Pirodiserbo: differenze tra le versioni
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Il pirodiserbo trova applicazione nelle colture erbacee di pieno campo, quali il mais e le orticole, per la lotta alle infestanti, nelle colture arboree, per il controllo della flora spontanea, la spollonatura e la sterilizzazione dei residui colturali da inoculi di agenti patogeni e, infine, nelle aree extra-agricole (aree verdi, parchi, giardini, strade, ferrovie, ecc.) per il controllo delle infestanti.
La tecnica del pirodiserbo non ha, fino ad oggi, riscosso un successo applicativo paragonabile a quello di altri mezzi di lotta alternativi al diserbo chimico, quali ad esempio lo sfalcio e la pacciamatura, nonostante il suo lungo processo evolutivo. Le ragioni della limitata affermazione di questa tecnica di lotta alle piante infestanti sono principalmente legate ai vari aspetti negativi che si contrappongono ai pur numerosi vantaggi derivanti dalla sua applicazione. Il pirodiserbo è un mezzo di lotta fisico privo di residui pericolosi per la salute umana e dall’impatto ambientale relativamente basso, con la sola eccezione della produzione di vapore acqueo e di CO2. Il trattamento termico ha una buona azione di devitalizzazione delle piante infestanti nelle prime fasi di crescita e un effetto complementare contro i patogeni fungini presenti nei residui colturali. Tra gli aspetti negativi del pirodiserbo sono da considerare, ad esempio, la limitata efficacia nei confronti delle graminacee e, in genere, delle malerbe oltre lo stadio di 2-4 foglie, la pressione selettiva esercitata nei confronti delle specie tolleranti al trattamento termico, le difficoltà di utilizzazione delle attrezzature a fiamma in prossimità di piante utili sensibili o in presenza di vegetazione secca, i costi elevati d’esercizio e la ridotta capacità operativa.
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