Socrate: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m wlink disambiguato |
m Bot: stile delle date e modifiche minori |
||
Riga 26:
== Le fonti sulla vita ==
È ben noto il fatto che Socrate non abbia lasciato alcuno scritto. Ricaviamo quindi il pensiero di Socrate dalle opere dei suoi discepoli, tra cui spicca soprattutto il sopracitato [[Platone]] che fu per lungo tempo uno di essi e che condivise, negli scritti giovanili, il pensiero del maestro, a tal punto che risulta difficile distinguere il pensiero socratico da quello platonico, che acquisì poi una maggiore originalità solo nella maturità e nella vecchiaia.<ref>.[[Gabriele Giannantoni]], in ''Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche''. Il prof. Gabriele Giannantoni nell'opera monumentale ''Socratis et Socraticorum reliquiae'' (Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G.G. (Collana Elenchos, XVIII). Napoli, Bibliopolis, 1990-1991. 4 vol., 521, 652, 301, 609 pp.) ha cercato di compilare ogni minima notizia e fonte sulla figura storica di Socrate, incluso materiale attribuito a Eschines Socratico, Antistene e vari altri suoi contemporanei che lo avrebbero conosciuto.</ref><ref>Secondo Vlastos i dialoghi platonici sono comunque una fonte attendibile, perché tendono a riflettere l'immagine del vero Socrate. Giovanni Reale poi spiega in ''Socrate'' (v. bibliografia) i motivi per cui l'''[[Apologia di Socrate]]'' sia da considerare un testo fedele e attendibile. Il professor [[Giovanni Reale]] in varie opere ha offerto un'interpretazione di Socrate basata sul raffronto tra la filosofia greca prima e dopo Socrate: da tale confronto risulta così evidente, l'importanza attribuita da Socrate all'[[anima]] umana, l'attenzione rivolta ora alla dimensione interiore della persona, mentre prima era rivolta esclusivamente allo studio della natura e a stabilire i principi primi del cosmo (''[[arché]]'').</ref>
Un'altra fonte della vita e del pensiero di Socrate è rappresentata dallo storico [[Senofonte (storico)|Senofonte]] a cui però non interessa il pensiero socratico, ma soprattutto l'esposizione di aneddoti della vita [[militare]] del suo amico Socrate.
Riga 42 ⟶ 41:
[[File:Socrates and Xanthippe.jpg|thumb|right|Socrate e Santippe<br />Incisione di [[Otto van Veen]], [[XVII secolo]].]]
Il periodo storico in cui visse Socrate è caratterizzato da due date fondamentali: il [[469 a.C.]] e il [[404 a.C.]]
Il padre di Socrate, Sofronisco, fu uno [[scultore]] e trasmise il mestiere al figlio: opera di Socrate sarebbero state le [[Cariti]], vestite, sull'[[Acropoli di Atene]].<ref>Cfr. Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', I Classici del pensiero, Mondadori, Milano 2009, p. 55.</ref> Sua madre, [[Fenarete]], fu una [[ostetrica|levatrice]].<ref>«Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d’una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete? Teeteto – Questo sí, l’ho sentito dire. Socrate – E che io esercito la stessa arte l’hai sentito dire? Teeteto – No, mai! Socrate – Sappi dunque che è cosí. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest’arte;» (Platone, ''Teeteto'', 149 a-151 d.) Il mestiere che Socrate afferma di avere ereditato dalla madre è naturalmente non quello di far nascere neonati ma l'arte della ''[[maieutica]]''.</ref>
Riga 74 ⟶ 73:
Ma alla fine del confronto, racconta Socrate, questi, messi di fronte alle proprie contraddizioni (l'''[[aporia]]'' socratica) e inadeguatezze, provarono stupore e smarrimento, apparendo per quello che erano: dei presuntuosi ignoranti che non sapevano di essere tali. «Allora capii, dice Socrate, che veramente io ero il più sapiente perché ero l'unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città, messi di fronte alla loro pochezza presero ad odiare Socrate».
