Virgilio Tramontin: differenze tra le versioni

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Il critico che ha inteso nel modo più profondo l'opera di Tramontin è [[Giancarlo Pauletto]]. Egli, nel 1983, scrive: "appare chiaro che all'artista quel che interessa non è il brano naturalistico nella sua fisicità, nel suo 'colore' [...]; invece quello che attrae Tramontin nel paesaggio è il suo farsi voce dell'interiorità, voce dell'aspirazione ad una quiete, che [...] è, anche in senso laico, religiosità, e raggiunta saggezza umana" <ref> Giancarlo Pauletto, ''Tramontin'', Pordenone 1983.</ref>. Ancora grazie a Pauletto è stato rivalutato un aspetto poco noto dell'artista sanvitese, la dedizione alla pittura: "il suo lavoro di pittore non è stato in alcun modo occasionale o limitato, ma invece costante e impegnato, volto a ottenere attraverso il colore gli stessi risultati lirici di cui dà così alta prova la sua attività di incisore" <ref> Giancarlo Pauletto, ''La bellezza del mondo attraverso il colore'', in Virgilio Tramontin. La pittura, Pordenone 2013.</ref>.
 
La tecnica incisoria prediletta dall'artista è l'acquaforte, a volte ritoccata al bulino o alla puntasecca perché "tracciare un segno con la punta sul morbido e sottile velo di vernice scura che ricopre il rame è uno dei più agevoli modi di disegnare, e la libertà suprema di scorrere in tutti i sensi senza inciampi è una suggestione che rapisce facilmente l'artista" (Virgilio Tramontin, inedito)<ref> Iginio Petrussa, ''La traccia e il tempo. Conversazioni con Virgilio Tramontin, incisore'', Udine 1994.</ref>. Egli privilegia la ricerca atmosferico-luministica rispetto a quella documentaria tanto da incidere sempre, nei paesaggi, anche la porzione di lastra occupata dal cielo, seguendo la tradizione degli incisori veneti del XVIII secolo. Ottiene in questo modo paesaggi ariosi, immersi nella luce e nell'atmosfera naturale <ref> Laura Beltrame, ''Virgilio Tramontin. Catalogo delle incisioni 198821982-1990'' in Grafica d'arte, Milano, Luglio-Settembre 1995.</ref>.
 
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