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In questo contesto di scarsa organizzazione dei gruppi, la costituzione del Comando delle Fiamme Verdi è di grande impulso per la resistenza, in particolare nella Valsabbia. Perlasca e Bettinzoli, prima dell’incarico ottenuto dal Comando delle Fiamme Verdi, erano già presenti in valle ma le loro mansioni si limitavano allo stabilire contatti e collegamenti tra alcuni esponenti del movimento ribellistico della Valsabbia<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 21 }} </ref>.
Dopo la creazione delle Fiamme Verdi si risolvono i maggiori problemi organizzativi dei gruppi già esistenti in valle e vengono avviati contatti sia pur precari e difficili con la città. Da questo momento l’azione di Perlasca e Bettinzoli ha un carattere organizzativo e questo rende possibile l’aggregazione sotto una sola organizzazione dei molti sbandati e dei gruppi esistenti. Grazie alla presa in carico dell’organizzazione da parte di Perlasca e Bettinzoli, nel gennaio del 1944 è possibile realizzare delle attività di guerriglia<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 32 }} </ref>. Questa nuova organizzazione delle azioni viene subito avvertita da tutti i gruppi attivi in valle. Una volta terminata la guerra, Severino Liberini stende una relazione dove afferma: {{Citazione|In ottobre giunge in valle il capitano Zenith. Calmo e sorridente si mette immediatamente all’opera per risolvere problemi appena impostati [...] con l’arrivo di Zenith incomincia un nuovo periodo di attività più intensa. È un esempio che trascina. Poche ore di sonno gli sono sufficienti. Scappare a Brescia di giorno, operazioni in montagna di notte| }}<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 21 }} </ref>
Da questo momento si tengono molti incontri dove si discute sopratutto di problemi organizzativi, si stabiliscono i nomi di battaglia e le parole d’ordine ma anche il recapito delle staffette<ref>presso l’abitazione di Renzo Laffranchi </ref>, si fa l’inventario delle armi e delle munizioni e si individuano i punti stradali più favorevoli in cui effettuare azioni contro i fascisti. Grazie all’influenza di Perlasca si stabilirono anche dei contatti con un gruppo di resistenti sorto e stanziato a Vobarno. Per facilitare i contatti e l’organizzazione delle riunioni, durante questi incontri si stabilisce che Perlasca, quando si trova in Valsabbia, si stabilisca a Vestone nella casa di Maria Guerra (madre di Giorgio Oliva) o a Forno d’Ono nell’abitazione di Antonio Zanaglio<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>. Perlasca organizza una spedizione a Capovalle per recuperare dei muli lasciati dagli alpini scappati dopo l’8 settembre. Bettinzoli e Valerio Mor si occupano di mantenere i contatti con il comando di Brescia e di recuperare cibo e vestiario. In particolare Bettinzoli il 5 dicembre dà l’incarico a Davide di trasportare generi alimentari e dalla pianura e pochi giorni dopo anche del vestiario<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
Bettinzoli e Valerio Mor si occupano di mantenere i contatti con il comando di Brescia e di recuperare cibo e vestiario. In particolare Bettinzoli il 5 dicembre dà l’incarico a Davide di trasportare generi alimentari e dalla pianura e pochi giorni dopo anche del vestiario<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
 
