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'''Marco Cavallo''' è una scultura di legno e cartapesta in forma di "installazione" e "macchina teatrale". Fu realizzata nel 1973 all'interno del manicomio di Trieste da un'idea di Giuseppe dell'Acqua, Dino e Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. E' però considerata un'opera collettiva realizzata con il contributo dei laboratori artistici creati all'interno della struttura nosocomiale da Franco Basaglia, allora direttore dell'Ospedale Psichiatrico e si avvalse del contributo ideale e immaginifico dei pazienti allora reclusi<ref>{{Cita web|url=http://www.triestesalutementale.it/storia/marcocavallo.htm|titolo=DSM Trieste:Trieste: Storia di un cambiamento|sito=www.triestesalutementale.it|accesso=2016-06-27}}</ref>. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi. Divenne pertanto "icona" della lotta etica, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, la cosiddetta [[Legge Basaglia]] del 1978 , nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale <ref>{{Cita web|url=http://www.lescienze.it/news/2013/11/12/news/opg_marco_cavallo_manicomi_giudiziari-1882240/|titolo=Il viaggio di "Marco Cavallo" per chiudere i manicomi giudiziari - Le Scienze|accesso=2016-06-27}}</ref>
===Storia e ideazione===
Nel giugno del 1972, i ricoverati dell'ospedale psichiatrico di Trieste inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che
Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale e
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