«Ecco perché ancora oggi io vo d'intorno investigando e ricercando...se ci sia alcuno...che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrami che non ci sia nessuno, io vengo così in aiuto al [[dio]] dimostrando che sapiente non esiste nessuno»
Egli quindi "investigando e ricercando" conferma l'oracolo del dio, mostrando così l'insufficienza della classe politica dirigente. Da qui le accuse dei suoi avversari: egli avrebbe suscitato la [[contestazione]] giovanile insegnando con l'[[Criticismo|uso critico della ragione]] a rifiutare tutto ciò che si vuole imporre per la forza della tradizione o per una valenza religiosa. Socrate in realtà (sempre secondo la testimonianza di Platone) non intendeva affatto contestare la religione tradizionale, né corrompere i giovani incitandoli alla sovversione.
Riga 81 ⟶ 80:
La questione controversa di Socrate, se possa o no essere indicato come il primo filosofo occidentale scopritore di un'anima immortale dell'uomo, è strettamente legata alla discussa cronologia delle opere platoniche.
La dottrina dell'anima va riportata esclusivamente al pensiero platonico per quegli storici della filosofia che accettano «la cosiddetta interpretazione "evolutiva" della filosofia platonica, cioè l’idea che nel suo lungo itinerario filosofico Platone avesse sviluppato e mutato, anche profondamente, il suo pensiero, passando gradatamente da una fase giovanile di preponderante impegno apologetico nei confronti di Socrate,
Secondo invece l'interpretazione data da [[John Burnet]] (1863-1928), [[Alfred Edward Taylor]] ([[1869]]-[[1945]] filosofo idealista inglese), [[Werner Jaeger]] (filologo tedesco), anche se non condivisa da tutti,<ref>Recensendo la monografia d Taylor a proposito di Socrate come scopritore dell’idea occidentale di anima, lo storico della filosofia Guido Calogero scrive: «L’audacia di questa ricostruzione, che non si basa su alcuna testimonianza positiva, ma solo sulla mancanza di strumenti di transizione tra gli antichi concetti naturalistici dell’anima e la concezione etica che ne presuppone il platonismo è anche più forte di quella che conduce ad ascrivere a Socrate la teoria platonica delle idee.» (cfr.G. Calogero in ''Giornale critico della filosofia italiana'' 2, 1934, pp.223-227</ref> Socrate fu di fatto il primo filosofo occidentale a porre in risalto il carattere personale dell'anima umana (''psyché'') sostenendo che questa costituisca la vera essenza dell'uomo.<ref>«Socrate, per quanto si sappia, creò la concezione dell'anima che da allora ha sempre dominato il pensiero europeo» (A. E. Taylor, ''Socrate'', Firenze 1952, pag. 98).</ref>
Sebbene la tradizione [[orfismo|orfica]] e [[Pitagora|pitagorica]] avessero già identificato l'uomo con la sua anima, in Socrate questa parola risuona in forma del tutto nuova e si carica di significati [[antropologia|antropologici]] ed [[etica|etici]]:
«Tu, ottimo uomo, poiché sei ateniese, cittadino della Polis più grande e più famosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, per guadagnarne il più possibile, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità, e della tua anima, perché diventi il più possibile buona?»
