Francesco Crispi: differenze tra le versioni
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Inizialmente [[Giuseppe Mazzini|mazziniano]], si convertì agli ideali monarchici nel [[1864]]. Anticlericale e ostile al Vaticano, dopo l’unità d’Italia fu quattro volte presidente del Consiglio: dal [[1887]] al [[1891]] e dal [[1893]] al [[1896]]. Nel primo periodo fu anche ministro degli Esteri e ministro dell’Interno, nel secondo anche ministro dell’Interno. Fu il primo meridionale a diventare presidente del Consiglio.
In politica estera coltivò l’amicizia con la [[Impero tedesco|Germania]], alla quale l’[[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] era legata dalla [[Triplice alleanza (1882)|triplice alleanza]], e avversò quasi sempre la [[Terza Repubblica francese|Francia]], contro la quale rinforzò l’esercito e la marina.
I suoi governi si distinsero per importanti riforme sociali ([[Codice penale italiano del 1889|codice Zanardelli]], Sanità, pubblica amministrazione) ma anche per la guerra agli anarchici e ai socialisti, i cui moti dei [[Fasci siciliani]] furono repressi con la legge marziale. In campo economico il suo quarto governo migliorò le condizioni del Paese.
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Il figlio maggiore di costui, Tommaso (1793-1857), si stabilì a [[Ribera]] sposando una ricca vedova, Giuseppa Genova (deceduta nel 1853). Tommaso si affermò come amministratore di un importante proprietario terriero della zona, il duca di Ferrandina. Dal matrimonio di Tommaso e Giuseppa il 4 ottobre [[1818]] nacque a Ribera il primo maschio della coppia, Francesco Crispi, secondo di nove figli, che fu battezzato nella fede greco-ortodossa<ref>{{Cita|Duggan|pp. 7-8}}</ref><ref>Data e località di nascita del Crispi sono oggi accertate con sicurezza, ma per qualche tempo sono state oggetto di discussione fra gli storici. La nascita nel 1819 è riportata ad esempio dal sito dell'[http://www.associazionechiesestoriche.it/domenico.htm Associazione Chiese Storiche]. La controversia è segnalata sul sito [http://www.cilibertoribera.it/indexFRANCESCO%20CRISPI.htm Ciliberto Ribera], che fornisce anche numerosi particolari sugli anni infantili dello statista siciliano trascorsi appunto a [[Ribera]].</ref>.
Il piccolo Francesco, all’età di sei anni, forse cinque, fu mandato presso una famiglia di [[Villafranca Sicula|Villafranca]] affinché ricevesse un’istruzione. Nel [[1829]], undicenne, entrò nel Seminario greco-albanese di Palermo, dove gli fu impartita una formazione prevalentemente classica e dove acquisì la passione per la storia. Rettore dell’istituto era Giuseppe Crispi (1781-1859) cugino di Tommaso e quindi zio di Francesco. Il ragazzo rimase in seminario fino al [[1834]] o al [[1835]], anno in cui, il padre, divenuto [[Sindaci di Ribera|sindaco di Ribera]]<ref>Tommaso fu sindaco dal 1834 al 1836 e dal 1848 al 1849. Cfr. {{cita libro | cognome=Lentini| nome=Raimondo| titolo=Sindaci, Podestà e Commissari di Ribera - Breve biografia cronologica dal 1808 ad oggi| editore=Comune| città= Ribera| anno=2002|cid= Lentini, 2002}}</ref>, incontrava grosse difficoltà politiche, di salute e finanziarie<ref>{{Cita|Duggan|pp. 8, 10-11, 14-15}}</ref>.
Nello stesso periodo Francesco frequentò il poeta e medico [[Vincenzo Navarro]] la cui amicizia segnò la sua iniziazione al [[romanticismo]]. Nel 1835 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo e due anni dopo si innamorò di Rosina D’Angelo, la figlia di un orefice. Nonostante il divieto paterno, Crispi sposò Rosina nello stesso [[1837]], quando la giovane ventenne era già incinta. In maggio la moglie partorì e Crispi riuscì a ricucire i rapporti con la propria famiglia. La nascitura fu battezzata Giuseppa, come la nonna paterna. Fu un matrimonio breve. Rosina morì infatti il 29 luglio [[1839]], il giorno dopo aver dato alla luce il secondo figlio, Tommaso. Il bambino visse poche ore e nel dicembre dello stesso anno morì anche Giuseppa<ref>{{Cita|Duggan|pp. 17-19, 21-23}}</ref><ref>Chiara Maria Pulvirenti, ''Francesco Crispi'', sul sito della [https://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Unmosaicodiattori/PIR_Biografie/PIR_Crispi Regione Siciliana].</ref>.
=== Cospiratore antiborbonico ===
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Fra il [[1838]] e il 1839, prima della tragedia familiare che lo avrebbe colpito, Crispi fondò un proprio giornale, ''L’Oreteo''.<ref>Come precisato sul 1º numero del giornale, il suo nome si rifaceva al piccolo fiume palermitano [[Oreto]]. Una breve analisi della rivista si trova nella relazione di Simonetta La Barbera, "Linee e temi della stampa periodica palermitana dell'Ottocento", al convegno torinese del 2002 ''Percorsi di critica'', Milano, Vita e Pensiero, 2007, pp. 99-100. ISBN 978-88-343-1432-6. Consultabile anche su [http://books.google.it/books?id=WHyYVHCyj0sC&printsec=frontcover&dq=Percorsi+di+critica:+un+archivio+per+le+riviste+d'arte+in+Italia&hl=it&ei=jGp3TYT6IYG38QPtxpCgDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CDIQ6AEwAA#v=onepage&q=oreteo&f=false Google libri].</ref> Questa esperienza lo mise in contatto con una serie di personaggi politici fra cui il liberale napoletano [[Carlo Poerio]]. Già nel [[1842]] Crispi scriveva della necessità di istruire i poveri, del danno procurato dalla eccessiva ricchezza della Chiesa e della necessità che tutti i cittadini, donne incluse, fossero uguali davanti alla legge<ref>{{Cita|Duggan|pp. 26-27, 32}}</ref>.
