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Tra il [[XIX secolo|XIX]] e il [[XX secolo]] si avvia in Italia il processo di [[industrializzazione]] e [[capitalizzazione azionaria|capitalizzazione]] che arriva ben presto a coinvolgere [[Reggio Emilia]] e la sua provincia, modificandone l'agricoltura, l'economia e l'assetto sociale. La crescita demografica e l'ampliamento dei centri urbani porta alla revisione urbanistica della città. Vengono infatti demolite le cittadelle e la cinta muraria (con il ruolo di protezione) a favore dei viali di circonvallazione. Causa ed effetto della rivoluzione in atto è la [[ferrovia]], che assurge a simbolo di modernità.
L'evoluzione economica genera un vivace fermento sociale che porta alla nascita del [[movimento socialista]]. Affermatosi anche grazie all'impegno di leader come [[Camillo Prampolini]] e [[Antonio Vergnanini]], il movimento conquista Reggio Emilia e provincia all'inizio del Novecento, nonostante l'elitaria legge elettorale<ref>«Il programma dei socialisti nelle pubbliche amministrazioni era manipolato in via S. Paolo alla sede della Camera del lavoro, ove il Vergnanini teneva abilmente i fili di ogni iniziativa, e comprendeva: per il Comune, lavori di ampliamento del macello e annessa costruzione delle celle frigorifere, costruzione di Scuole e del cosiddetto Palazzo Rosso alla Formentaria per adibirlo ad uffici comunali, municipalizzazione della Società del Gas e dell’Acquedottodell'Acquedotto Levi, laicizzazione delle scuole e del cimitero, forno comunale, sussidio alla Camera del lavoro, modernizzazione degli uffici comunali; per la Provincia, costruzione della Reggio-Ciano e di diverse strade carrozzabili, fra cui quella fra Puianello e Casina, lungo la vallata del Crostolo, e quella fra Casina e Felina, sistemazione delle strade delle Radici e della Val d’Enzad'Enza, allacciamento di alcuni centri importanti della pianura, abolizione del pedaggio sul ponte in chiatte di Viadana, erogazione di un sussidio alla Camera del lavoro, sviluppo della Scuola di Zootecnia a Caseificio, rinnovazione degli uffici, istituzione di una Camera arbitrale per i conflitti di lavoro; per le Opere Pie, la cosiddetta democratizzazione dei servizi, la laicizzazione del servizio assistenziale ospitaliero, una più ampia beneficenza pubblica, la rinnovazione razionale dei contratti di conduzione del patrimonio degli Enti.» V. Pellizzi, ''Profili di vita reggiana agli albori del XX secolo'', Officine grafiche fasciste, Reggio Emilia, 1937, ora in Antonio Canovi, ''Cento anni CCPL. Il racconto cooperativo di un Gruppo Industriale'', Milano, Reggio Emilia, CCPL, 2004, p. 81.</ref>.
=== 1904-1919: la nascita e l'affermazione del Consorzio ===
Nel 1922 si concludono le trattative con l'amministrazione provinciale per la costruzione della ferrovia Reggio-Boretto (o Reggio-Po), al Consorzio Reggiano ne è affidata la costruzione mentre al Consorzio Reggio-Ciano è delegata la gestione dell'esercizio.
