Tommaso Pedio: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m ortografia
m apostrofo tipografico
Riga 37:
Nel [[1951]] riorganizzò il ''Comitato Provinciale di Potenza per l'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano'', rivestendo poi il ruolo di presidente. Nel [[1954]] fondò la ''Rassegna lucana''.<ref name = Pedio/>
 
Dopo aver ottenuto la cattedra di Storia Moderna nella Facoltà di Giurisprudenza dell’dell'[[Università di Bari]], insegnò anche Storia Medievale nella Facoltà di Magistero.
 
Fu membro della ''Deputazione per la Storia Patria della Calabria e della Lucania''; della ''Società Napoletana di Storia Patria'' e della ''Deputazione di Storia Patria per la Lucania'', di cui dirigerà per lungo tempo la rivista ufficiale. Fu membro inoltre del ''Centre d'études supérieures de Civilisation Médiévale'' dell'Università di [[Poitiers]], della '' Society for medieval archeology'' di [[Londra]] e dell'''International Organization Biography'' di [[Cambridge]].<ref name = Pedio/>
 
=== Attività letteraria ===
Appassionatosi allo studio della storia, dalla fine degli anni ’40'40 fino all’inizioall'inizio dei ’60'60 si dedicò ad un'attentissima e sistematica ricerca d’archiviod'archivio, volta principalmente ad indagare su fatti poco noti o considerati poco importanti circa gli eventi accaduti tra [[XVIII secolo|XVIII]] e il [[XIX secolo]] nel Mezzogiorno e, in particolare, in [[Basilicata]]. Curò due inchieste sulla sua regione, la prima nel [[1946]] per l'''[[Avanti!]]'' e la seconda per la ''Repubblica d'Italia'' nel [[1948]].<ref name = Pedio/>
 
In occasione del suo centenario, nel [[1960]] pubblicò un lavoro sull’sull'[[Insurrezione lucana]], per il quale vinse il ''Premio Lions'' 1960-61.<ref name = Pedio/>
 
Dal [[1969]] al [[1980]] Pedio diede alle stampe decine e decine di pubblicazioni, spaziando dalla storiografia medioevale a quella moderna, pubblicando molte opere sulla Basilicata longobarda, normanna e angioina; e sulla [[Puglia]].
 
Fu infatti per lungo tempo collaboratore della ''Società di Storia Patria per la Puglia'', per la quale curò nel [[1975]] gli atti del convegno su [[Emanuele De Deo]]. Nel [[1981]] fondò, con [[Mauro Spagnoletti]], la rivista ''Studi Storici Meridionali''. Nello stesso periodo il suo nome venne incluso nell’edizionenell'edizione di ''[[Who's Who|Who's who in the World]]''.<ref name = Pedio/>
 
Nel [[1999]] la sua attenzione sulla storiografia medioevale sulla Basilicata culmina con la sua ultima opera, il ''Cartulario della Basilicata'', che raccoglie un imponente numero di documenti d’archiviod'archivio datati dal [[476]] al [[1443]].
 
Morì il 30 gennaio [[2000]] a [[Potenza (Italia)|Potenza]].
 
== Attività storiografica ==
Il nome di Tommaso Pedio è associato principalmente agli innumerevoli studi condotti sulla storia del Mezzogiorno e della [[Basilicata]]. La sua sterminata opera, da cui trasuda l’attental'attenta ed enciclopedica conoscenza delle proprie fonti e bibliografia, riguardò tutti i periodi storici dal [[medioevo]] fino all’etàall'età contemporanea. Il suo approccio storiografico, esplicitamente espresso anche nell'ambito della propria attività accademica, è stato quello di svincolare l'analisi storiografica dalle ideologie politiche.
 