Dopo aver superato l’esame finale con un “buono”, Francesco Crispi il 24 settembre [[1843]] ottenne la laurea in giurisprudenza e decise di tentare l’avvocatura a [[Napoli]] (città considerata più liberale di Palermo) dove risedette dal [[1845]] al [[1848]]<ref>{{Cita|Duggan|pp. 36, 40, 44}}</ref>.
Nel [[1846]] l’elezione di [[papa Pio IX]] e i suoi primi provvedimenti liberali scatenarono un’ondata di euforiche attese. L’anno dopo il liberale siciliano [[Giovanni Raffaele]], ricercato dalle autorità borboniche, prima di riparare a [[Marsiglia]], affidò a Crispi il compito di fare da collegamento tra i capi liberali di Palermo e quelli di Napoli<ref>{{Cita|Duggan|pp. 51, 54}}</ref>.
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Concluso un primo armistizio, Crispi e i suoi colleghi ([[Giuseppe La Farina]], [[Giuseppe La Masa]] e Salvatore Castiglia) aumentarono i loro sforzi per la difesa, sicuri che le ostilità sarebbero riprese. Tra l’ottobre 1848 e il febbraio [[1849]] furono arruolati e condotti a Palermo circa 14.000 uomini. I moderati, però, nel timore che i democratici (coloro che come Crispi auspicavano il suffragio universale) potessero usare questo esercito per instaurare una repubblica, non aiutarono i preparativi militari. Il 29 marzo ripresero le ostilità e con loro i successi dei borbonici. Il 14 aprile, l’ammiraglio francese Charles Baudin (1784-1854) offrì, a nome del governo francese, una mediazione per la pace. La Camera la accettò e Crispi rassegnò le dimissioni da deputato<ref>{{Cita|Duggan|pp. 78-80}}</ref>.
Sei giorni dopo fu convocata una riunione di personalità governative e parlamentari ed emerse una maggioranza favorevole alla pace e all’idea di affidare a Baudin la garanzia delle libertà siciliane. Fra coloro che si dichiararono per la guerra figurò Crispi, che, amareggiato, il 27 aprile 1849 lasciò la Sicilia su una nave diretta a Marsiglia. Il 9 maggio re Ferdinando promulgò l’amnistia per tutti coloro che avevano partecipato alla rivolta, tranne che per 43 personaggi che si riteneva l’avessero organizzata. Fra coloro mancava, sorprendentemente, Crispi<ref>{{Cita|Duggan|pp. 80-82}}</ref>. Il 15 Carlo Filangieri entrava a Palermo ponendo fine allo Stato siciliano.
== L’esilio in Europa (1849-1858) ==
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In autunno Crispi ebbe uno scambio epistolare con [[Giuseppe Mazzini]], del quale condivideva l’ideale repubblicano<ref>A Torino Crispi attraversò gravi momenti di difficoltà economica. Durante uno di questi, nel 1852, fu assistito per sei settimane da [[Giovanni Bosco|don Bosco]]. Cfr. {{Cita|Duggan|p. 114}}</ref>. Criticò i Savoia per i danni arrecati alle libertà comunali con il testo ''Il comune in Piemonte'' e, in occasione della fallita insurrezione mazziniana del febbraio 1853, il 6 marzo, fu arrestato dalla polizia torinese, interrogato e incarcerato. Il 14, assieme ad altri detenuti destinati all’espatrio, fu trasferito nel carcere genovese di San Lorenzo, fu fatto salire su di una nave e il 26 fu sbarcato a [[Malta]], allora colonia britannica<ref>{{Cita|Duggan|pp. 102-103, 116-119}}</ref>.
Nell’isola Crispi ebbe contatti con l’agguerrito cospiratore [[Nicola Fabrizi]] con il quale strinse una solida amicizia<ref>{{Cita|Duggan|pp. 124-128}}</ref> e, per tamponare la difficile situazione economica, il 15 febbraio [[1854]] accettò di dirigere un giornale, ''La Staffetta''. La pubblicazione
Nell’ultimo periodo che gli rimaneva di permanenza sull’isola, Crispi sposò il 27 dicembre 1854 [[Rosalia Montmasson|Rose Montmasson]]. Il 30 lasciò Malta per l’Inghilterra, dove intanto si era trasferito Mazzini<ref>{{Cita|Duggan|pp. 137-138}}</ref>.
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Soprattutto, se Crispi fosse stato coinvolto nella congiura di Orsini, avrebbe tentato di lasciare la Francia, cosa che non fece, almeno di sua iniziativa. Nella reazione delle autorità francesi all’attentato all’Imperatore, gli investigatori raccolsero su Crispi informazioni, fra l’altro, su suoi contatti con [[Paolo Tibaldi]] (1824-1901) che nel 1857 era stato arrestato proprio con l’accusa di complottare per assassinare Napoleone III. Così, il 7 agosto 1858, gli venne notificato un decreto di espulsione<ref>{{Cita|Duggan|pp. 169-170}}</ref>.