I due Consorzi strutturano sempre meglio la loro azione sul territorio, ma nel frattempo la crisi politica precipita: lo [[squadrismo]] fascista organizza a Reggio Emilia le prime aggressioni alle sedi delle organizzazioni operaie come la [[Camera del Lavoro]], la tipografia “La Giustizia” e i circoli socialisti<ref>Testimonianza di Lice, operaia della Bloch di Reggio Emilia: “E’n“E'n dove stèva mé gh’èragh'èra la coperatìva [Dove stavo io c’erac'era la cooperativa] e sono venuti a bruciarla. C’eraC'era lo spaccio, c’erac'era l’osterial'osteria, tutto; lé gnìven a dèr l’òlil'òli a me péder, a me sìo… tótt i me sìo e gh’angh'an dé l’òlil'òli [lì venivano a dare l’oliol'olio a mio padre, a mio zio… a tutti i miei zii hanno dato l’oliol'olio]. Un giorno ha cominciato a bruciare tutto, tutta la casa e noi eravamo lì. Allora [i fascisti]… e vìnen só per al schèli a ciamèrs só che s’alvòmas'alvòma […vengono su per le scale a chiamarci perché ci alzassimo]: «Bruciate in casa!!» L’èL'è saltèda fora me mèdra: «Vigliàcc, a si stèr vuèter ca s’ìs'ì brusèe, e adèsa a s’als'al gni a dìr…». Me pèder: «Mo tès, am méten dèinter me, mo se dìt!?». Mo lèe: «Vigliàcc… – e s’ans'an sbraghé tótt i’ósi'ós dal cambri, con chi sciòpp lé!», E lèe puvrètta la gh’ìvagh'ìva d’avèird'avèir già me surèla… [È venuta fuori mia madre: «Vigliacchi, siete stati voialtri a darci fuoco, e adesso venite a dircelo…». Mio padre: «Mo’Mo' taci, che mi mettono dentro me, cosa dici!?». Ma lei: «Vigliacchi…» – e ci hanno rotto tutte le porte delle camere, con quei fucili! E lei poveretta era incinta di mia sorella…] che difatti la Renata, se ha qualcosa, mettiamo, sviene…». Cfr. N. Caiti, R. Campari, L. Cottafavi et al., Una storia, tante storie. Operaie della Bloch a Reggio Remilia 1924-1978, Roma, Ediesse, 1986, citato da Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit., p. 135. Amus Fontanesi scrive: “La pressione sulle cooperative di produzione e lavoro per farle capitolare si esercitava in questo modo:
a. si bastona qualche suo rappresentante;
b. i comuni conquistati dai fascisti non danno più lavori alle cooperative “rosse” o “bianche” ma solo alle cooperative diventate “nazionali” o “fasciste” e ai sindacati corporativi fascisti;
A questa iniziativa, che non si concretizza, segue la proposta dell'esponente del regime fascista Natale Prampolini: trasformare il Consorzio Reggiano in una Federazione Reggiana di [[Cooperative Nazionali]]. Il rifiuto da parte del Consorzio Reggiano spinge il regime cercare altre soluzioni.
Nel 1924 le otto cooperative che lavorano sulla tratta ferroviara Reggio-Boretto si costituiscono nel Consorzio tra Cooperative di Produzione e Lavoro fasciste ([[CCPLF]])<ref>Elenco delle otto cooperative fasciste che danno vita al Consorzio e loro presidenti. Cooperativa Muratori “L’indipendente”“L'indipendente” di Guastalla (Domenico Bassi), Cooperativa Braccianti agricoli di Guastalla (Luigi Benfatti), Cooperativa Birocciai di Guastalla (Giovanni Folloni), Cooperativa Muratori “La Vittoria” di Castelnuovo Sotto (Angelo Vezzani), Cooperativa braccianti “La Concordia” di Castelnuovo Sotto (Oliviero Macinini), Cooperativa Braccianti ed Affini di Boretto (Giuseppe Bonora), Cooperativa di Produzione e Lavoro Braccianti di Lentigione (Demetrio Manfrini), Cooperativa Nazionale Edile Fascista di Reggio Emilia (Mario Rinaldini). Cfr. Amus Fontanesi, CCPL 1904-1994, cit. p. 25.</ref>, l'atto porta la data 11 settembre 1924, d.l. n. 1516; la sede è a Reggio in via De Amicis, 22.
Il Consiglio di amministrazione del Consorzio fascista è presieduto da Luigi Benfatti mentre il direttore è l'ing. Enrico Nasi di Rolo.
L'amministrazione provinciale, oramai controllata dal regime, priva il Consorzio Reggiano della concessione per darla alla SAFRE, la quale avoca a sé la gestione della linea e cede i lavori di costruzione al [[CCPLF]].
Dopo la Liberazione i tre partiti antifascisti di massa costituiscono un'unica organizzazione sindacale e una sola centrale provinciale di cooperazione: la Federazione provinciale delle cooperative (Federcoop). Presidente è il socialista Arturo Bellelli, segretario della Camera del lavoro sino al 1925; vicepresidente il democristiano ing. Villani.