{{citazione|Le resistenze ad una revisione sistematica della nostra storiografia sono curiosamente molto forti ancora oggi, nonostante oramai si guardi al di la' dei confini del proprio paese e si aspiri a diventare cittadini del mondo; spesso l'ostacolo è solo ideologico ma la storia non può essere studiata secondo le direttive del partito in cui si milita o di cui si condivide l'ideologia e il programma politico. Dobbiamo liberamente ricostruire il nostro passato anche se ciò significa porsi controcorrente con il risultato di non essere congeniali né agli storici di destra che di sinistra.|Tommaso Pedio, ''Economia e società meridionale a metà dell'Ottocento'', Capone Editore, 1999.}}
 
Pedio studiò con grande rigore la storia del [[Regno di Napoli]], sfatando più volte il mito del «''giardino delle esperidi''» decantato dalle stampe pubblicistiche del [[XVIII secolo]], ma allo stesso tempo si tenne lontano dalla tesi di [[Giustino Fortunato]] che voleva un Sud naturalmente e geograficamente povero, ponendo risalto invece all’eternaall'eterna questione della terra e della feudalità, che lo storico potentino fa risalire addirittura a [[Federico II di Svevia|Federico II]] e alla sua politica di non-smembramento del [[latifondo]]. Particolare attenzione, poi, il Pedio riservò al tema del [[Risorgimento]] nel Meridione e al fenomeno del [[Brigantaggio]], concentrandosi su quello anti-francese e [[Brigantaggio postunitario|post-unitario]].
 
Lo stile di scrittura di Pedio è semplice, arguto e paratattico. I suoi testi sono alla portata dell'amatore quanto dello specialista. Nelle parole di un suo maestro,
Riga 65:
{{citazione|Le sue narrazioni sono ben definite trame e precise serie di fatti fermamente saldate, e concatenate tra loro. L'Autore si ferma su ogni apparenza della realtà, anche sulle cose più volgari e sconcertanti, ma, contrariamente ai modi di un realista o di un psicologista, fonda tutto in una atmosfera di alluccinante [''sic''] immaginazione, in una vibrante concitazione di stati d'animo, in intensissimo clima fantastico. Tommaso Pedio è un creatore di atmosfere, un autore che rifugge dai modi comuni di guardare la realtà. Le sue narrazioni ci danno il senso delle cose più che la cronaca di esse. Spesso egli cede al fascino dei monti, dei fiumi e dei boschi. Il Suo dire è ricco di succhi vitali, la sua arte è tonica, produttrice e stimolatrice di energie.|Basilio Bontempo, ''Un figlio della forte e generosa Lucania: Tommaso Pedio'', Catania, Lo Verde, 1939, pp. 4-5.}}
 
Da qui l'evidenza sull'altro lato importante dell’operadell'opera di Pedio, ossia l’attenzionel'attenzione che lo storico pone, oltre che ai fattori economici e sociali delle epoche studiate, alla ricerca biografica sui protagonisti, anche marginali, degli eventi studiati: capolavoro, in questo senso, è il suo ''Dizionario dei patrioti lucani: artefici e oppositori (1799-1870)'', pubblicato in cinque tomi tra il [[1969]] e il [[1990]], che contiene 11.256 biografie di personaggi storici lucani.
 
=== Risorgimento lucano ===
Molto lontano dalle retoriche di autori precedenti, Pedio studiò gli eventi storici mettendoli spesso in relazione principalmente con le condizioni economiche e sociali dei tempi. Per la [[storia del Risorgimento]] nell’anticonell'antico [[Regno delle Due Sicilie]], Pedio pone come principio del movimento la rivoluzione del [[1647]], da cui secondo lo storico potentino nacque quel movimento anti-feudale che sfociò prima nella [[Repubblica Partenopea]] del [[1799]] e successivamente nei moti del [[1820]] e [[1848]].
 
Molto critico è il suo giudizio sugli eventi del [[1860]] in [[Basilicata]]. Lontano delle interpretazioni estremamente patriottiche di storici precedenti come [[Giacomo Racioppi]] e [[Michele Lacava]], il Pedio ricerca le cause del successo del movimento insurrezionale lucano negli interessi della ricca classe borghese:
Riga 83:
Pedio si allontanò anche delle interpretazioni esclusivamente “banditistiche” del fenomeno del [[brigantaggio postunitario]], leggendo invece gli eventi del [[1861]]-[[1863]] come una vera e propria guerra civile.
 
