Gaio Licinio Macro: differenze tra le versioni
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==Biografia e carriera politica==
La data di nascita è sconosciuta, ma essendo pretore nel 68 a.C., allora deve essere nato nel 107 o 108 a.C. circa. La [[lex Villia annalis]], un [[plebiscito]] del 180 a.C. del [[tribuno]] Lucio Villio, infatti, introduce un'età minima per l'accesso alle magistrature e un intervallo di due anni tra la investitura di due cariche. [[Pretore (storia romana)|Pretore]] si poteva diventare a 39 o 40 anni. Macro apparteneva alla [[nobilitas]] e assunse la carica di [[tribunus plebis]] nel 73 a.C. e una carica pro magistratus, che risalirebbe al 68 a.C., di pretor. Quest’ultimo incarico dovrebbe corrispondere a un governo di una provincia, di cui però non è stata tramandata alcuna testimonianza. Macro era padre del poeta neoterico Gaius Licinius Calvus, amico di [[Catullo]] e ostile, come oratore, di [[Cicerone]]. Il figlio era un famoso poeta della nuova tendenza neoterica ed eccellente oratore [[atticista]].
Licino Macro era vicino alle tesi “democrazia”, come [[tribunus plebis]], si batté per la restaurazione della [[tribunicia potestas]]. Nel 66 a. C., quando Cicerone era pretor, secondo la lex repetundarum fu condannato. Morì poco dopo la condanna.
==L’oratoria di Macro==
Macro doveva avere delle ottime capacità retoriche, come si capire dal discorso riportato da [[Sallustio]] e dalle dichiarazione di un personaggio a lui ostile, come Cicerone, che nel <ref>Brutus 238 M. Tullio Cicerone, Bruto (a cura di E. Narducci): C. Macer auctoritate semper eguit, sed fuit patronus propemodum diligentissimus. huius si vita, si mores, si voltus denique non omnem commendationem ingeni everteret, maius nomen in patronis fuisset. non erat abundans, non inops tamen; non valde nitens, non plane horrida oratio; vox gestus et omnis actio sine lepore; at in inveniendis componendisque rebus mira accuratio, ut non facile in ullo diligentiorem maioremque cognoverim, sed eam ut citius veteratoriam quam oratoriam diceres. hic etsi etiam in publicis causis probabatur, tamen in privatis inlustriorem obtinebat locum
Cicerone riconosce le capacità oratorie e di [[patronus]] nelle cause private ma disconosce il costume di Macro, che aveva una spiccata propensione oratoria, con uno stile vivace e colorito e che riusciva a organizzare perfettamente le cinque parti dell’arte retorica - ''inventio'', ''ordo'', ''[[elocutio]]'', ''memoria'' e ''actio''- nei suoi discorsi. [[Cicerone]] chiarisce che ha lavorato molto, i fatti nei suoi discorsi sono precisi, ma queste capacità sono rovinate da un comportamento e dall’astuzia di un “mestierante”. Macro era un ''popularis'', legato a [[Gaio Mario|Mario]] e questo può spiegare la volontà di difendere la città etrusca, che sostenne Mario e subì gravi danni a opera di Silla. Nel discorso Pro Tuscis Macro rimpiange le conseguenze negative sull’[[Etruria]] della colonizzazione sillana. Il rapporto con la città etrusca è stato messo in relazione anche con le origini etrusche della gens Licinia <ref>
==L’opera storica==
L’opera storica di Macro in sedici o ventuno libri, non doveva essere un’opera corposa. Dagli autori dei secoli successivi quest’opera, che si dovrebbe ricollegare all’[[annalistica]] più che al genere biografico, fu considerata «un’autorità per la parte in cui trattava dalle origini fino al III secolo a.C.» <ref>
==Un esempio di orazione per la libertas del 73 a.C.: Sallustio, Historiae, 48, 1-19==
Uno dei discorsi delle ''[[Historiae (Sallustio)|Historiae]]'' di [[Sallustio]] elabora il concetto di ''libertas'' e quindi di democrazia, che come ricorda Pani:
La Penna <ref>La Penna, Sallustio e la «rivoluzione romana»</ref> ha scritto che in questo discorso c’è «ciò che di meglio la “democrazia romana” ha affermato quanto a valori etici e politici».Nel discorso Macro, nella contio, si rivolge al popolo romano e parla di ''[[Diritto|ius]]'' e [[iura]]. Macro rinviando alla tradizione delle lotte patrizio-plebee, rammenta che i costumi degli antenati devono essere mantenuti, ovvero è necessario tutelare i diritti conquistati. Macro esprime il valore per un uomo di carattere di combattere per la libertà, anche a costo di soccombere, piuttosto che rinunciare alla lotta. Macro vuole recuperare il ruolo di garante del [[tribunus plebis]] per tutelare i diritti dei [[plebei]]. È necessario recuperare il ruolo di tutti i magistrati di tutela e garanzia. Non si può abbandonare la [[res publica]] nelle mani corruttrici di pochi senza reagire. Macro dichiara che ormai si è privati di «spogliati [sciogli i Quiriti] di tutto ciò che avete ereditato dagli antenati» <ref>
==Una fine controversa==
Della morte di Macro abbiamo tre fonti letterarie: [[Cicerone]], [[Valerio Massimo]] e [[Plutarco]].
Plutarco nella ''Vita di Cicerone'' scrive: «Licino Macro, uomo già potente nella città di per sé e per di più appoggiato da [[Crasso]]. Un’inchiesta per peculato fu condotta a suo carico da Cicerone. Licino Macro, confidando nel proprio potere e nei propri appoggi, quando ancora i giudici non avevano deciso il verdetto, tornò a casa, si fece tagliare i capelli e indossò in fretta un mantello bianco, per andare nel foro di nuovo, da vincitore. Sotto casa, però, incontrò Crasso, venuto a dirgli che era stato condannato all’unanimità. Tornò quindi indietro, si mise a letto e morì» <ref>
==Note==
<references/>
==Bibliografia==
*F. Münzer, Roman aristocratic parties and families, London Johns Hopkins University press, 1999
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