== Da Londra a Quarto (1858-1860) ==
[[File:Francesco Crispi stampa.jpg|float|left|thumb|upright=0.7|Francesco Crispi fu il massimo promotore della spedizione dei Mille e convinse Garibaldi a prepararla e attuarla.]]
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Per consolidare le posizioni dei democratici, Crispi fondò allora un giornale, ''Il Precursore'', che uscì agli inizi di luglio a Palermo. Il messaggio ai siciliani era chiaro, essi dovevano contribuire a liberare il resto degli italiani<ref>{{Cita|Duggan|pp. 237-238}}</ref>: {{Quote|Voi gridando annessione non volete l’Italia una, volete la libertà di Sicilia e il giogo di Napoli, Roma, Venezia […] Le Alpi e il mare di Sicilia cono i nostri confini e questi vogliamo: il carciofo lo mangi Cavour<ref>Il riferimento è alla “politica del carciofo”, ovvero, l’ottenere i risultati un po’ per volta.</ref>|{{Cita|Duggan|p. 238}}}}
Il 7 settembre Garibaldi entrava a Napoli.
=== A Napoli contro il plebiscito ===
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A Napoli il governo provvisorio di Garibaldi era in gran parte nelle mani dei fedeli di Cavour. Crispi, che arrivò in città a metà settembre, insistette con il generale e ottenne di concentrare il potere nelle sue mani. Tuttavia, la spinta rivoluzionaria che aveva animato la spedizione andava affievolendosi, specie dopo la [[battaglia del Volturno]]. Per rafforzare la sua posizione presso Vittorio Emanuele II, Garibaldi nominò il 3 ottobre 1860 prodittatore [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Giorgio Pallavicino]], un sostenitore di [[casa Savoia]]. Costui definì subito Crispi incompatibile con la carica di Segretario di Stato<ref>{{Cita|Duggan|pp. 246-249}}</ref>.
Intanto Cavour aveva dichiarato che nell’Italia meridionale non avrebbe accettato altro che l’annessione incondizionata al Regno di Sardegna mediante plebiscito. Crispi, che aveva ancora la speranza di far proseguire la rivoluzione per riscattare Roma e Venezia, si oppose, proponendo di far eleggere al popolo un’assemblea parlamentare. A lui si affiancò (per motivi molto diversi) il federalista [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]]. Preso fra due fuochi, Garibaldi dichiarò che la decisione sarebbe spettata ai due prodittatori di Sicilia e di Napoli. Entrambi optarono per il plebiscito e Crispi, dopo la riunione decisiva del 13 ottobre di [[Palazzo Doria d'Angri|palazzo d’Angri]], si dimise dal governo di Garibaldi<ref>{{Cita|Duggan|pp. 249-252, 256}}</ref>.
== La scelta monarchica (1861-1865) ==
=== Deputato del parlamento italiano ===
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Garibaldi era intanto sbarcato in Sicilia da dove sarebbe partita una spedizione verso Roma. A Torino Crispi cercò di contenere la protesta dei moderati, ma annunciò anche il suo sostegno all’impresa. Sbarcata in Calabria, la spedizione fu stroncata nella [[giornata dell'Aspromonte]] da Rattazzi, che ebbe timore di una reazione della Francia, ancora alleata dello Stato Pontificio<ref>{{Cita|Duggan|pp. 294-297}}</ref>.
Per Crispi questo episodio fu traumatico e lo portò a considerare più seriamente la strada del
Crispi espresse il suo dissenso per la rinuncia italiana a Roma. L’episodio aprì la questione della monarchia e il 18 novembre Crispi affermò che, malgrado la Convenzione, non avrebbe appoggiato l’idea repubblicana. Quello stesso giorno alla Camera dei deputati pronunciò la frase che sarebbe rimasta la sua più famosa e che fra i presenti suscitò sensazione e applausi<ref>{{Cita|Duggan|pp. 310-312}}</ref>: {{Quote|La monarchia ci unisce e la repubblica ci dividerebbe|Crispi, Camera dei deputati, 18 novembre 1864. In {{Cita|Duggan|p. 312}}}}
La conseguenza fu un duro attacco di Mazzini che il 3 gennaio [[1865]] dalle pagine de ''L’Unità italiana'' accusò Crispi di tradimento e opportunismo<ref>{{Cita|Duggan|p. 313}}</ref>.
== La conquista di Roma (1865-1870) ==
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Crispi ottenne di non far imprigionare Garibaldi, ma di tenerlo in una sorta di esilio a [[Caprera]]. Nello stesso tempo, attraverso ''La Riforma'', esortò i suoi lettori a non indietreggiare di fronte alla prospettiva di una guerra con la Francia. Segretamente alleato con Rattazzi, Crispi fece fuggire Garibaldi per incoraggiare un intervento militare del Re a sostegno dei liberali romani. Un proclama di Crispi e notizie della stampa parlavano ormai di rivoluzione a Roma (che in realtà non era scoppiata)<ref>{{Cita|Duggan|pp. 353-355}}</ref>.
Vittorio Emanuele II esitò e Napoleone III ordinò l’imbarco di un corpo di spedizione per [[Civitavecchia]] contro i garibaldini. A questo punto il Re incaricò il generale [[Luigi Federico Menabrea|Luigi Menabrea]] di formare un nuovo governo e condannò la spedizione di Garibaldi che il 3 novembre incontrò Crispi intenzionato ora a fermarlo. Il colloquio non portò a nulla e il giorno dopo il generale si scontrò con i francesi nella [[battaglia di Mentana]] venendo sconfitto<ref>{{Cita|Duggan|pp. 356-357}}</ref>.
