Le pecore e il pastore: differenze tra le versioni
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Non meravigli che qualcuno possa aver sparato da quel luogo di preghiera perché nei tempi passati i conventi davano abitualmente rifugio ai ricercati della legge i quali per sfuggire alla giustizia mettevano in atto una [[latitanza]] che avrebbe dovuto essere di pentimento e preghiera ma che in realtà trasformava i conventi in un rifugio di pericolosi banditi.
Il vescovo quindi non può rimanere nell'eremo inadatto a curare un ferito grave e, appena possibile, viene riportato ad Agrigento.
Camilleri racconta di aver letto di questi avvenimenti in un libriccino dimenticato della sua biblioteca ma ciò che lo incuriosì fu una nota a piè di pagina dove si riferiva di una lettera scritta il [[16 agosto]] del [[1956]] dall'[[badessa|abadessa]]<ref> Scriveva l'abadessa suor Enrichetta Fanara: «''Non sarebbe il caso di dirglielo ma glielo diciamo per fargli ubbidienza...Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore''».</ref> del convento benedettino
Nella lettera si scriveva che dieci giovani monache si lasciarono morire (probabilmente di fame e di sete) per avere, in cambio della loro vita, la salvezza del vescovo che infatti guarì dalle gravi ferite riportate nell'attentato. Si chiede Camilleri: <br/> «''Nessuna delle suore ebbe un ripensamento? Nessuna suora implorò, in extremis, di essere salvata? E in questo caso, come si comportarono le consorelle? Si tapparono le orecchie per non sentire quel flebile implorare? Uscirono dalle celle chiudendosi la porta alle spalle o tentarono un salvataggio oramai impossibile? Non lo sapremo mai''».
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