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Tra la molteplicità delle dottrine secolari che emersero, solo il [[marxismo]] salvò lo scopo del cristianesimo medievale, ovvero quello di conservare la ricerca del senso di una vita umana vista non solo come identità sociale e appartenenza ad un gruppo, ma anche come superamento dei propri limiti in una tensione ideale verso la perfezione. Scrive MacIntyre: «''Only one secular doctrine retains the scope of traditional religion in offering an interpretation of human existence by means of which men may situate themselves in the world and direct their actions to ends that trascend those offered by their immediate situation: Marxism''».
Non solo quindi il marxismo conserva alcuni aspetti della tradizione cristiana, ma anche la religione può essere considerata, così come fa Marx, l'espressione di determinate strutture sociali e di particolari concezioni politiche. MacIntyre analizza come Hegel, nonché la [[Idealismo tedesco#Sinistra e destra Hegeliana|destra]] e la [[sinistra hegeliana]], trascendendo i limiti dell'Illuminismo ed introducendo per la prima volta alcuni dei temi salienti del marxismo, trasportarono la discussione della religione sul piano filosofico.
Il passaggio dalla filosofia alla pratica è attuato da [[Karl Marx|Marx]]. Egli dimostra che il fallimento della teoria politica hegeliana e della pratica politica prussiana è avvenuto per non aver tenuto conto che «"''politics is a human activity and that the ultimate reality is that of man"''».
 
MacIntyre spiega come la teologia si conservò in maniera latente lungo la linea della tradizione inaugurata da Hegel sino a giungere al marxismo più maturo, per il quale la religione svolge due funzioni: quella di giustificare per autorità divina un certo ordine sociale insieme a quella di fornire un modello di comportamento umano. Se, da una parte, il [[comunismo]] considera la religione come "l'oppio dei popoli", dall'altra, riconosce che essa originariamente possedeva un vero e proprio spirito rivoluzionario, come quello espresso dal millenarismo, e che andò perduto quando il tentativo di attuare la liberazione sulla terra fallì. In conclusione sia il marxismo che il cristianesimo sono accomunati poiché essi "«''rescue individual lives from the insignificance of finitude (to use an Hegelian expression) by showing the individual that he has or can have a role in a world-historical drama" ''».
Nella produzione di MacIntyre a partire dagli anni Settanta troviamo, da un lato, un'ampia serie di saggi critici che spaziano da [[Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]] a [[Herbert Marcuse]] ; dall'altro lato, si va sempre più evidenziando l'interesse prevalente dell'Autore verso problematiche etiche, ovvero di "storia della morale", rispettivamente nei tre seguenti libri ''Against the Self Images of the age'', ''A Short History of Ethics'', e ''Secularization and Moral Change''.
 
Ma il progetto postfilosofico e postanalitico di rifondare un'etica ormai morta si rivela appieno nella sua opera più citata e recensita: ''After Virtue: a Study in Moral Theory''. In un quadro di decadenza MacIntyre avanza una soluzione originale, forse un po' nostalgico-conservatrice: il ritorno ad una comunità medievale pre-marxista che si ispiri per certi versi ad Aristotele e per certi altri a San Benedetto. Del 1983 è un'altra raccolta di saggi pubblicata in collaborazione con S. Hauerwas di cui fa parte il saggio ''Moral Philosophy: What Next?'', nel quale l'Autore manifesta seri dubbi sul destino dell'etica che è andata via via affacciandosi a problematiche di tipo applicativo, mentre hanno perso forza le discussioni metaetiche della tradizione analitica. Ritorna anche qui la critica alla mancanza di valori, di modelli di riferimento, che egli attribuisce alla perdita del concetto di Dio, di "vita buona" e di ''[[telos (greco)|telos]]'', temi che verranno trattati per esteso nei prossimi capitoli. Le questioni di etica applicata riguardano l'[[ambiente]] (etica ambientale), gli animali (loro diritti), il controllo demografico e la nascita ([[contraccezione]], [[aborto]], [[fecondazione]]), la morte ([[eutanasia]]). L'analisi della perdita dei modelli di riferimento, avvenuta dopo il distacco dalle "etiche teleologiche", quelle cioè che vedevano la vita umana come un viaggio verso una meta prefissata che poteva essere il raggiungimento dell'[[eudaimonia]] per Aristotele o il ricongiungimento con Dio per il cristianesimo, è qui condotta in maniera non dissimile da quella di Dopo la virtù, opera alla quale l'Autore rinvia per la prognosi. In questo saggio egli anticipa la pubblicazione del libro successivo, frutto delle ''Carlyle Lectures'', dal titolo provvisorio ''The Transformations of Justice'', che verrà poi trasformato ''[[Whose Justice? Which Rationality?]]''.
 
In quest'opera ci si domanda se esista ancora qualche criterio di razionalità comune a giudizi alternativi, talvolta totalmente incommensurabili e se sia possibile scegliere razionalmente tra opposte teorie della giustizia. Come nel libro precedente, il principale indiziato di reato è l'[[Illuminismo]], qui colpevole di aver universalizzato un unico modello di ragione che presto si è trovato invece bersagliato dal proliferare di standard diversi tra i quali non è possibile scegliere con argomentazioni valide. Alla domanda su quale possa essere la via d'uscita dal rischio di relativismo, MacIntyre risponde avanzando una soluzione storicistica:
{{quote|So rationality itself, whether theoretical or practical, is a concept with a history : indeed, since there are diversity of traditions of enquiry, with histories, there are, so it will turn out, rationalities rather than rationality, just as it will also turn out that there are justices rather than justice.}}