L'occasione definitiva di conquistare Roma si presentò tuttavia nel [[1870]], quando, scoppiata la [[guerra franco-prussiana]], Napoleone III fu sconfitto e catturato a [[Battaglia di Sedan|Sedan]]. Tutto cambiò: le uniche perplessità rimanevano sulla veste politica da dare alla presa della città. Per Crispi si trattava di un atto di liberazione: non solo l’Italia non aveva bisogno di rivendicare Roma, perché le apparteneva di diritto, ma anche l’approvazione degli stessi romani era superflua, poiché, piacesse o meno, essi erano cittadini italiani<ref>{{Cita|Duggan|pp. 381-386}}</ref>.
Il 20 settembre, dopo un breve combattimento, Roma fu conquistata dalle truppe italiane che entrarono in città dalla [[Presa di Roma|breccia di Porta Pia]]. Qualche giorno dopo, Il 2 ottobre, si svolse il plebiscito che sancì l’annessione di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio al Regno d’Italia.
== Difficoltà economiche e familiari (1870-1875) ==
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Nell’autunno del [[1871]] il parlamento si trasferì a Roma. Crispi iniziò ad attraversare un periodo difficile: il matrimonio con Rose Montmasson era in crisi, economicamente le cose andavano male per i debiti contratti a causa de ''La Riforma'' e di un cattivo acquisto immobiliare a Firenze. I suoi discorsi alla Camera divennero più rari e avevano come oggetto la pochezza delle riforme e la mancanza di progetti politici<ref>{{Cita|Duggan|pp. 405, 407}}</ref>.
Nell’agosto del 1871 si era inoltre innamorato di una vedova trentenne, Filomena (Lina) Barbagallo<ref>Nata a Lecce nel 1842, figlia di Sebastiano Barbagallo, magistrato borbonico siciliano allontanato dalla sua carica nel 1860 da Crispi e Garibaldi. Lina ventenne conobbe Crispi già nel 1863 per patrocinare la causa del padre che aveva chiesto un risarcimento economico.</ref>, ma fra il 1871 e il 1872 aveva anche avuto una relazione con Luisa Del Testa, dalla quale ebbe un figlio, Luigi. Nell’ottobre del 1873 ebbe una figlia anche da Lina, la piccola Giuseppa Ida Marianna, con la quale si dimostrò un padre molto affettuoso<ref>{{Cita|Duggan|pp. 408, 414-416}}</ref>.
I rapporti con Rose erano intanto divenuti tesissimi e Crispi, che aveva già denunciato come non valido il loro matrimonio a Malta, riuscì alla fine del [[1875]] a trovare un accordo. In cambio di un assegno annuale Rose riconobbe di non essere mai stata legalmente sposata e andò via<ref>{{Cita|Duggan|p. 419}}</ref>.
▲I rapporti con Rose erano intanto divenuti tesissimi e Crispi, che aveva già denunciato come non valido il loro matrimonio a Malta, riuscì alla fine del [[1875]] a trovare un accordo. In cambio di un assegno annuale Rose riconobbe di non essere mai stata legalmente sposata e andò via<ref>{{Cita|Duggan|p. 419}}</ref>.
== I primi incarichi (1876-1878) ==
[[File:Europa 1890.jpg|thumb|float|left|L'Europa al tempo del viaggio di Crispi quale presidente della Camera.]]
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=== Il viaggio in Europa ===
Con l’assenso sia di Vittorio Emanuele II che del presidente del Consiglio [[Agostino Depretis]], Crispi lasciò Roma il 24 agosto [[1877]]. La prima tappa fu Parigi, poi si diresse a Berlino e il 17 settembre
Tornato a Berlino, il 24 Crispi vide di nuovo il Cancelliere che gli confermò il suo interesse per un’alleanza sia offensiva, che sarebbe scattata nel caso la Francia avesse mobilitato l’esercito, sia difensiva. La tappa seguente fu la Gran Bretagna, tornò poi a Parigi, l’11 ottobre partì per Vienna e il 25 era di ritorno a Torino<ref>{{Cita|Duggan|pp. 440-444}}</ref>.
Il risultato più importante del suo viaggio fu l’offerta di Bismarck di un’alleanza antifrancese, che il governo italiano alla fine ignorò. Ciò spinse il Cancelliere tedesco a indirizzare le mire della
=== Ministro dell’Interno per qualche mese ===
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Il nuovo partito era, però, abbastanza fragile: Crispi, Nicotera e Zanardelli erano uomini litigiosi e con una forte personalità. Anche le divergenze politiche creavano problemi, soprattutto in tema di affari esteri, di protezionismo e di riforma fiscale<ref>{{Cita|Duggan|pp. 543-545}}</ref>. Proprio la politica estera era infatti una tra le principali preoccupazioni di Crispi, che nel maggio [[1885]] criticò l’iniziativa del governo di inviare un contingente militare a [[Massaua]], un porto sulla costa eritrea di cui mise in discussione l’importanza strategica<ref>{{Cita|Duggan|pp. 550-551}}</ref>.
