Lucio Licinio Crasso: differenze tra le versioni
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Iniziò la sua carriera di oratore molto giovane, a ventuno anni (119 a.C.), quando [[Gneo Papirio Carbone (console 113 a.C.)]], un uomo nobile ed eloquente, odiato dagli aristocratici, cui apparteneva Crasso. Crasso dimostrò grande onesta in questa causa, in quanto ricevette da uno schiavo di Carbone delle lettere sigillate sottratte dal tavolo del suo padrone, ma rimandò l'uomo a Carbone assieme alle lettere ancora chiuse. Carbone si suicidò per evitare l'onta della condanna.
Nel [[118 a.C.]] si oppose alla posizione del proprio partito nei riguardi di una legge che proponeva l'istituzione di una [[colonia romana]] a [[Narbona]]. Il [[Senato romano]] osteggiava tale proposta perché temeva che avrebbe causato una diminuzione degli introiti dell'erario statale legati agli affitti della terra pubblica. Crasso preferì questa volta sostenere la causa della legge, per ottenere il consenso delle classi più povere, che avrebbero ottenuto i maggiori profitti da questo provvedimento. Fu lo stesso Crasso a provvedere alla fondazione della colonia.
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Al suo ritorno a Roma riprese l'attività legale, difendendo l'amico [[Sergio Orata]] dall'accusa di appropriarsi dell'acqua pubblica per le sue coltivazioni di ostriche. Nel [[107 a.C.]] fu [[tribuno della plebe]].
Nel [[106 a.C.]] parlò in favore della ''lex Servilia'' di [[Quinto Servilio Cepio]], il cui scopo era quello di annullare la ''lex Sempronia'' di [[Tiberio Sempronio Gracco (tribuno della plebe 133 a.C.)|Tiberio Sempronio Gracco]] (122 a.C.), la quale aveva sancito che i giudici dovevano essere selezionati tra i [[ordine equestre|cavalieri]] e non tra i senatori. Nel [[103 a.C.]], mentre era [[edile]] curule assieme a Scevola, diede dei sontuosi giochi, nei quali per la prima volta si ebbero combattimenti di leoni.
Fu poi [[pretore (storia romana)|pretore]] e [[augure]], per poi essere eletto [[console (storia romana)|console]] assieme a Scevola per l'anno [[95 a.C.]]: insieme promulgarono la ''lex Licinia Mucia de Civibus Regundis'', che vietava ai non-cittadini romani di spacciarsi come tali e li obbligava a lasciare l'Urbe; fu il rigore di questa legge che contribuì allo scoppio della [[guerra sociale]]. Durante il consolato difese Servilio Cepio, che era odiato dai cavalieri per la sua ''lex Servilia'' ed era stato accusato di ''[[majestas]]'' da [[Gaio Norbano]], ma Cepio venne condannato.
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