In linea con quanto scritto da [[Francesco Saverio Nitti]], per Pedio gli eventi scatenatisi dal [[1861]] furono l’espressionel'espressione della lotta dei «cafoni» contro i «galantuomini» scatenatasi grazie all’azioneall'azione della ricca borghesia che era riuscita ad assicurarsi, anche col nuovo governo, lo ''status quo'' precedente.
 
{{citazione|Odi di famiglie ed ambizioni personali, prepotenze della nuova classe dirigente che, nuova ai piaceri del comando, sfoga i propri rancori e le proprie ambizioni avvalendosi della protezione che le deriva per i suoi rapporti con i rappresentanti del nuovo regime; la incomprensione che la nuova classe dirigente mostra nei confronti dei miseri e degli oppressi, che nessun beneficio hanno ottenuto con la conseguita trasformazione politica; e le promesse non mantenute consentono ai nostalgici dell'antico regime, ossia alla vecchia classe dirigente ultra-conservatrice, agli impiegati destituiti, al clero ed ai vescovi fautori del potere temporale di servirsi della plebe per opporsi energicamente al nuovo ordine politico. E gli oppressi ascoltano questa voce, credono di poter conseguire un miglioramento materiale e, dimentichi di quella che era stata la loro esistenza prima del [[1860]], si illudono che una eventuale restaurazione borbonica possa loro arrecare vantaggi e benefici. Intorno ad una speranza e ad una illusione che concretizza tutte le loro aspirazioni, i ''paria'' si cercano e si uniscono non con il diretto ed unico scopo di delinquere, ma soltanto per protestare, per ribellarsi al potere costituito, animati dalla illusione di potere, in tal modo, migliorare le condizioni di vita cui sono costretti, sfuggire alla miseria, al servaggio, alla prepotenza ed al sopruso, salvare la propria esistenza e vendicare i torti subiti che la giustizia dello Stato lascia impuniti. Altra causa del malcontento prodottosi in Basilicata tra le classi contadine immediatamente dopo la insurrezione contro il Borbone, è l'atteggiamento assunto nei confronti della questione demaniale dagli uomini che l'insurrezione aveva portato al governo della provincia. Costoro che, tra. i primi atti di governo, hanno dichiarato illegittima ogni azione popolare diretta alla immediata espropriazione delle terre demaniali usurpate, sebbene interessati e sollecitati da uomini che avevano partecipato al movimento insurrezionale, evitano di risolvere anche la questione relativa alle terre non usurpate ed in possesso dei comuni ed, allo scopo di non disgustarsi la classe dei proprietari, assumono un atteggiamento decisamente contrario alla risoluzione del problema delle terre demaniali usurpate.<ref>Tommaso Pedio, ''Reazione alla politica piemontese ed origine del brigantaggio in Basilicata'', Lavello, 1961, pp. 6-10</ref>}}
 
Lo storico potentino però non fu propriamente un antesignano delle tesi anti-risorgimentali e neo-borboniche più recenti. Per Pedio l’adesionel'adesione alla lotta legittimista delle plebi fu determinato solo dagli eventi del periodo. Come scrisse nel 1966,
 
{{citazione|nella speranza di conquistare la terra e di vincere la miseria e la fame, i contadini meridionali insorgono assumendo, come propria bandiera, quella che il nuovo regime aveva abbattuto. (…) In tal modo quella che era sorta come inconsueta lotta di classe del povero contro il ricco, assume gli aspetti di una controrivoluzione e di una agitazione armata diretta alla restaurazione dell’antico regime.<ref>Tommaso Pedio, ''Vita politica in Italia Meridionale'', Napoli, 1966, p. 25</ref>}}