Mentre gli Orfici e i Pitagorici consideravano l'anima ancora alla stregua di un demone divino, Socrate la fa coincidere con l'[[io (filosofia)|Io]], con la coscienza pensante di ognuno, di cui egli si propone come maestro e curatore.<ref>Cfr. Platone, ''Protagora'', 313, e 2.</ref> Non sono i sensi ad esaurire l'identità di un essere umano, come insegnavano i sofisti, l'uomo non è corpo ma anche [[ragione]], conoscenza intellettiva, che occorre rivolgere ad indagare la propria essenza.<ref>«Socrate: ''L'anima è quella che governa. Colui dunque che ci esorta a conoscere noi stessi ci invita ad acquistare conoscenza della nostra anima''» (Platone, ''Alcibiade maggiore'', 130 e, trad. di E. Turolla).</ref>
Riga 123 ⟶ 122:
{{quote|Ma posto anche che si negasse l'autenticità dell'Alcibiade Maggiore (ma io sono ben lungi dall'essere di questo parere), rimane il fatto che il ''Fedone'' dice le stesse cose, sia pure con altro linguaggio, ossia che ''il vero uomo è la sua anima''.|G. Reale, ''La concezione dell'anima in Platone'', in ''Interiorità e anima: la psychè in Platone'', pag. 222, a cura di Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara e Arianna Fermani, Vita e Pensiero, 2007}}
Per quanto riguarda il "Fedone", ultimo dialogo della prima tetralogia di [[Trasillo di Mende|Trasillo]], che tratta del contesto in cui si svolge la morte di Socrate, lo studio stilistico dell'opera, più narrativa che dialogica, pur motivando alcuni studiosi ad assegnare l'opera al periodo della maturità
=== Il ''[[Demone|Dáimon]]'' (Δαίμων) socratico ===
Riga 203 ⟶ 202:
{{quote|È giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere. Chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al dio.|[[Platone]], ''[[Apologia di Socrate]]''}}
[[File:David - The Death of Socrates.jpg|thumb|300px|[[Morte di Socrate]], tela di [[Jacques-Louis David]]]]
La morte di Socrate
Quindi Socrate si reca in una stanza a lavarsi per evitare alle donne il fastidio di accudire al suo cadavere.<ref>Carlo Sini, ''I filosofi e le opere'', vol.I, Principato, nota p.92</ref> Tornato nella cella, dopo aver salutato i suoi tre figlioli e le donne di casa li invita ad andarsene.
Riga 212 ⟶ 211:
Giunto il carceriere incaricato della somministrazione della [[cicuta]] Socrate si rivolge a lui, poiché in questo "dialogo" è lui il più "sapiente", chiedendogli che cosa si deve fare e se si può [[libagione|libare]] a un qualche dio. Il boia risponde che basta bere il veleno che è della giusta quantità per morire e non è quindi possibile usarne una parte per onorare gli dei. Socrate allora dice che si limiterà a pregare la divinità perché gli assicuri un felice trapasso e, così detto, beve la pozione. Gli amici a questo punto si abbandonano alla disperazione ma Socrate li rimprovera facendo, lui che sta morendo, a loro coraggio:
{{Quote|Che stranezza è mai questa, o amici, Non per altra ragione io feci allontanare le donne perché non commettessero di tali discordanze. E ho anche sentito dire che con parole di lieto augurio bisogna morire. Orsù dunque state quieti e siate forti
Il paralizzarsi e il raffreddarsi delle membra, divenute insensibili, dai piedi verso il torace, segnala il progressivo avanzare del veleno:<ref>Platone non evidenzia nella morte di Socrate tutti gli effetti che questo veleno normalmente ha come nausea, vomito, spasmi, volendo sottolineare probabilmente la separazione del corpo dall'anima come un avvenimento indolore oltreché benefico. (Cfr. C. Gill, ''The death of Socrate'' in ''Classical Quarterly'', 23, 1973, pp.225-228). Altri autori, dati i sintomi descritti, hanno ritenuto che per Socrate si sia utilizzata una mistura di veleni: il termine "cicuta" del resto allude ad un miscuglio di Conium, [[oppio]] e [[datura]]).(Cfr. Jean De Maleissye, ''Storia dei veleni. Da Socrate ai giorni nostri'', Bologna, Odoya, 2008)</ref>
{{Quote|E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s'era coperto - e disse, e fu l'ultima volta che udimmo la sua voce: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»
====Il gallo ad Asclepio====
Queste ultime parole di Socrate morente hanno dato luogo a varie interpretazioni da parte degli studiosi: quella più semplice e diffusa è che egli, che non vuole lasciare debiti irrisolti né con gli uomini né con gli dei, prega Critone di ringraziare per suo conto il dio [[Asclepio]] (l'Esculapio per i romani) per avergli reso la morte indolore.<ref>C. Sini, ''I filosofi e le opere'', Vol. I, Principato nota p.95</ref>
Altri ritengono, come [[Friedrich Nietzsche]], che Socrate ringrazi il dio della medicina per averlo guarito dalla malattia del vivere:
{{Quote|Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: «O Critone, la vita è una malattia!»