I temi principali della campagna elettorale del [[1886]] di Crispi furono la questione sociale e quella morale. [[Elezioni politiche italiane del 1886|Il voto del 23 e 30 maggio]] vide la Camera divisa più o meno a metà. La maggioranza contava su circa 285 deputati e l’opposizione su 225, fra cui 145 deputati della Pentarchia<ref>{{Cita|Duggan|pp. 557-559}}</ref>.
La maggioranza era più debole di prima e dopo l’[[battaglia di Dogali|episodio di Dogali]], durante il quale in Eritrea una colonna di soldati italiani fu sterminata dagli etiopi, l’8 febbraio [[1887]] il presidente del Consiglio Depretis si dimise. Costui, anziano e malato, dopo il nuovo incarico di Umberto I offrì a Crispi il ministero dell’Interno. Crispi accettò alla condizione di accogliere Zanardelli nel governo e un non moderato al ministero della Pubblica istruzione. Fu esaudito su entrambi i punti: Zanardelli ebbe l’incarico di ministro della Giustizia e [[Michele Coppino]] fu chiamato alla Pubblica istruzione. Dopo nove anni Crispi era di nuovo al potere e tutto faceva pensare che sarebbe divenuto il successore di Depretis<ref>{{Cita|Duggan|pp. 559, 562-566}}</ref>.
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=== La visita a Bismarck del 1887 ===
Nel nuovo esecutivo, Crispi riuscì a tenere per se anche il ministero dell’Interno e quello degli Esteri. Forte di questa concentrazione di poteri, il 30 settembre 1887 incontrò Bismarck a Friedrichsruh (presso Aumühle, dove il Cancelliere aveva delle proprietà). I due discussero degli equilibri internazionali e Crispi auspicò la sopravvivenza dell’[[Impero ottomano]] o, in alternativa, la creazione di regioni autonome dai suoi possedimenti in Europa. Propose inoltre per la triplice alleanza una convenzione militare da attivarsi in caso di guerra, sulla quale Bismarck si dichiarò d’accordo. Quanto all’Africa, si disse contrario alla [[Guerra d'Eritrea|guerra con l’Etiopia]] e accolse il consiglio di Bismarck di rivolgersi alla Gran Bretagna quale mediatrice<ref>{{Cita|Duggan|pp. 601-605}}</ref>.
Il viaggio ebbe un valore politico notevole: la stampa francese si lanciò in congetture sul significato della visita e il tono dei commenti fu ostile. Anche la [[Impero russo|Russia]] reagì con grande irritazione. In Italia, invece, Umberto I si rivelò entusiasta per la prospettiva di un piano militare con la Germania<ref>{{Cita|Duggan|pp. 606-607}}</ref>.
=== La riforma dell’amministrazione dello Stato ===
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=== Gli accordi militari con Germania e Austria ===
Dopo l’incontro di Friedrichsruh tra Crispi e Bismarck, quest’ultimo aveva suggerito al governo britannico di intercedere presso l’Etiopia affinché re [[Giovanni IV d'Etiopia|Giovanni IV]] potesse arrivare alla pace con l’Italia. In questo modo l’esercito italiano sarebbe potuto rimanere in Europa. Il Primo ministro inglese [[Robert Gascoyne-Cecil, III marchese di Salisbury|Salisbury]] accettò e Crispi nella primavera del [[1888]] poté annunciare che la sua politica
Il 12 dicembre 1887, inoltre, l’Italia, la Gran Bretagna e l’Austria firmavano su suggerimento di Bismarck la cosiddetta seconda intesa mediterranea, con la quale Crispi e il ministro degli Esteri austriaco [[Gustav Kálnoky]], si impegnarono a mantenere lo status quo in Europa orientale<ref>{{Cita|Duggan|pp. 615-616}}</ref>.
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Sul versante dell’Europa occidentale, invece, le attese di guerra erano forti sia in Italia che in Germania e crescevano quotidianamente anche a causa delle liti con la Francia orchestrate da Crispi. A Berlino Bismarck era quasi isolato nel compito di mantenere la pace e i termini della convenzione militare italo-tedesca, firmata il 28 gennaio 1888, furono condizionati dal desiderio di rendere una guerra contro la Francia attraente per la Germania. L’Italia si impegnò, infatti, probabilmente su suggerimento di Crispi, a inviare in caso di conflitto 200.000 uomini in appoggio al fianco sinistro dell’esercito tedesco sul [[Reno]]<ref>{{Cita|Duggan|p. 621}}</ref>.
La Francia cominciò a prepararsi al peggio e si registro un’accresciuta attività nella base navale di [[Tolone]]. Crispi, che conosceva i limiti della flotta italiana rispetto a quella francese, cercò di ottenere l’appoggio politico dell’Austria. Per cui, quando nel febbraio 1888
La guerra con la Francia nel 1888 non scoppiò e la conseguenza fu che Crispi nei mesi successivi ebbe come obiettivo l’aumento della spesa militare: un esercito e una marina più forti avrebbero resa più attraente una guerra preventiva<ref>{{Cita|Duggan|p. 637}}</ref>.
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[[File:Giuseppe Zanardelli iii.jpg|thumb|float|left|160px|La riforma del codice penale varato dal governo Crispi portava il nome del suo autore, [[Giuseppe Zanardelli]].]]
[[File:Statue de Giordano Bruno (Rome) (5974704116).jpg|thumb|float|160px|La statua di [[Giordano Bruno]] a Roma, voluta da Crispi e rivolta in segno di ammonimento verso il Vaticano.]]
