Utente:Kur/sandbox5: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
ioty8
hdgte
Riga 54:
</ref>.
 
Nella seconda metà del Seicento, durante l'espansione coloniale della potenza inglese e l'avvio dello sfruttamento degli schiavi neri per la produzione dello zucchero, si aggiungono al vegetarianismo nuovi argomenti legati al mutamento del contesto storico. Una figura emblematica di questa fase è lo scrittore inglese Thomas Tryon (1634-1703), che decise di rinunciare a ogni lusso e adottare una dieta vegetariana. Tryon denuncia il comportamento dell'europeo cristiano, che considera comedefinendolo un oppressore intollerante il cui lusso e i cui sprechi «non possono essere mantenuti se non principalmente grazie alla grande Oppressione degli Uomini e degli Animali<ref>
In Gran Bretagna, durante la rivoluzione degli anni quaranta del Seicento, emerge anche un propagandista del vegetarianismo, il cappellaio Roger Crab (1621-1680), che considerava il consumo di carne un lusso e causa di rialzo dei prezzi e di aggravamento della povertà. Roger Crab aderì ad una forma di vegetarianismo stretto, ovvero seguiva, come venne definita in seguito, una dieta vegana<ref>
Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pag. 56.
</ref>.
 
Nella seconda metà del Seicento, durante l'espansione coloniale della potenza inglese e l'avvio dello sfruttamento degli schiavi neri per la produzione dello zucchero, si aggiungono al vegetarianismo nuovi argomenti legati al mutamento del contesto storico. Una figura emblematica di questa fase è lo scrittore inglese Thomas Tryon (1634-1703), che decise di rinunciare a ogni lusso e adottare una dieta vegetariana. Tryon denuncia il comportamento dell'europeo cristiano, che considera come un oppressore intollerante il cui lusso e i cui sprechi «non possono essere mantenuti se non principalmente grazie alla grande Oppressione degli Uomini e degli Animali<ref>
Thomas Tryon, ''Friendly Advice to the Gentlemen-Planters of the East and West Indies'', London, 1684, pag.166. Cit. in: Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pag. 60.
</ref>».
 
Nel Settecento il vegetarianismo inizia ad essere un argomento sostenuto e diffuso dai medici, in nome della salute e delle caratteristiche dell'anatomia e della fisiologia umana che, a partire dall'apparato digerente, dalla dentatura e dalle mani, dimostrerebbero la natura vegetariana dell'uomo. Tra i più noti medici e scienziati fautori del vegetarianismo nell'Europa di questo periodo troviamo in Svezia Linneo (1707-1778) e i suoi discepoli, in Francia Louis Lémery (1677-1743) e Philippe Hecquet (1661-1737), in Inghilterra Edward Tyson (1651-1708), John Arbuthnot (1667-1735) (medico della famiglia reale inglese) e George Cheyne (1671-1743), in Italia Antonio Cocchi (1695-1758) – la cui influenza ebbe dimensioni internazionali e che nel 1743 pubblicò ''Del vitto pitagorico per uso della medicina'', destinato ad essere più volte ristampato e tradotto sia nel Settecento che nell'Ottocento e a suscitare un vivo dibattito, soprattutto tra i medici italiani dell'epoca<ref>
Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pagg. 74-77.
</ref>.
Riga 68 ⟶ 64:
In questo periodo Voltaire (1694-1778) torna sulla questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarianismo in numerose opere.
 
* L'inglese John Frank Newton (1770-1825?) pubblica nel 1811 ''The Return to Nature'', una difesa basata su testimonianze di tipico medico ed etnologico del regime vegetariano, adottato in quegli anni insieme al naturismo non solo da lui (che riusciva così a tenere a bada l'asma), ma dalla moglie, dai figli ancora bambini e da altri amici, tra cui il dottor William Lambe (1765-1847), docente all'università di Cambridge e fautore del vegetarianismo terapeutico, che applicò a molti suoi pazienti, e Percy Shelley (1792-1822), che in ''Vindication of Natural Diet'' indica la dieta carnea come un simbolo del lusso che, insieme ad altri falsi bisogni indotti tra i poveri, ritiene all'origine dello sfruttamento del lavoro e delle disuguaglianze sociali<ref>
* Nel 1791 a Londra esce un pamphlet intitolato ''The Cry of Nature'', di John Oswald (1760?-1793). Per questo autore la scelta vegetariana rappresentava un sistema di vita che il semplice sentimento naturale bastava a giustificare, ma anche una presa di posizione morale e politica, in quanto considerava il mutamento radicale del rapporto con gli animali e la natura un nodo politico essenziale per giungere alla fondazione di una società egualitaria. Per Oswald la tirannia sugli animali è un prodotto della civiltà della disuguaglianza, una civiltà divisa tra ricchi e poveri e fondata sul potere e, a un livello ancora più profondo, sul dominio sulla natura<ref>
Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pagg. 86-87.
</ref>.
 
Nel 1802, sempre a Londra, viene pubblicato ''An Essay on Abstinence from Animal Food, as a Moral Duty'', di Joseph Ritson (1752-1803), convertitosi fin da giovane al vegetarianismo vegano. La sua opera è un attacco frontale all'antropocentrismo, che raccoglie tutte le fonti del vegetarianismo antiche e moderne, riconsiderando le conseguenze delle loro argomentazioni. Nel dileggiare l'idea che Dio abbia creato tutte le creature per l'uomo, Ritson ricorre all'esempio dei parassiti, che la natura ha concepito a perpetuo tormento e distruzione dell'essere umano, affermando, con ironia: «Se un uomo vuole avere un'idea corretta e perspicua dei doni della natura, dovrebbe visitare gli ospedali, non le chiese»<ref>
Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pagg. 90-92.
</ref>.
 
L'inglese John Frank Newton (1770-1825?) pubblica nel 1811 ''The Return to Nature'', una difesa basata su testimonianze di tipico medico ed etnologico del regime vegetariano, adottato in quegli anni insieme al naturismo non solo da lui (che riusciva così a tenere a bada l'asma), ma dalla moglie, dai figli ancora bambini e da altri amici, tra cui il dottor William Lambe (1765-1847), docente all'università di Cambridge e fautore del vegetarianismo terapeutico, che applicò a molti suoi pazienti, e Percy Shelley (1792-1822), che in ''Vindication of Natural Diet'' indica la dieta carnea come un simbolo del lusso che, insieme ad altri falsi bisogni indotti tra i poveri, ritiene all'origine dello sfruttamento del lavoro e delle disuguaglianze sociali<ref>
Erica Joy Mannucci, ''La cena di Pitagora'', Carocci Editore, 2008, pagg. 94-95.
</ref>.