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Sono più che d'accordo circa la "strana" mescolanza di stili (già quella misteriosa signorina Santrina, se ben ricordo, le insegnò un impasto di stile italiano e un 'metodo francese' che la C. definiva "attraverso il naso"): ma la sua non era un'impostazione troppo dissimile da una precisa linea di soprani drammatici recenti, basta sentire la Ponselle o la Muzio per sentire una forte "aria di famiglia". Per quanto riguarda la sua parentela, forse troppo ingenuamente rilevata, con le Malibran e le Pasta &c., è chiaramente una schematizzazione. Serviva a dire che la C., per prima, si è trovata *perfettamente a suo agio* in un repertorio che era anche, grosso modo (molto grosso, volendo: la C. non faceva né il Don Giovanni, o la Zauberfloete, tanto per iniziare, ma non certo perché non ne fosse in grado), il loro. Ma non bisogna dimenticare che la Pasta e la Malibran, come, volendo, le Grisi e molte altre cantanti in vista furono interpreti altamente idiosincratiche, fortemente caratterizzate e nient'affatto afferenti ad un "tipo" anche genericamente identificabile. Senza entrare nello specifico delle qualità vocali e interpretative rilevate dai critici all'epoca (sarebbe insulso: bisognerebbe poterle ascoltare, e non si può), c'è almeno da rilevare, e con grande forza, come quelle cantanti facessero, servendosi peraltro di mezzi eccezionali, quindi non "medii" -- non si può dire che "Norma" all'epoca "si cantasse *COSI'*", Norma è un'opera eccezionale scritta per una cantante eccezionale -- grande ricorso a risorse che non limitabili all'àmbito della tecnica di canto. Che poi si stabilissero alcuni canoni interpretativi certi è un fatto. Quanto ai tagli, anche lì è molto opinabile. 'Anna Bolena', per esempio, è un'opera [oggi, per "colpa" della C., in un certo senso, fin troppo rappresentata e incisa] zeppa (ti dico il mio parere) di pagine abbastanza inutili. Scorciata è stata sicuramente trasformata in un'altra cosa, e in una cosa migliore. Almeno, la finalità era questa, ed è una finalità secondo me raggiunta (non ho venerazione per Gavazzeni, tutt'altro, ma nella sua funzione di "tagliator cortese" ha avuto molto spesso tutte le ragioni, e Anna Bolena è stato uno dei casi che, anche non solo secondo me, lo dimostrano). Posso anche capire il taglio dell'aria di Raimondo, che non monda nespole, e della scena della torre (pleonastica, per quanto bella) dalla 'Lucia di Lammermoor'. Sono tagli che tengono conto della tenuta drammatica, che oggi è passata in cavalleria rispetto al problema musicale ma pure è una componente (teoricamente) fondamentale. Già un'Anna Bolena integrale è drammaticamente meno incisiva di una tagliata. Se i tagli sembrano 'goffi' ad un musicista, dal punto di vista drammatico possono essere quanto di più saggio. Bene o male, un'opera è un dramma, racconta una storia, e le lungaggini tolgono molto all'insieme. Ho letto anch'io le lezioni alla Juilliard, la C., ricordo, consigliava di falciare via i torciglioni (ma ricorderò bene?) alla fine della prima cabaletta, li definiva troppo fioriti. In effetti non sono una gran bellezza. Poi, sicuramente, faceva cose che oggi non si farebbero più: nel Turco in Italia ha rinunciato a un da capo, in compenso inserendo una cadenza enorme (anche nell'Armida). Non so se sia da considerare "naif", questo, come rinunciare a mettere un abbellimento dove c'è una corona: so che all'epoca il da capo dava problemi enormi, perché ci si chiedeva (anche Toscanini ha lasciato qualche osservazione in merito) a che scopo ripetere il già detto (con pochissime eccezioni) -- osservazioni che oggi fanno ridere, ma che all'epoca si era portati a fare. La C. doveva tenere conto di un pubblico che tendeva ad avere reazioni allergiche rispetto, in genere, al meccanismo dell'iterazione. Per questo la C. doveva far rientrare certe cose un po' di contrabbando, o di sorpresa. Può essere anche molto istruttivo, volendo, proprio perché oggi non esiste più un'attenzione del genere, che pure ha dato i suoi risultati.
d.