Calata la tensione con la Francia, il presidente del Consiglio si concentrò sulla politica interna. Egli temeva che Roma fosse ancora tentata dal potere temporale dei papi, per cui, quando il sindaco della capitale [[Leopoldo Torlonia]] si recò nel 1887 in visita al vicario pontificio per il giubileo di Leone XIII e si genuflesse, Crispi fece in modo di destituirlo. Così come la inaugurazione del 1889 della statua dell’eretico [[Giordano Bruno]] espresse l’intenzione di Crispi di imprimere su Roma il suggello della modernità<ref>{{Cita|Duggan|pp. 655-658}}</ref>.
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Un’ulteriore riforma liberale fu quella del governo locale, la cui legge Crispi portò all’approvazione della Camera nel luglio 1888 in appena tre settimane. La nuova norma raddoppiò quasi l’elettorato locale poiché prevedeva un requisito di censo molto più basso rispetto alle elezioni politiche. I sindaci, in passato nominati dal governo, venivano ora eletti dai comuni con più di 10.000 abitanti e da tutti i capoluoghi di provincia, di circondario e di mandamento. Ma l’allargamento del suffragio procedette con un rafforzamento dei poteri tutelari dello Stato e a capo delle giunte provinciali amministrative, l’organo di sorveglianza del governo, fu posto il prefetto. La riforma fu approvata dal Senato nel dicembre 1888 ed entrò in vigore nel febbraio [[1889]]<ref>{{Cita|Duggan|pp. 660-662}}</ref>.
=== Il militarismo e il nuovo governo ===
Continuavano nel frattempo le amichevoli relazioni con la Germania. La visita nel 1888 del nuovo imperatore tedesco [[Guglielmo II di Germania|Guglielmo II]] a Roma fu la prima di un monarca straniero nella nuova capitale che ebbe la sua legittimazione come tale da parte di una grande potenza cristiana.
Dopo il successo dell’evento, Crispi si concentrò sul potenziamento dell’esercito e in dicembre presentò in parlamento un disegno di legge che prevedeva di portare le spese militari a un terzo delle uscite dello Stato. Crispi si appellò alla eccezionalità della situazione europea e al fatto che tutte le nazioni si stavano armando. La legge fu approvata, ma le tensioni nel Paese crescevano<ref>{{Cita|Duggan|pp. 667-669}}</ref>.
Il ministro delle Finanze e del Tesoro [[Agostino Magliani]] risultava impopolare e fu sostituito per il Tesoro da [[Costantino Perazzi]] che nel febbraio 1889 annunciò un aumento delle imposte. Rappresentanti della Destra e dell’estrema Sinistra si unirono per contrastare i nuovi provvedimenti e il presidente del Consiglio, il 28 dello stesso mese, decise di dimettersi. Per il governo successivo, Umberto I rinnovò la fiducia a Crispi che, conservando Esteri e Interno, formò un esecutivo più a Sinistra del primo e anche la base parlamentare fu più solida della precedente<ref>{{Cita|Duggan|pp. 669-670}}</ref>.
Terminata la crisi, nel maggio 1889 re Umberto ricambiò la visita di Guglielmo II e si recò a Berlino con Crispi che colse l’occasione per incontrare Bismarck e il suo entourage. Con alcune personalità, fra cui il capo di stato maggiore [[Alfred von Waldersee]], il presidente del Consiglio confessò che sebbene non fosse ancora arrivato il momento per una guerra contro la Francia, aveva intenzione di riacquistare Nizza e, sul fronte austriaco, era interessato al [[Trentino-Alto Adige|Sud Tirolo]]<ref>{{Cita|Duggan|pp. 673-674}}</ref>.
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Crispi riuscì ad imporsi su Bertolè e le forze italiane cominciarono l’avanzata verso Asmara. Il 2 maggio, Menelik, divenuto imperatore, firmò un trattato con l’Italia in cui riconosceva i diritti di quest’ultima sulla città e su buona parte dell’altopiano eritreo. Accettava inoltre, secondo quanto sembrava affermare l’articolo 17, un protettorato italiano sull’Etiopia. Otteneva in cambio la continuazione dell’aiuto italiano per la sottomissione del suo impero. Era il [[trattato di Uccialli]]<ref>{{Cita|Duggan|p. 687-688}}</ref>.
Il presidente del Consiglio non ritenne necessario sottoporre il trattato al parlamento poiché l’Italia era ancora in guerra e il Re era costituzionalmente libero di agire. Alcuni deputati dell’estrema Sinistra e della Destra contestarono e in giugno fu presentata una mozione che imponeva l’autorizzazione del parlamento a qualsiasi ulteriore spesa destinata all’Africa. Crispi minacciò le dimissioni e la mozione fu sconfitta. D’altronde, l’entusiasmo per l’espansione in Africa si diffuse rapidamente nel Paese e avversari del colonialismo come il ministro [[Giovanni Giolitti]] e il poeta [[Giosué Carducci]] cambiarono atteggiamento. Asmara fu finalmente occupata nell’agosto 1889<ref>{{Cita|Duggan|pp. 688-689, 700}}</ref> e la prima colonia italiana, l’[[Colonia eritrea|Eritrea]], nacque ufficialmente nel 1890.