Coerente con questa interpretazione è lo stesso mito di Asclepio che narra come questi avesse sanato resuscitandolo un morto, attirandosi per l'atto sacrilego l'ira di [[Zeus]] che lo fulminò riducendolo in cenere.<ref>Platone, ''Repubblica'', 408 bd</ref>.
Interpreti moderni, rifacendosi allo stesso racconto della morte di Socrate, avanzano l'ipotesi che con queste parole egli voglia ingraziarsi il dio perché guarisca il suo discepolo Platone che all'inizio del dialogo è descritto come ammalato
Del plurale ''dobbiamo'' fornisce un'interpretazione, ripresa anche da [[Michel Foucault]] ([[1926]]-[[1984]]), [[Georges Dumézil]] ([[1898]]–[[1986]])<ref>G. Dumézil, ''Le moyne noir en gris dedans Varenne, sotie nostradamique'' (''Divertissement sur les dernières paroles de Socrate''), Parigi, Adelphi 1987 ed anche in Virginia Finzi Ghisi, ''Place Vendôme'', ed. Moretti & Vitali, 1997</ref> secondo il quale Critone e Socrate stesso devono il gallo ad Asclepio perché, grazie ad un provvidenziale sogno, sono guariti da un delirio delle loro menti quello che suggeriva, soprattutto a Critone, di far fuggire Socrate dal carcere sottraendosi alle Leggi.
Alcuni autori, mettendo da parte ogni sottigliezza [[ermeneutica]], sostengono che le ultime parole di Socrate non siano altro che il delirio senza senso a causa del veleno di un moribondo
[[Franz Cumont]] sostiene che non sia casuale il riferimento di Socrate al gallo, in quanto questo animale, sacro ad Asclepio, nel mito greco, aveva il potere di scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni anche oltre la morte.<ref>F. Cumont, ''A propos des dernières paroles de Socrate'', in ''Compte rendu de l'Acadèmie des Inscriptiones et Belles Lettres, 1934, p.124</ref>
Riga 236 ⟶ 235:
== La "questione socratica" ==
Di Socrate Kierkegaard sosteneva che l'unica cosa certa era che fosse esistito
* I ''[[Dialoghi (Platone)|Dialoghi]]'' di Platone (''Apologia di Socrate'', ''Simposio'')
* Gli scritti di Senofonte, soprattutto i ''Memorabilia'', l' ''Apologia di Socrate'', il ''Simposio'' e l' ''Economico''.
* Le commedie ''[[Le nuvole (Aristofane)|Le Nuvole]]'', ''[[Gli uccelli (Aristofane)|Gli Uccelli]]'' e ''[[Le rane (Aristofane)|Le Rane]]'' di Aristofane.</ref>
Come per la cosiddetta "[[questione omerica]]" è stata posta così una "questione socratica", riferita non solo al suo pensiero ma anche alle notizie della sua vita, su cui si sono cimentati diversi autori: [[Olof Gigon]],<ref>O. Gigon,''Sokrates. Sein Bild in Dichtung und Geschichte'', Tubingen-Basel 1947, pp.14,64</ref>; H. Maier
== Note ==
| |||