Le prime implementazioni del linguaggio usavano una virtual machine che intepretava il bytecode per ottenere la massima portabilità. Questa soluzione si è però rivelata poco efficiente, in quanto e i programmi interpretati erano molto lenti. Per questo tutte le implementazioni recenti di macchine virtuali Java hanno incorporagtoincorporato un JIT compiler, cioè un compilatore interno che al momento del lancio traduce al volo il programma bytecode Java in un normale programma nel linguaggio macchina del computer ospite; inoltre questa ricompilazione è ''dinamica'', cioè la virtual machine analizza costantemente il modello di esecuzione del codice (''profiling'') e ottimizza ulteriormente le parti più frequentemente eseguite mentre il programma sta girando. Questi accorgimenti, a prezzo di una piccola attesa in fase di lancio del programma, permette di avere delle applicazioni Java decisamente più veloci e leggere. Tuttavia, anche così Java resta un linguaggio meno efficiente dei linguaggi compilati come il C++, scontando il fatto di possedere degli strati di astrazione in più e di implementare una serie di automatismi, come il garbage collection, che se da un lato fanno risparmiare tempo ed errori in fase di sviluppo dei programmi dall'altro consumano memoria e tempo di CPU in fase di esecuzione del programma finito.