L'8 maggio 1945 il prefetto del [[CLN]], Vittorio Pellizzi, designa i commissari straordinari del Consorzio: il rag. Pietro Negroni, comunista, presidente; il geom. Alberto Pasini, democristiano, vicepresidente, Ivano Curti socialista, l'ing. Dante Montanari, socialista, direttore. La Commissione<ref>La Commissione, ai fini dell’epurazionedell'epurazione, decide di attenersi esclusivamente a fatti concreti, licenziando solo nove persone tra cui il direttore Giuseppe Lombardini, il vicedirettore, ing. Igino Gazza e il segretario amministrativo, rag. Mario Canalini. La formula adottata tra le parti è, per la verità, quella delle dimissioni volontarie. Si tiene infatti a salvaguardare, anche in un passaggio di fase così drammatico, quello stile ovattato e nutrito di valori tecnici per cui il Consorzio si è distinto nel tempo. Sul tema dell’epurazionedell'epurazione, Osvaldo Salvarani ricorda: “Alcuni erano fascisti, ma di questi non ricordo bene; altri rimasero, perché non erano stati degli attivisti. Perché poi bisogna dire una cosa: io sono figlio di un socialista, che era stato assunto perché aveva quattro figli. E teneva nel cassetto del comò, nel segreto del comò, la foto di Prampolini. Però se tu non ti iscrivevi ai Gruppi universitari fascisti, come ho fatto io, non potevi fare l’universitàl'università!”. Cfr. Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit., p. 193.</ref> provvisoria procede all'epurazione dei dipendenti compromessi con il [[fascismo]] e alla verifica del bilancio.
Il 15 luglio 1945 l'assemblea elegge gli organi del Consorzio, presidente è Ivano Curti<ref>“Curti da giovane era comunista. Poi dopo successe il fascismo, e difatti era venuto a Milano, poi da Milano è ritornato a Reggio. A Reggio si era iscritto agli Avanguardisti, poi dopo ha abbandonato, ed è andato a Ligonchio, che allora si costruiva la centrale di Ligonchio. Curti va a fare l'assistente a Ligonchio. E guarda, se tu hai la possibilità di vedere storicamente le agitazioni fatte a Ligonchio, alla Centrale, grazie all'atteggiamento di Curti, nonostante che era... Poi dopo Curti viene trasferito in Sicilia, da quella società là, e dalla Sicilia lo mandano in Romania o Bulgaria. Io lo trovo, agh digh: ‘In do vèt?’'. Al dis: ‘Adès e vagh in Bulgaria...’' (gli dico: ‘Dove vai?’' Dice: ‘Adesso vado in Bulgaria...’') – ‘Guarda, se tu hai la possibilità di chiamarmi, io vengo’vengo'. E difatti io ero deciso di emigrare, andare a fare anche il minatore in Belgio. Poi dopo rimasi, trovai da lavorare, ecc. […] Allora Curti va in Bulgaria. Poi dopo è ritornato, c'è una situazione... E va a finire in Francia. In Francia si trova con Simonini. Lì nascono delle liti tremende. (…) E di fatti al ritorno, poi, nel ‘45 Curti viene nominato nel CLN, come rappresentante socialista […]. Curti, nel ‘46, al dìs (dice): ‘Veh, Giorgio - mi chiamava Giorgio, perché me a'gh ò sèimper avù di nòm ed batàglia - me em vòi iscréver al partì comunista’comunista'. [‘Veh, Giorgio - ...io ho sempre avuto nomi di battaglia - voglio iscrivermi al PCI’PCI']. Allora sento in federazione, e dìs (e dice): ‘No, Curti deve rimanere nel PSI, che c'è bisogno di un elemento come lui...’'. Fino che ha tenuto colpo, acca madò... al magnèva la ghisa! (mangiava la ghisa!) Poi dopo è passato nel PSIUP, e poi dal PSIUP è passato al PCI.”. Cfr. Avvenire Paterlini in N. Caiti, R. Guarnieri, La memoria dei «rossi». Fascismo,Resistenza e Ricostruzione a Reggio Emilia, introduzione e cura di A.Canovi, prefazione di L. Casali, Ediesse, Roma, 1996.</ref>.
I tre partiti antifascisti designano nell'organo dei probiviri il [[socialista]] Arturo Bellelli, il [[democristiano]] [[Giuseppe Dossetti]] (uno dei padri della [[Costituzione italiana]]) e il [[comunista]] Cesare Campioli, [[sindaco]] della città. Competenze tecniche e valori politici, entrambi espressi al più alto livello, costituiscono un patrimonio di “buona reputazione” cui il Consorzio affida la salvaguardia della propria autonomia funzionale. Direttore è confermato l'ing. Dante Montanari, sostituito nel 1946 dal direttore amministrativo Dino Iori.