 
:Mi pare che una tua osservazione possa essere il punto di partenza per aggiustare il passaggio: quando noti che l'assenza di rigore filologico era una caratteristica comune ai direttori e agli interpreti dell'epoca. Intendo precisare questa cosa affinché non sembri una peculiarità della Callas.<br/>
Per il resto ci sono questioni su cui non sono troppo d'accordo. Sul fatto che le opere "riesumate" dalla Callas siano entrate in repertorio forse hai dei riscontri statistici che a me mancano. Lasciamo stare Macbeth, che tra l'altro fu diretto niente meno che da De Sabata. Ma davvero si dà così tanto Anna Bolena? Forse hai ragione, ma spero di no! :) O l'Alceste e l'Ifigenia in Tauride di Gluck? all'estero magari.... Se sai di qualche rappresentazione del Pirata invece dimmelo perché ci vado! Tu stesso riconosci che Armida e persino Il turco in Italia ormai non si fanno spesso. Per carità, le ragioni per cui un'opera rientra o no in repertorio possono essere le più svariate, non è certo solo colpa o merito dell'interprete che l'ha riproposta. Ma determinati successi legati alla presenza di un fuoriclasse secondo me restano più nel mito che altro. Altra cosa è riuscire a dare una rilettura organica ad una partitura musicale, ma per questo servono un'edizione fatta come si deve e un direttore che sappia quello che dirige. Chiacchierando di tagli d'epoca, mi è venuta in mente l'eccezione straordinaria di Bernstein che propose alla Scala la Sonnambula pressoché integrale, proprio con la Callas. Mi piacerebbe conoscere i retroscena di quell'evento: se la Callas fu contenta o meno, se piacque l'esecuzione ecc. Certo quella per me è La sonnambula, mentre quella di Votto no (e non solo a causa dei tagli). So che i fautori dei tagli in genere invocano il fattore teatralità, cosa che in parte capisco. Tuttavia persino per fare i tagli bisogna prima conoscere a fondo la partitura per quello che è, lo stile di un autore e le convenzioni di un'epoca, non si può incontrare qualche battuta che non piace e dire "via": perché i pezzi hanno una forma e quella battuta non particolarmente interessante nel contesto è necessaria. Paradossalmente trovo più accettabile l'eliminazione di un'intera scena (tu accennavi a quelle due di Lucia di Lammermoor) che una cabaletta senza ripresa, in genere tenendo la coda alla fine col risultato di avere - per dire - 1 minuto di strofa, 40 secondi di coda e sicuramente acuto sparato alla fine, perché il risultato è goffo, sia in se stesso che nel contesto del numero musicale. Insomma, la musica ha i suoi percorsi e la sua logica. A volte sono stati gli stessi compositori a tagliare, ma nel farlo hanno seguito una logica compositiva. Tu accennavi a Gavazzeni, che a volte è vero ha fatto dei tagli, ma a me è capitato di sentire opere di quel repertorio eseguite da lui in versione quasi integrale. Il suo Pirata è ben altra cosa rispetto a quello con la Callas. Riguardo al Festival di Pesaro, non ti pare che abbia allevato parecchie voci, alcune grandi (non necessariamente italiane e non necessariamente soprani) che hanno cantato quel repertorio in Italia e all'estero? Magari le cose stessero così per altri autori!.... Oggi quando si esegue un'opera di Rossini, anche senza un grande cast, le probabilità che il risultato sia almeno discreto sono elevate, perché si è creato un gusto, nell'ascoltarlo e nell'eseguirlo, grazie allo studio delle sue partiture e all'approccio filologico. Non importa se le singole opere non vanno in scena spesso: è lo stile di un autore che è stato messo a fuoco. Certo, Sigismondo o Torvaldo e Dorliska hanno i loro problemi, ma direi che hai preso due esempi un po'.... particolari ;-) Diverso è il caso degli autori che furono considerati proprio il cavallo di battaglia della Callas, come Donizetti e soprattutto Bellini. Ti faccio un esempio: Abbado è un direttore rigoroso quando esegue Rossini, ma i suoi Capuleti degli anni 60 sono un esempio di tutto ciò che non si deve fare eseguendo Bellini. Evidentemente gli mancava la consapevolezza di cosa sia quella musica e probabilmente gli mancherebbe ancora adesso. Questo non a proposito della Callas ma per dire che senza partire dalla filologia raramente si va lontano. Tornando alla Callas, resto dell'idea che forzò il repertorio belliniano e donizettiano in chiave tardo-ottocentesca: ciò che riusciva ad adattare alla sua visione estetica lo cantava, magari in modo sublime, il resto (o anche i pertichini altrui!) lo ridimensionava o lo eliminava. L'idiosincrasia per le ripetizioni, di cui l'opera del primo Ottocento è piena, mi pare molto indicativa di questa distanza culturale, dato che si trovano tali e quali qualunque fosse stata la prima interprete dell'opera.<br/>
Queste osservazioni comunque restano su queste pagine, nella voce prometto di aggiustare il passo in questione. Ciao --[[Utente:Francesco Cesari|Al Pereira]] 08:32, 22 nov 2006 (CET)