e affidabilità sicura''".<ref>Cassazione penale, sez. VI, 1 marzo 1993</ref>
 
In più casi la [[sentenza]] stabilisce una verità processuale diversa da quanto in realtà accaduto: la [[prescrizione]], per esempio, è una formula di [[assoluzione]] nonostante possa accertare la [[responsabilità]] per i fatti ascritti.