Vallo alpino in Alto Adige: differenze tra le versioni

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Per la costruzione vennero stabilite le posizioni delle fortificazioni da una commissione militare. I terreni vennero acquisiti o espropriati, cosa che trovò opposizione tra i contadini, in larga parte di madrelingua tedesca. Per i numerosi lavoratori delle imprese italiane dovettero essere costruiti degli alloggi. Per il lavoro duro e a volte pericoloso, gli operai ricevevano un salario fino a 50 [[lira italiana|lire]] al giorno. Questo stipendio era interessante anche per i contadini nativi; non vennero però assunti sudtirolesi che avessero [[Opzioni in Alto Adige|optato]] per la Germania.
 
La realizzazione delle opere si dimostrò piena di difficoltà: le strade di accesso che portavano ai cantieri erano ancora in parte da costruire. Bisognava a volte costruire [[Teleferica|teleferiche]] provvisorie per far giungere i [[materiali da costruzione]] necessari alle opere site nelle posizioni più impervie. Dato che il calcestruzzo si poteva gettare solo ad una temperatura superiore ai -5&nbsp;°C, in alta montagna, soprattutto in inverno, i lavori erano fortemente limitati. In Alto Adige, al 10 giugno [[1940]], 161 bunker erano già terminati (con armamento previsto di 336 mitragliatrici e 39 pezzi), grazie al lavoro di 19.000 operai.<ref name=B&M15>{{Cita|Bernasconi & Muran 1999|p. 15|Bernasconi 1999}}.</ref> Dal 16 giugno [[1941]] fu vietata la costruzione di nuove opere, solo i lavori per le fortificazioni già iniziate vennero portati avanti. Questo perché che le risorse economiche italiane erano impegnate per lo sforzo bellico principalmente nella [[Campagna dei Balcani]] e nella [[Campagna del Nord Africa]]. Dal diario di [[Galeazzo Ciano]], risulta che il 20 luglio 1941 Mussolini, in uno dei «suoi sfoghi germanofobi», affermò:
 
{{citazione|Bisogna mettere migliaia di cannoni lungo i fiumi del Veneto, perché sarà da lì che i tedeschi lanceranno l'invasione in Italia e non attraverso le [[gola (geografia)|forre]] dell'Alto Adige ove sarebbero facilmente maciullati<ref>{{cita|Ciano|p. 535}}.</ref>.}}
 
Il 25 luglio [[1941]] il generale [[Mario Roatta]] riferì che la maggior parte delle opere in costruzione erano terminate dal punto di vista strutturale.<ref name=B&M25>{{Cita|Bernasconi & Muran 1999|p. 25|Bernasconi 1999}}.</ref> L'allestimento delle opere con l'armamento previsto, tuttavia, procedeva a rilento. Nella terza linea di sbarramento, spesso solo un'opera per gruppo era completa in tutte le sue parti. Ancora oggi si trovano ancora molte opere delle linee arretrate che non furono mai ultimate negli allestimenti. In un rapporto del 1º ottobre [[1942]], il generale [[Vittorio Ambrosio]] denunciò che il prolungamento degli sbarramenti sui fianchi non era sufficiente. Ambrosio sostenne anche che con lo stato allora attuale della tecnologia bellica, il vallo alpino - così com'era - non era in grado di svolgere a dovere la sua funzione. Bisognava costruire altre 900 fortificazioni per poter avere uno sbarramento efficiente, ovvero "il Vallo Alpino invecchiava quindi più velocemente di quanto stava crescendo".
 
[[File:Opera 4.7Braies.JPG|thumb|L'opera 4 dello [[sbarramento di Braies]]]]
[[File:Opera 1.4 Chiusa.JPG|thumb|left|Opera 1 dello [[sbarramento Chiusa di Rio]]]]
Un problema che si dovette affrontare nella costruzione dei diversi sbarramenti fu l'ordine pubblico. Infatti, per la costruzione delle opere, bisognava trasportare materiale edile in loco, quindi per gli sbarramenti questo voleva dire al ridosso del confine, sotto gli occhi dell'"amico-nemico". Fu quindi ordinato di far scaricare il materiale alla prima stazione ferroviaria più a sud di quella che normalmente serviva la zona dove sarebbero stati impiegati (ad esempio per l'edificazione dello [[sbarramento del Brennero]] venivano scaricati alla [[stazione di Colle Isarco]]).<ref name=B&M28>{{Cita|Bernasconi & Muran 1999|p. 28|Bernasconi 1999}}.</ref> La mancanza di materie prime, soprattutto il ferro, causò una modalità di reperimento molto poco ortodossa: venne emanata una ordinanza, con la quale si permetteva la confisca di tutte le cancellate e recinzioni metalliche delle case italiane.
 
All'alleato tedesco non rimase certo ignoto il procedere di queste costruzioni atipiche lungo il confine; indagini fotografiche e di spionaggio furono eseguite. Il Reich fece fotografare i lavori di costruzione delle opere al ''[[Völkischer Kampfring Südtirols]]'' (VKS) il quale le realizzò mediante tecniche allora avanzate, come pellicole a raggi infrarossi (Perutz Topo, Perutz Silber Eosin, Infrarot 800 hart) e potenti teleobiettivi. Dato ciò, le fotografie effettuate furono eseguite in modo veloce per non farsi scoprire; la maggior parte furono effettuate da in movimento da auto o treno da cui risultano sfocate, altre invece da distanze di oltre 20 chilometri. Nonostante ciò, quest'attività di spionaggio risultarono utili per far conoscere al nemico tedesco lo stato di avanzamento delle costruzioni delle opere difensive, le loro dimensioni e quindi l'armamento previsto. Tali fotografie sono ora custodite presso l'archivio militare di Friburgo.<ref name=Spionaggio/>
 
Con il crescente peggioramento della situazione militare delle [[potenze dell'Asse]] nel [[Teatro del Mediterraneo della seconda guerra mondiale|teatro del Mediterraneo]], crebbe il malumore tedesco dovuto alla costruzione del vallo alpino. Il 4 ottobre [[1942]] Mussolini cedette alle insistenze di Hitler e fece diramare dal [[Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano|capo di stato maggiore generale]], generale Cavallaro, l'ordine del definitivo d'arresto dei lavori presso il vallo alpino, al confine con la Germania, con decorrenza dal 15 ottobre. Tuttavia, mentre venivano effettuati solo piccoli lavori allo scoperto, come il completamento della mimetizzazione, i piani per il prolungamento degli sbarramenti sui fianchi vennero comunque proseguiti.<ref name=B&M33>{{Cita|Bernasconi & Muran 1999|p. 33|Bernasconi 1999}}.</ref>
 
{{citazione|Sono dell'avviso che se non si vuole dare al Reich la persuasione che ci prepariamo a difenderci da lui, non c'è che da lasciare le cose come stanno; se viceversa, intendiamo di premunirci da quella parte, tanto vale riprendere i lavori in pieno, secondo il programma originale.|[[Mario Roatta]], [[Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano|capo di stato maggiore del Regio Esercito]], 25 luglio [[1941]]}}