=== Le riforme della Sanità e della Giustizia ===
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Qualche mese dopo infatti il presidente del Consiglio era già all’opera per varare un’altra riforma. Essa stabiliva che in uno Stato moderno la responsabilità dell’assistenza ai bisognosi spettava all’autorità pubblica. I comuni dovevano quindi istituire la “congregazione di carità”, un organo il cui compito era di occuparsi dei poveri locali e della maggior parte delle opere pie. Le nomine spettavano al consiglio comunale: erano ammesse le donne, ma non i parroci. Per controllare tali congregazioni, Crispi dispose che le decisioni più importanti e la loro contabilità dovevano essere approvate dalla giunta provinciale, a capo della quale vi era il prefetto. La legge, discussa fra il 1889 e il [[1890]], fu approvata, mentre nel dicembre del 1889 [[papa Leone XIII]] la condannava come antireligiosa<ref>{{Cita|Duggan|pp. 703-704}}</ref>.
Il risultato fu che elezioni del 23 novembre 1890 furono uno straordinario trionfo per Crispi. Su 508 deputati, 405 si schierarono con il governo. Ma già a ottobre si erano rivelate le prime avvisaglie di una crisi politica. Menelik aveva infatti contestato il testo in italiano del trattato di Uccialli, affermando che la versione in aramaico non obbligava l’Etiopia a servirsi dell’Italia per la sua politica estera. L’Etiopia, quindi, non si considerava un protettorato dell’Italia. Menelik informò la stampa straniera e lo scandalo scoppiò. Il ministro delle Finanze Giolitti
Nel gennaio 1891 la situazione peggiorò per la decisione di Crispi di mettere ordine nel settore finanziario minacciando i redditi di un gran numero di deputati e di loro amici. Il presidente del Consiglio presentò poi un disegno di legge che mirava a ridurre il numero di prefetture per motivi di spesa pubblica, ma che danneggiava quei parlamentari che se ne servivano in campagna elettorale. L’evento decisivo fu tuttavia il documento pubblicato dal neoministro delle Finanze [[Bernardino Grimaldi]], che rivelava che il disavanzo previsto era maggiore di quanto ci si aspettava. Il 31 gennaio, durante una seduta tumultuosa, la Camera si divise e il secondo esecutivo Crispi fu sconfitto con 186 voti contro 123<ref>{{Cita|Duggan|pp. 727-730}}</ref>.
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Anche Umberto I fu compromesso e la posizione di Crispi ne uscì notevolmente rafforzata: poteva rovesciare il governo in qualsiasi momento o mettere in pericolo la reputazione del Re se avesse parlato. Giolitti e Rattazzi si difesero cercando di raccogliere materiale compromettente contro Crispi, ma l’inchiesta giudiziaria sulla Banca Romana lasciò quest’ultimo sostanzialmente indenne<ref>{{Cita|Duggan|pp. 747-752}}</ref>.
Nell’ottobre [[1893]], con l’acuirsi della crisi finanziaria e la sommossa dei [[fasci siciliani|fasci siciliani dei lavoratori]], le voci che chiedevano un ritorno di Crispi si fecero insistenti. Il mese dopo fu consegnato in parlamento il rapporto conclusivo sulla Banca Romana: Giolitti ne uscì malissimo e il 24 annunciò alla Camera le sue dimissioni<ref>{{Cita|Duggan|pp. 759-760}}</ref>.
== Il terzo e il quarto governo Crispi (1893-1896) ==
{{vedi anche|Governo Crispi III}}
[[File:Francesco Crispi caricature 1895.jpg|thumb|float|left|1895: Crispi come il "Globo furbovolponico politico aerostatico a prova di bomba e pistola" di nome "Ciccio" che si libra in aria bruciando il plico con le accuse contro di lui. In alto cade l'Anarchia e il Socialismo è in difficoltà. La Maggioranza acclama, il Paese, il Giornalismo e il Senato osservano, l'Opposizione fischia e il Clero tenta invano di forare il "globo".]]
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Il primo compito di Crispi come presidente del Consiglio fu di affrontare questa situazione. Sulla improbabile voce per cui il movimento in Sicilia era stato fomentato da francesi d’accordo con il Vaticano, Crispi ottenne il 2 gennaio [[1894]] la proclamazione dello [[Stato d'assedio]] nell’isola. A capo delle truppe fu nominato con pieni poteri il generale [[Roberto Morra di Lavriano e della Montà|Roberto Morra]]. Pur di dubbia costituzionalità, l’azione di Crispi ricevette un notevole sostegno e quando il parlamento discusse l’argomento, il governo ottenne una maggioranza schiacciante<ref>{{Cita|Duggan|pp. 769-773}}</ref>.
Vennero spediti in Sicilia 40.000 soldati, furono istituiti [[Corte marziale|tribunali militari]], vietate le riunioni pubbliche, confiscate le armi, introdotta la censura sulla stampa e proibito l’ingresso all’isola ai sospetti. A febbraio il consenso parlamentare cominciò a calare e Crispi si difese appellandosi alla difesa dell’unità nazionale, dato che i rivoltosi avevano secondo lui intenzioni separatiste. Recuperò il consenso e pochi giorni dopo ottenne ancora una larga fiducia alla Camera<ref>{{Cita|Duggan|pp. 774-777}}</ref>. Il movimento dei Fasci siciliani fu sciolto lo stesso 1894 e i capi arrestati.
=== La crisi finanziaria, il nuovo governo e l’attentato di Roma ===
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Il 16 giugno 1894 infatti, a Roma, tornando alla Camera dopo pranzo, Crispi fu vittima di un attentato da parte del giovane anarchico Paolo Lega. L’attentatore sparò da brevissima distanza, ma la pallottola mancò il bersaglio. Tutto il parlamento espresse solidarietà al presidente del Consiglio che vide la sua posizione notevolmente rafforzata. Ciò favorì l’approvazione della legge sulla tassa del 20% sugli interessi dei Buoni del Tesoro, il provvedimento principale della legge Sonnino. La norma allontanò l’Italia dalla crisi e preparò la strada alla ripresa economica<ref>{{Cita|Duggan|pp. 786-788}}</ref>.
