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Gli arrestati furono tradotti al carcere di Tor di Nona e immediatamente posti sotto [[processo]]. I primi interrogatori furono condotti dal procuratore fiscale Giovambattista Bizzoni, cui poi subentrò il governatore [[Alessandro Pallantieri]]. Per primo fu ascoltato il cavalier Pelliccione. Costui, [[Pavia|pavese]] d'origine, si era trasferito a Roma dopo essere stato bandito dalla [[Repubblica di Venezia]] per aver coniato [[denaro falso]]; nella capitale pontificia dichiarava di essere discendente della famiglia [[Lusignano]] e si era stabilito nella zona di [[ponte Sisto]], frequentando abitualmente [[astrologi]] ed [[esorcista|esorcisti]]. Nella capitale pontificia aveva conosciuto il conte Taddeo Manfredi, che gli aveva parlato delle sue mire sulla valle del [[Lamone]], antico feudo della sua famiglia, ove vagheggiava di provocare una [[sommossa]] e, una volta postosi a capo dell'esercito dei rivoltosi, prendere il mare e attaccare [[Venezia]]. Contestualmente, nel 1560, il Pelliccione aveva conosciuto Benedetto Accolti, da lui definito ''figlio bastardo del cardinale d'Ancona''; nella deposizione affermò di essersi lasciato attirare dai discorsi di quest'ultimo, evocanti la necessità di una ''liberatione de Italia'' e ''revolutione della Chiesa'' passante attraverso l'uccisione di Pio IV, che a detta di Benedetto ''non era il vero papa'' e avrebbe pertanto dovuto essere eliminato per far spazio a un ''papa vero e santo''.
 
Taddeo Manfredi confermò quanto detto dal Pelliccione: Benedetto Accolti li aveva convinti che vi fosse un altro papa, descritto come un vecchio dalla lunga barba ormai in procinto di giungere con gran pompa a Roma, e che pertanto fosse necessario "fargli spazio" uccidendo Pio IV.
 
Antonio Canossa impostò la sua strategia difensiva sulla falsariga dei compagni, asserendo che il movente della congiura era completamente spirituale. Appellandosi al suo stato di aristocratico ed esponente di una famiglia (i [[dinastia dei Canossa|Canossa]]) ''cui la Sede Apostolica è obbligata più che a nessuna famiglia de Italia'', egli rifiutò ripetutamente di rispondere alle domande del governatore, chiedendo poi di essere risparmiato dalla tortura e di poter prendere visione dei capi d'accusa per approntare la sua difesa. Tali garanzie gli furono negate e tra il 20 e il 28 dicembre il Canossa venne orrendamente torturato, giungendo quasi in punto di morte.
 
Da tali deposizioni emerse con evidenza la figura di Benedetto Accolti, sedicente depositario di una verità superiore e incaricato di realizzarla, quale ideatore e anima del progetto criminale. Effettivamente il rampollo del cardinale Pietro era un personaggio singolare: fisicamente brutto e sgraziato, era un abilissimo oratore, erudito delle [[Sacre Scritture]] e della cultura classica. Residente a Roma da circa un decennio, aveva acquisito una fama consolidata di profeta e frequentava assiduamente i palazzi di potenti porporati e curiali. Ai giudici che lo interrogavano disse di non avere intenzione di uccidere Pio IV tout court, ma di volerlo convincere ad abdicare nel nome dell'ormai prossima venuta del già citato "papa santo", che a suo dire avrebbe vinto i [[turchi]] e gli [[eretici]] instaurando una Chiesa pura e santa: disse tuttavia che se il pontefice non gli avesse dato ascolto, l'avrebbe ucciso in quanto ''furbo ribaldo tiranno inimico di Cristo, el quale stava su questa sedia indegnamente''. Nell'affermare ciò, Benedetto si richiamava alla distinzione tra il papa in quanto uomo (dotato di un corpo mortale) e la sua funzione di vicario di Cristo: un papa illegittimo non sarebbe stato investito della carica di vicario di Cristo, e ucciderlo non avrebbe comportato un sacrilegio.
 
===Ricerca di connivenze===
Il movente spirituale non convinse i giudici, che ribatterono alle deposizioni affermando che, qualora fosse stata la mano di Dio ad agire contro il papa, i congiurati non avrebbero avuto bisogno di usare alcuna arma. Sospettavano invece la presenza di mandanti più illustri e potenti dietro alla congiura. Le indagini pertanto si appuntarono sui canali attraverso i quali i congiurati si erano procurati le armi: emerse che il Pelliccione aveva un pugnale lungo un palmo e mezzo prestatogli dall'amico Simone della Barba, fratello dell'[[archiatra pontificio]] Pompeo (che con l'oscuro cavaliere condivideva l'abitudine a frequentare gli ambienti della magia e dell'astrologia). Da tale allarmante legame con una persona tanto vicina al pontefice non emerse tuttavia alcunché di rilevante ai fini dell'indagine. Si passò quindi ad esaminare lo stiletto di Benedetto Accolti, frattanto ritrovato sull'architrave di una finestra del palazzo Manfredi e che si sospettava fosse stato intinto nel veleno per rendere ancor più letali le ferite inferte; Benedetto minimizzò affermando che si trattava di un coltello di poco conto che usava portare con sé per trinciare il cibo.
 
Un'altra pista che fu battuta per trovare eventuali connivenze fu quella dei vestiti: tutti i congiurati si trovavano in difficili condizioni economiche, tanto da essere costretti a prendere in prestito abiti adatti a presentarsi al cospetto di Pio IV da dei famigliari di [[Curzio Gonzaga]] e [[Ascanio Della Cornia]]; quest'ultimo nome probabilmente risultò particolarmente sospetto, in quanto il Della Cornia era un potente condottiero, che già in passato aveva rivolto i suoi soldati contro il papa [[Paolo IV]]. Di lì a poco egli fu imprigionato a [[Castel Sant'Angelo]] per degli abusi perpetrati nel suo feudo di [[Chiusi]], ma non emersero prove di un suo effettivo coinvolgimento nella congiura contro Pio IV.
 
StridevanoStrideva peròaltresì con l'indigenza dei congiurati le promessericompense (sottoforma di ingenti somme di denaro, feudi e regalie varie) che essi avevano fattopromesso a diverse persone per cattivarsi simpatie e complicità.
 
Nel giro di circa una settimana la concordanza delle versioni fornite dai prigionieri si ruppe
 
== Note ==