===L’aviolancio dell’8 dicembre e le operazioni di recupero===
Alla fine di ottobre Petitpierre viene incaricato dal CLN di Brescia di gestire i contatti con gli alleati e molto probabilmente, grazie a questo lavoro di collegamento, già dalla fine di novembre i gruppi erano in attesa dell’invio di armi in Valsabbia. Inizialmente venne individuato un campo a Vesta di Cima dove lanciare i rifornimenti e viene valutato “scomodo perché distante, ma abbastanza sicuro ed esteso”. Il lancio sembrava imminente già agli inizi di novembre, infatti alcuni uomini partono da diverse località (Nozza organizzati da Ferremo, da Lavenone, Idro e Anfo) per raggiungere il campo a Vesta di Cima. Una volta arrivati sul posto, questi gruppi rimangono ad aspettare per quindici giorni ma il volo viene rimandato diverse volte a causa del maltempo. Il campo viene controllato fino al 28 novembre, dopodiché i gruppi devono scappare a causa di una notizia rastrellamento della Feldgendarmerie che in effetti sarebbe avvenuto il giorno successivo. L’8 dicembre Liberini riceve una telefonata da Perlasca che gli dice di preparare un gruppo per il recupero del materiale lanciato dagli alleati. Mentre questo gruppo di quattro uomini si sta preparando a partire dal lago d’Idro, nel frattempo “verso le 19 un aereo sorvola e gira per due volte da Vobarno a Degagna e al secondo giro il Poli, data la bassa quota dell’apparecchio, può individuare bene la sua direzione fra Gardoncello e Degagna. Il lancio doveva riuscire alla perfezione se non fosse stato sganciato qualche attimo prima, ingannati [gli aviatori] dal fuoco di carbonai situati fra Prato della Noce e Campiglio. Vari paracadute con venti quintali di materiale scendono nella notte lungo la valletta che da Degagna conduce a Campiglio”<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
In realtà il lancio doveva avvenire in un altro posto ma all’ultimo istante gli aviatori decidono di cambiare campo di atterraggio. Il materiale paracadutato è suddiviso in casse di armi e materiale utile e una volta atterrato, i montanari della zona intercettano il carico e sottraggono il materiale utile (non le armi) e lo nascondono nelle loro case e fienili. La notte del 10 novembre alcuni elementi delle bande Valsabbine<ref> Manlio Poli, Giulio De Martin, Enrico Federici, e Mario Boldini {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref> si recano nella zona del lancio e constatano la mancanza di gran parte del materiale lanciato. Per questo motivo avvertono il Comando di Vestone e decidono di ritornare il 12 dicembre con un contingente di uomini maggiore<ref> i gruppi partono da Mura, Casto, Nozza, Odolo e Anfo e si dirigono verso le frazioni di Eno e Cecino in località Degagna e si incontrano con il gruppo di Manlio Poli che proviene da Vobarno {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref> per fare pressione sulle popolazioni della zona usando le maniere forti con lo scopo di ottenere tutto il materiale nascosto<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 40 }} </ref>. Dopo avere effettuato approfondite perquisizioni nelle case e dopo avere minacciato di morte i responsabili del furto, i partigiani riescono a recuperano il materiale utile tra cui doveva esserci anche una radio che però, malgrado le approfondite ricerche, non viene trovata. Tutto il materiale recuperato viene portato provvisoriamente nell’abitazione di Pietro Franzoni <ref> nome di battaglia Barba </ref> e da qui, prima le armi e poi il resto, De Martin e Boldini, aiutati da Bernardo e Cesare Butturini, trasportano tutto a Monte Spino. I quattro requisiscono un cavallo e un mulo per il trasporto che avviene poco prima di Natale e le armi vengono suddivise e nascoste in tre grotte molto ben nascoste sul Forcello, un monte vicino allo Spino. Nei primi giorni di gennaio 1944 un gruppo di Sabbio Chiese col comando di Perlasca e Bettinzoli, ritira le armi da queste grotte e le trasporta in Valtrompia senza alcun problema. Un altro gruppo di armi viene nascosto in una caverna vicino a Vobarno poi spostato nel fienile di Pietro Bertoletti<ref>nome di battaglia Pietro Rinaldi</ref> sul monte Gardoncello. Un’altra parte delle armi viene nascosta nel fienile di Enrico Zuaboni <ref> nome di battaglia Rico di Trat</ref> sul monte Trat. Per sorvegliare le armi e i materiali nascosti, Boldini, De Martin, Federici e i fratelli Butturini per qualche giorno si fermano in una cascina disabitata<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref>.
L’aviolancio, ma sopratutto il trattamento ricevuto dai montanari per ottenere il materiale nascosto ma anche la presenza stessa delle armi arrivate col lancio l’8 dicembre 1943, provoca parecchie resistenze nei montanari della Degagna che denunciano ai carabinieri i fatti avvenuti. La denuncia allarma i fascisti e di conseguenza i tedeschi e questo provoca un grave senso di insicurezza nei resistenti<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
Negli ultimi giorni di Dicembre del 1943 Perlasca si ammala e decide di recarsi a Brescia dove rimane tutto il periodo di malattia, durante il quale probabilmente incontra Francesco Brunelli a cui parla della sua intenzione di non ritornare più in Valle Sabbia e ipotizza di passargli il comando<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref>. Mentre Perlasca è a Brescia ammalato, durante le operazioni di ricerca delle armi, Bettinzoli prende il comando<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 42 }} </ref>. Dopo aver incontrato Brunelli, Perlasca decide di andare a Brescia e di prendere diretti contatti col comando. Lo scopo di questo spostamento è di evitare l’arresto in quanto Perlasca inizia a rendersi conto che dopo la denuncia dei montanari per i fatti della Degagna, i ribelli rischiano la cattura in qualsiasi momento.
A seguito di questa denuncia, nei primi giorni di gennaio 1944 a Brescia i fascisti fanno i primi arresti che terminano il 6 gennaio. Dopo questi arresti, tra l’11 e il 16 gennaio iniziano i primi rastrellamenti in Valsabbia e Valtrompia che però non producono alcun risultato. Durante questi rastrellamenti, il 13 gennaio, mentre altri gruppi erano intenti a nascondere le armi, una pattuglia composta da sei militi forestali sorprende e cattura nel fienile del Monte Spino Mario Boldini e altri 4 compagni di Perlasca che qui si erano installati per sorvegliare le armi nascoste nelle grotte. Dopo l’arresto vengono tutti portati a Gargnano e consegnati al Comando delle SS. Nel comando vengono sottoposti a torture e interrogatori ma non cedettero e dopo l’esecuzione di Boldini vengono portati alle carceri giudiziarie di Brescia<ref> {{Cita | Anni 1980 | pp. 41-42 }} </ref>.
 
