Economia dell'Impero romano: differenze tra le versioni
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{{vedi anche|Aerarium|Aerarium militare|Congiaria|Fisco|Institutio Alimentaria|Monetazione imperiale romana}}
Il gigantesco apparato imperiale comportava costi crescenti. [[Augusto]] aveva diviso l'Impero in province senatorie i cui tributi finivano nell'[[aerarium|erario]] (l'antica cassa dello Stato), a sostenere le spese correnti di quell'istituzione, ed in province imperiali, le cui entrare alimentavano il ''[[Fiscus Caesaris|fiscus]]'', la cassa privata dell'imperatore, cui toccavano gli oneri più gravosi, rappresentati dall'[[esercito romano|esercito]], dalla burocrazia e dalle sovvenzioni alla plebe urbana (distribuzioni di frumento o denaro, ''[[congiaria]]'') per evitare rivolte. Sotto i successori di Augusto si ingenerò confusione tra erario e fisco, a tutto vantaggio di quest'ultimo. Inoltre, per l'esercito era prevista una cassa apposita, l'erario militare (''[[aerarium militare]]''), in cui si accantonavano i fondi per il pagamento dell'indennità ai soldati congedati.<ref>Il problema della scarsità di contante fu avvertito già in età augustea: non rari erano i casi di veterani trattenuti in servizio oltre la scadenza della ferma, perché mancavano i soldi per le liquidazioni (Luigi Bessone, ''Roma imperiale'', in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) ''Civiltà Antiche'', Sei, 1987, p. 234).</ref> Il costo dell'esercito<ref>In età augustea il costo delle legioni era intorno alla metà della spesa pubblica totale, ma rappresentava solo il 2,5 per cento del Pil.
In compenso erano enormi le ricchezze che grazie alle sue conquiste affluivano allo Stato e soprattutto ai privati: oro, tesori, terre, opere d'arte. Per molti anni il ''tributum'' del 5 per cento del reddito imponibile istituito da Augusto per finanziare la difesa dell'Impero poté essere abbuonato ai cittadini romani (G. Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza,'' Einaudi, 2004, p. 51).</ref> fu aggravato inoltre dall'uso invalso da [[Claudio]] in poi di gratificare i soldati con un donativo per assicurarsene la fedeltà al momento dell'ascesa al trono e in situazioni delicate. Se aggiungiamo alle spese necessarie e inevitabili gli sprechi nella gestione della corte, si capisce come lo stato delle finanze fosse in genere alquanto precario. La decisione di Augusto di consolidare l'Impero, assicurandogli confini naturalmente sicuri e compattezza interna, invece che di estendere le frontiere, dipese anche dal fatto che l'imperatore si era reso conto che le risorse erano limitate e non in grado di sostenere eccessivi sforzi espansionistici.<ref>Luigi Bessone, ''Roma imperiale'', in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) ''Civiltà Antiche'', Sei, 1987, p. 235.</ref>. I successori, infatti, non si discostarono molto dalla linea augustea, a parte [[Traiano]] che portò l'Impero alla sua massima estensione anche per assicurarsi le miniere d'oro della Dacia ed il controllo delle vie carovaniere dell'Oriente: il beneficio fu comunque solo momentaneo. Alla lunga, la conclusione della politica espansionistica che fece mancare le usuali risorse del bottino di guerra, la diminuzione della moneta circolante (la produzione delle miniere era inferiore alla richiesta di metalli preziosi), la scarsità e quindi l'aumento del prezzo di mercato degli schiavi, resero le spese sempre più insostenibili, mentre la pressione fiscale si rivelava inefficace. Lo Stato conosceva un solo mezzo di intervento che non aumentava ulteriormente la pressione fiscale: la svalutazione della moneta, tramite la riduzione di peso delle monete (il primo ad operare in tal senso fu [[Nerone]], al fine di poter meglio sostenere la sua personale politica di prestigio e di grandi spese). La conseguenza, evidente in tutta la sua drammaticità nel corso del Tardo Impero, sarà un'inflazione galoppante. L'impatto dei costi di un [[esercito romano|esercito]] tanto vasto come quello romano (da [[Augusto]] ai [[dinastia dei Severi|Severi]]) sull'economia imperiale può misurarsi, seppure in modo approssimativo, come segue:
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