Chester Arthur: differenze tra le versioni
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== Biografia ==
==Primi anni==
Nato a Fairfield, [[Vermont]], il [[5 ottobre]] [[1830]], da una famiglia di origini [[irlandesi]] di religione [[protestante]] (
Schierato con il [[Partito Repubblicano]], durante la [[guerra di secessione americana|guerra di secessione]] Arthur lavorò al Dipartimento della Guerra, dove ottenne l'incarico di quartiermastro generale, cioè di garantire i rifornimenti per l'esercito nordista. In merito ai servigi resi all'amministrazione, nel [[1871]] il presidente [[Ulysses Simpson Grant]] lo nominò amministratore delle dogane del porto di [[New York]]: in tale veste represse alcuni abusi inveterati nella gestione doganale newyorkese, ma bene presto fu rimosso dal suo incarico dal successore di Grant, [[Rutherford Hayes]], con un provvedimento che molti giudicarono ingiustificato.
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Datosi alla carriera politica, Chester Arthur fu scelto come vicepresidente del candidato repubblicano [[James Abraham Garfield]] nelle elezioni del [[novembre]] del [[1880]], che risultò vincitore. Nell'[[aprile]] del [[1881]], però, Garfield fu ucciso in un attentato, dopo pochi mesi di mandato. Come vicepresidente in carica, Arthur, secondo la [[Costituzione degli Stati Uniti d'America]], gli successe nella carica, dimostrando di essere più adatto alla carica del predecessore.
Il presidente infatti attuò infatti un'opera moralizzatrice, facendo approvare, il [[16 gennaio]] [[1883]] la [[Pendelton Civil Service Reform Act]] (presentata dal [[senatore]] dell'[[Ohio]] [[George H. Pendelton]], che riformava la pubblica amministrazione, stabilendo l'assunzione degli impiegati statali attraverso concorsi pubblici, gestiti da una commissione federale, e che non
Sotto la sua amministrazione avvennero inoltre numerosi eventi caratterizzanti la storia degli [[Stati Uniti]] verso la fine del secolo.
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Infatti in materia di [[immigrazione]], il [[6 maggio]] [[1882]] fu proibita, con il ''Chinese Exclusion Act'', l'immigrazione cinese, che aveva raggiunto livelli eccessivi, mentre nell'[[agosto]] dello stesso anno una legge sull' immigrazione regolò l'afflusso di stranieri nel Paese, imponendo una tassa di 50 centesimi per ogni immigrato presente negli [[Stati Uniti]] e vietando l'ingresso ai malati di mente, i criminali e chiunque dovesse dipendere dall'assistenza pubblica. Contemporaneamente, però, l'[[Alaska]], ottenuto lo ''status'' di distretto, fu aperto alla colonizzazione degli emigranti.
Nell'ambito dei diritti civili, l'amministrazione Arthur fu incerta e contraddittoria: il [[23 marzo]] [[1882]] il presidente firmò le [[Edmund Laws]], che dichiaravano reato federale la [[poligamia]], misura presa contro le gerarchie della [[Chiesa]] [[mormone]], fortemente presente nello [[Utah]], i cui membri avevano infatti più mogli, punendo con il carcere i bigami, in difesa dei valori tradizionali della famiglia. Fu durante la sua presidenza che la [[Corte Suprema degli Stati Uniti]], nel [[1883]], dichiarò incostituzionale il [[Civil Right Act]] del [[1875]], una legge federale che permetteva a chiunque, indipendentemente dalla razza o dalla precedente condizione di schiavitù, di ricevere il medesimo trattamento nei luoghi pubblici. Arthur si dimostrò contrario alla sentenza e informò il Congresso del suo dissenso, ma non fece nulla per far approvare una qualsiasi norma legislativa sulla materia.
Verso gli indiani Arthur si comportò come i suoi predecessori, ossia utilizzando la mano pesante: sempre nel [[1882]], quando il governo tentò di confinare nelle riserve gli indiani [[Apache]] dell'[[Arizona]] e del [[Nuovo Messico]], il loro capo [[Geronimo]] si sollevò in armi, dando vita all'ultima grande ribellione indiana contro gli americani, conclusasi quattro anni dopo, il [[4 settembre]] [[1886]], quando gli Apache superstiti con si arresero al generale statunitense [[Nelson Miles]].
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