Il Piano Fanfani per le [[case popolari]], tra il 1950 e il 1953, consente al Consorzio di aggiudicarsi molti appalti INA Casa a Milano.
Il capoluogo lombardo diventa un laboratorio nel quale il Consorzio si irrobustisce assieme alle cooperative che affrontano la sfida della crescita<ref>Prospero Rinaldi, giovanissimo geometra, si fa le ossa proprio sui cantieri della metropoli lombarda, che ricorda come una scuola di vita per sé come per i lavoratori in trasferta delle cooperative reggiane: “La nostra piazza principale era Milano. Quando sono andato a Milano ero un ragazzino, perché a 21, 22 anni. Ricordo un tecnico delle case popolari di Milano che, al primo impatto, mi disse: ‘Io con i ragazzini non ci parlo, io voglio parlare con un tecnico!’'. – ‘Guardi ingegnere che io sono il tecnico preposto!’'. Poi, man mano che i rapporti sono continuati, si è ricreduto, e siamo diventati amici… Partivamo al lunedì mattina, gli operai con il pullman, e si rientrava il sabato sera,perché si lavorava fino al sabato a mezzogiorno. Alcune volte addirittura si rientrava dopo 15 giorni, direi anzi che i primi mesi era un’abitudineun'abitudine rientrare dopo 15 giorni. Dopo si era raggiunta l’intesal'intesa di rientrare per il sabato. E ricordo che noi a Milano destavamo una certa curiosità nelle altre imprese. Perché mentre noi vivevamo in cantiere,e mettevamo la mensa,e gli operai dormivano in cantiere, agli altri non succedeva, non montavano il classico impianto di cantiere. E ci invidiavano,perché vedevano in questi una formazione di operai compatti che sicuramente aveva risultati economici decisamente diversi. Perché non avendo l’esigenzal'esigenza di spostarsi; di non avere l’esigenzal'esigenza di una trattoria per andare a mangiare; sei in mezzo a degli amici, hai la tranquillità; hai chi pensa a tutto quello che è il mondo esterno per farti trovare un ambiente decente; beh, sul lavoro hai una resa completamente diversa. Se hai da finire un getto di calcestruzzo, o una muratura particolare, se tu lavorassi fino alle 6 o fino alle 10 di sera non era un problema per nessuno. Quindi ci invidiavano questo modo di lavorare. Ma c’erac'era questo: si partiva insieme, si restava insieme. Noi siamo stati scuola dei tecnici delle cooperative che poi sono cresciute. Mentre prima le cooperative erano nulle,se sono cresciute il merito è di CCPL, al di là di quello che dicono per il merito di aver saputo fare. La verità è che la guida eravamo noi. A Milano con me, con altri miei colleghi, eravamo là a mangiare la polvere insieme sul cantiere. E non dormivano in albergo, non c’eranoc'erano i soldi; e a mangiare mezzogiorno e sera con gli operai, in mensa. È una cosa bellissima: quando si è lontani da casa, i problemi della famiglia escono […] e diversi operai mi venivano a raccontare, come superare alcuni problemi della famiglia. Ma se quell’operaioquell'operaio che a me veniva a chiedere queste cose, il giorno dopo c’erac'era da risolvere una urgenza, beh, stai sicuro che la si risolveva. Ricordo un giorno che veniva giù un’acquaun'acqua della malora, vado dal capocantiere a dirgli: ‘Ma non si può far lavorare la gente sotto un’acquaun'acqua del genere!’'. – ‘Glielo vada a dire lei […]. Che cosa gli ha detto lei, ieri sera, che bisogna finire il lavoro assolutamente […]. E loro lo finiscono!’'. Questo, mentre il muratore classico appena sente una goccia abbandona gli strumenti. Vivere insieme è sapere, quando si lavora, che cosa si può ottenere; rendere partecipi chi lavora; tu fai questo per questo e questo motivo. È così che bisogna parlare con le persone”. Cfr. Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp.226-7.</ref>.
I cantieri di [[Milano]] consentono alla cooperazione di valutare i modelli operativi dell'impresa capitalistica e confrontarli con i propri: la realtà di CCPL è meno dura rispetto a quella della metropoli nella quale i lavoratori vengono pagati a cottimo e l'organizzazione del cantiere non contempla misure previdenziali.
