Filippiche (Cicerone): differenze tra le versioni

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Cicerone teme che sia Antonio che Dolabella si siano concentrati sul potere personale o sul “''regnum''” anziché sulla vera strada che porta alla vera gloria confondendo l’essere amato con l’essere temuto. Il popolo romano ha affidato a uomini che godevano delle più alte cariche magistratuali il compito di amministrare e di decidere della ''res publica''. Cicerone si limita, qui, ad accusare Antonio di svolgere un’attività in contrasto con le disposizioni portate avanti da Cesare ma ne loda la moderazione e l’iniziativa.
 
In questa prima Filippica domina l’arte della diplomazia nelle parole che l’oratore rivolge al Senato e ad Antonio assente. Infatti, ad ogni invettiva dell’avversario Cicerone fa corrispondere un elogio della sua vita e del suo passato: ad esempio egli cita l’episodio di Dolabella che qualche tempo prima riuscì a sventare un colpo di statoStato di un personaggio che si fingeva essere l’erede di [[Gaio Mario|Mario]], fu per questo ammirato e acclamato da ogni cittadino romano; anche lo stesso Antonio (in data 17 marzo 44 a.C.)  dopo aver abrogato il termine “dittatore” e aver reso tanti preziosi servizi allo stato in nome della pace e dell’interesse della repubblica, fu applaudito calorosamente.
 
Cicerone, in conclusione dell’orazione, ringrazia di aver potuto ancora una volta prendere la parola in Senato e di essere stato ascoltato con attenzione e stima ripromettendosi in futuro di esprimere liberamente il proprio pensiero ogni qual volta ne avesse la possibilità. In cuor suo l’Arpinate non desidera rompere i ponti ; ma con tale orazione egli ha presentato il suo orientamento politico, che è di netta opposizione alla politica dispotica dei due consoli Antonio e Dolabella chiamando intorno a sé tutte le forze dell’ordine e della
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L'oratore sottolinea come in questa seduta del 20 dicembre il senato si trovi di fronte ad una scelta fondamentale, quella tra schiavitù e libertà. Cicerone è consapevole di rivolgersi ad un senato che ormai ha perso la sua forza e autorità, e che ben presto avrebbe ceduto alle sue persuasive argomentazioni, ottenendo da esso l'approvazione e l'applauso.
 
Infatti il ''privatum consilium'' di Ottaviano, non molto lontano da un colpo di statoStato, venne legalizzato dal senato, e Cicerone, successivamente (V Filippica), riferendosi proprio a quest'ultima assemblea, dichiarerà di essere di nuovo l'arbitro della situazione, alludendo al fatto di aver iniziato un nuovo corso nella vita della repubblica ormai in piena crisi.<ref>CICERO, Marcus Tullius, “''Le Orazioni”'', a cura di G. Bellardi, ed.
UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 38.</ref>