Svanito lo spettro dei problemi finanziari, Crispi si dedicò a promuovere norme contro la sovversione. A tale riguardo il 10 e l’11 luglio 1894 furono approvati due disegni di legge. Il primo allargava il “domicilio coatto” a coloro che avessero dimostrato di avere agito contro gli ordinamenti sociali e vietava le associazioni che avessero tale scopo; il secondo prevedeva che la capacità di leggere e scrivere, indispensabile per votare, fosse dimostrata davanti ad un pretore e a un insegnante. Quest’ultima norma, temuta dall’estrema Sinistra, diede notevoli risultati, vennero infatti cancellate dalle liste elettorali 800.000 persone<ref>{{Cita|Duggan|pp. 789-792}}</ref>.
=== Le manovre di Giolitti e la commissione Cavallotti ===
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[[File:Adoua 1.jpg|thumb|float|320px|Nella [[battaglia di Adua]] le forze italiane che contavano 17.700 uomini si scontrarono con quelle etiopi che ammontavano a 100.000 unità. La sconfitta italiana fu in larga parte attribuita a Crispi che aveva fatto enormi pressioni sul comandante Baratieri affinché ottenesse una vittoria a tutti i costi.]]
A metà 1895 Crispi si rese invece conto di essere in difficoltà sulla questione coloniale: la Francia riforniva di armi Menelik, e la Germania e la Gran Bretagna non avevano alcuna intenzione di aiutare l'Italia. Il ritiro di Bismarck dalla vita politica aveva già da diversi anni indebolito la posizione internazionale di Crispi, e in autunno era divenuto chiaro che gli etiopi stessero preparando un’offensiva su larga scala<ref>{{Cita|Duggan|pp. 838, 842}}</ref>.
A dicembre un avamposto italiano sull'[[Amba Alagi]] fu [[Battaglia dell'Amba Alagi|attaccato]] da un’avanguardia di Menelik e annientato. Crispi decise di sostituire Baratieri con [[Antonio Baldissera]] che però non se la sentì di prendere il comando<ref>{{Cita|Duggan|pp. 842-844}}</ref>.
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== Gli ultimi tempi (1896-1901) ==
[[File:Crispi 1898.jpg|thumb|float|180px|Crispi dopo aver lasciato la politica attiva, nel 1898.]]
Nei mesi che seguirono la caduta del governo, Crispi fu investito da una quantità di polemiche. Fu accusato di aver condotto una politica coloniale “personale”, di non aver valutato correttamente i preparativi e l’offensiva di Menelik, di aver ignorato le sue offerte di pace, e di aver spinto Baratieri a lanciare un attacco suicida<ref>{{Cita|Duggan|p. 857}}</ref>. ▼
▲Nei mesi che seguirono la caduta del governo, Crispi fu investito da una quantità di polemiche. Fu accusato di aver condotto una politica coloniale “personale”, di non aver valutato correttamente
Dal canto suo Crispi appariva tranquillo ritenendo che il principale responsabile della sconfitta di Adua fosse stato proprio Baratieri. Gli ultimi tempi non furono però sereni. A fianco ad un risentimento nei confronti di Umberto I che esitava a vendicare la sconfitta, sorsero dei problemi economici dovuti alle spese per "La Riforma", alla gestione di due case e alla dote di sua figlia Giuseppina. Per cui, nonostante il suo orgoglio, dovette accettare un assegno annuale del Re<ref>{{Cita|Duggan|pp. 859-862}}</ref>. ▼
▲Dal canto suo Crispi appariva tranquillo ritenendo che il principale responsabile della sconfitta di Adua fosse stato proprio Baratieri. Gli ultimi tempi non furono però sereni. A fianco ad un risentimento nei confronti di Umberto I che esitava a vendicare la sconfitta, sorsero dei problemi economici dovuti alle spese per "La Riforma", alla gestione di due case e alla dote di sua figlia Giuseppina. Per cui, nonostante il suo orgoglio, dovette accettare un assegno annuale del Re<ref>{{Cita|Duggan|pp. 859-862}}</ref>.
Nel [[1897]] inoltre fu coinvolto nel processo intentato contro il direttore della filiale di Bologna del Banco di Napoli, Luigi Favilla, che fu incriminato per peculato. Crispi aveva ottenuto dall’imputato ingenti prestiti e fu accusato di complicità per avergli, come presidente del Consiglio, assicurato la sua protezione nel caso in cui fosse stata scoperta la natura irregolare di alcune operazioni. Ottenne che le accuse fossero giudicate da una commissione della Camera e nel marzo [[1898]] fu scagionato<ref>{{Cita|Duggan|pp. 863-864}}</ref>.
Era ormai un uomo molto anziano. La sua salute peggiorò nel [[1899]] quando la vista subì un notevole calo. La notte dell’8 luglio [[1901]] ebbe un attacco di cuore e alla fine del mese le sue condizioni peggiorarono. Il 4 agosto i medici disposero che non ricevesse più visite e il 9
== Onorificenze ==
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{{Colonialismo italiano}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|biografie|guerra|politica|storia d'Italia
[[Categoria:Decorati con l'Ordine supremo della Santissima Annunziata]]
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