Manio Valerio Voluso Massimo: differenze tra le versioni

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Di fronte a questa situazione i due consoli chiesero consiglio al [[Senato romano|Senato]]; questi, criticandoli aspramente, dapprima rispose che erano decisioni che dovevano prendere i consoli ma in seguito gli ordinò di imporre la leva militare anche con la forza.
 
Ci fu così una rissa tra i plebei e i senatori presenti e questo avvenimento portò alla nomina di un dittatore. Venne scelto Manio Valerio Massimo, e non [[Appio Claudio Sabino Inregillense (console 495 a.C.)|Appio Claudio]], per la sua personalità meno aggressiva e più duttile rispetto a quella di Appio, nonché per la sua appartenenza alla [[gens Valeria]], popolare tra la plebe. Alla fine Manlio riusciriuscì a convincere i plebei a fare la leva, più che con la minaccia derivante dalla sua carica, con la conferma delle promesse fatte da [[Publio Servilio Prisco Strutto|Publio Servilio]]<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe Condita Libri]]'', II, 30.</ref>
 
=== Le campagne militari ===
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{{Quote|''...Lanciatosi all'attacco con la cavalleria, aveva fatto il vuoto nel centro dell'esercito nemico, rimasto troppo scoperto per l'eccessiva apertura a ventaglio delle due ali. Nel bel mezzo di questo disordine subentrarono i fanti all'assalto. Con un solo e unico attacco presero l'accampamento e misero fine alla campagna.....''|[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [http://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita/liber_II lib. II, par. 31]}}
 
Anche gli eserciti guidati da Tito Veturio e Aulo Verginio ebbero ragione dei propri nemici, e gli eserciti poterono tornare a romana, con la speranza che le promesse fossero mantenute.
 
=== Dalla secessione della plebe al tribunato ===
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{{Quote|''...Infatti Valerio, dopo il rientro del console Vetusio, diede precedenza assoluta alla causa del popolo vincitore, portandola all'attenzione del senato e chiedendo un pronunciamento definitivo sugli insolventi per debiti. Visto che la richiesta non fu approvata, disse: «Io non vi vado a genio perché cerco di ricomporre la frattura. Tra pochi giorni, ve lo garantisco, desidererete che la plebe abbia dei difensori come me. Per quel che mi riguarda, non ho intenzione di prendere ulteriormente in giro i miei concittadini né di continuare a fare il dittatore solo in teoria. Questa magistratura era l'unica soluzione per uno Stato diviso tra urti interni e una guerra da combattere all'esterno: fuori è tornata la pace, mentre in città si fa di tutto per ostacolarla. Interverrò nei disordini da privato cittadino piuttosto che da dittatore.» Uscì quindi dalla curia e rassegnò le dimissioni....''|[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [http://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita/liber_II lib. II, par. 31]}}
 
In questo contesto si realizzò la [[Secessio_plebis#Secessione_del_494|secessione dei plebei]], che per protesta si ritirano sul Monte Sacro, tre miglia fuori Roma sulla destra dell'Aniene dove fortificarono un campo.<ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab urbe condita libri|Ab urbe condita]], II.32''</ref>, secessione che rientrò a seguito dell'intervento di [[Menenio Agrippa]] che rivolse ai fuoriusciti il famoso [[apologo|apologo delle membra e dello stomaco]].
 
Sul piano pratico venne istituita una carica magistrale a difesa della plebe: il [[Tribuno della plebe]]. Questa carica era interdetta ai patrizi e venne sancito con una legge (la ''[[Lex Sacrata]]'') il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità (''sacrosancti'') della carica stessa. Vennero quindi eletti i primi due tribuni della plebe, che furono [[Gaio Licinio Stolone|Gaio Licinio]] e [[Lucio Albino]]. <ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab urbe condita libri|Ab urbe condita]], II.33''</ref>
 
== Note ==