===Gli arresti del gennaio 1944 e la cattura di Perlasca e Bettinzoli===
<ref> {{Cita | cid | p. xx }} </ref>
Il 14 gennaio metà le armi recuperate in seguito alle vicende della Degagna, come già detto, vengono nascoste nella casa di Ebenestelli a Forno D’Ono e l’altra metà vengono nascoste {{Citazione| [...] in una grotta (''el büs del romèt'') vicina. Chi sapeva dell’esistenza del deposito erano Perlasca, Bettinzoli, Ebenestelli, Guerra, suo cognato [Madinelli] e il sottoscritto [V. Mor] }} <ref> intervista di V. Mor {{Cita | Anni 1980 | p. 42 }} </ref>.
La notte tra il 17 e il 18 gennaio viene effettuata l’ultima spedizione di ex prigionieri in Svizzera condotta da Perlasca e Bettinzoli e lo stesso giorno Perlasca, come unico rifornimento, porta con se della farina ad Ennio e Flavio Doregatti a Forno d’Ono. Toni racconta {{Citazione|Quella notte noi dormimmo in un luogo verso Presegno e poi, la mattina prestissimo [...] partimmo. Verso le nove del mattino sentimmo dei colpi d’arma fuoco provenire da Forno. Quando tornammo, alcuni giorni dopo, ci dissero che erano state trovate le armi nascoste nella grotta [il “büs del romèt”] vicino a Forno}}<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} - {{Cita | Anni 1980 | p. 45 }}</ref>.
Nei tre giorni successivi alla morte di Mario Boldini, avvenuta il 14 gennaio 1944<ref> {{Cita | Anni 2008 vol. 2 | p. 56 }} </ref>, vengono identificati e catturati i gruppi maggiormente attivi ed esposti della Valsabbia. Questi arresti segnano una grave crisi delle Fiamme Verdi valsabbine che culmina il 18 gennaio con la fuga alle 5 del mattino di Perlasca, Bettinzoli, Giulio Ebenestelli e V. Mor dalla località Forno in direzione Brescia viaggiando in bicicletta ed evitando un posto di blocco a Vestone. Il gruppo verso le 8:30 giunge a Brescia nei pressi dell’Istituto Pastori dove si trova un posto di blocco dei fascisti. Perlasca si occupa di gestire la situazione con i fascisti e dopo essere stati attentamente osservati dal gruppetto di militi, uno di essi ordina di lasciarli passare. Gli «amici» di cui Perlasca si fidava gli permisero di entrare in città, ma al solo scopo di arrestarlo in seguito assieme alle persone che avrebbero avuto dei contatti con lui<ref> {{Cita | Anni 1985 | pp. 23-24 }} </ref>. Superato questo posto di blocco, Ebenestelli e Mor girano senza mete per la città e, dopo avere sostato brevemente in casa di Mor, Ebenestelli si dirige a Bornato e Mor a Gussago per rifugiarsi presso parenti. Perlasca invece va a trovare Alda Prosperina Mafezzoni <ref>nome di battaglia Gianna</ref> in via Elia Capriolo a Brescia. Alda racconta che progettavano di fuggire a Milano ma che Perlasca era intenzionato a ritornare a casa dalla fidanzata. Alda però lo sconsiglia di andare in quanto, gli disse, la casa era sicuramente controllata. Il giorno successivo Alda si reca in stazione e, prima di partire, aspetta inutilmente Perlasca ma lei non sapeva che la notte precedente, poco dopo avere lasciato la sua casa viene arrestato in via Moretto mentre andava verso la casa di Maria Boccardi, una sua vecchia domestica<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 47 }} </ref>.
Più tardi, sempre il 18 gennaio alle 13:30, anche Bettinzoli viene arrestato nella sua casa in via Bottonaga. Bettinzoli e Perlasca come gli altri resistenti arrestati nei giorni precedenti vengono radunati nella caserma dell’Arsenale “Gnutti” in via Crispi, 10 che fungeva da carcere giudiziario da Sorlini e dalla Feldgendarmerie<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 50 }} </ref>.
 
===Il processo e la fucilazione di Perlasca e Bettinsoli===
Il 17 gennaio Liberini incontra De Martin e riesce a scambiare con lui brevi parole. La stessa sera Manlio Poli viene rinchiuso nella cella di Liberini e lo informa degli arresti di Vestone e il 21 gennaio 1944 Liberini e Valsuani vengono interrogati. Perlasca, interrogato nelle prigioni della caserma Arsenale “Gnutti” di via Crispi, viene crudelmente torturato tanto che, il 24 gennaio, quando viene trasferito a Canton Mombello, {{Citazione| era nero di botte e quasi irriconoscibile | Testimonianza orale di Renzo Laffranchi }}.
Il 23 gennaio Perlasca scrive la prima lettera dal carcere destinata alla madre.
 
===Gli arresti del gennaio 1944 e la cattura di Perlasca e Bettinzoli===
 
 
===Il processo e la fucilazione di Perlasca e Bettinsoli===
 
 
 
 
 
 
 
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<ref> {{Cita | cid | p. xx }} </ref>
 
==La Brigata Perlasca==