Nel 1956 viene inaugurata la nuova sede costruita sull'area di [[palazzo Vallisneri Vicedomini]] (ex-casa Guatteri), tra Corso Garibaldi e via S. Zenone 2. Il complesso polivalente (uffici, negozi, residenze) ospita la sede del Consorzio, successivamente vi viene inaugurato Coop1, il primo supermercato cooperativo<ref>“La Cooperativa di consumo: tieni conto che il primo supermercato di Reggio l’hol'ho costruito io! Il Coop 1 di via Garibaldi era di proprietà del CCPL. Era adibito a garage, solo che l’annol'anno prima aprì la Standa a Reggio, in mezzo a un grande scandalo perché il comune si prestò ad aprire un supermercato a Reggio, la provincia cooperativa e quant’altroquant'altro! Gira e rigira, il giorno in cui Gagarin fu lanciato nello spazio – me lo ricordo perfettamente – si decise che nel garage del consorzio, che non era ancora finito, si facesse il Coop 1 […]. Cominciammo così. La gestione fu data in mano al presidente della Federcoop, Catelli mi pare. Era un dirigente politico, e cominciammo male. Perché allora praticamente nessuno aveva il senso dell’economiadell'economia. Ti cito solo un caso: vennero comprate quarantacinquemila biro di riserva – in Coop 1 si vendevano anche le biro – il che vuol dire che aveva l’intenzionel'intenzione di inchiostrare tutta la provincia di Reggio Emilia! Dopo sei mesi, il Coop 1 andava male, e nella relazione del consiglio – si può andare a vedere – che una delle cause principali indicate per le quali la gestione non era economica era l’altol'alto costo dell’affittodell'affitto. Che non pagavano al CCPL! Ma non l’avevanol'avevano mai pagato!! Ecco, vedi che costruire una classe dirigente alternativa non è una cosa facile”. Cfr. Livio Spaggiari in Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp. 252-3.</ref>.
Durante la demolizione del palazzo Vicedomini vengono recuperati gli affreschi che tuttora esposti nell'attuale sede di via Gandhi. Gli affreschi risalgono alla seconda metà del XVI secolo e sono stati attribuiti a Giovanni Bianchi.
Il Consorzio stesso si unisce alle principali cooperative socie per realizzare nuove iniziative industriali, si profila la stagione delle Coopre. Il terreno di base è sempre collegato all'edilizia ma la localizzazione degli impianti è dettata dalle necessità logistiche della produzione.
Nel 1975 è la volta di Metalcopre 3, azienda di carpenteria a [[Gualtieri]], frutto di un salvataggio compiuto dal CCPL ai fini occupazionali; così come a Cassina dove nel 1974 nasce Cooprecar 4, impresa per carrozzeria per autobus sostenuta assieme al CCFR.
La diversificazione industriale si collega a un processo concentrazione tra le cooperative particolarmente vivace tra il '70 e il '74. La dimensione d'impresa modifica anche i riferimenti culturali nella formazione interna: non più la politica, ma l'economia e l'organizzazione d'impresa sono i temi di riferimento. Viene avviato un rapporto stabile con l'[[Università Bocconi]]<ref>“Per la verità, il primo approccio alla Bocconi ce l’hal'ha organizzato l’Associazionel'Associazione delle cooperative di produzione lavoro di Reggio, quindi la Lega delle cooperative. Aveva preso questo contatto dicendo – a seguito del processo unificatorio – che sarebbe stato utile per le cooperative, i dirigenti delle cooperative, darsi un’esperienzaun'esperienza professionale nuova. E quindi aveva organizzato un corso anche qui a Reggio, in termini professionali, ai quali poi sono seguiti dei corsi in termini più specifici e più significativi a Milano. Io sono andato a fare un corso a Milano, alla Bocconi, di quaranta giorni sulla pianificazione strategica. Per il quale poi, come le ho detto, avevo mandato diversi miei collaboratori. Poi in Coopsette avevamo portato – in questi primi anni, era il ’77'77-’78'78 – come collaboratore a part-time, un docente dell’universitàdell'università di Padova, che insegnava organizzazione aziendale. L’avevoL'avevo incontrato in uno di questi corsi; poi l’avevol'avevo chiamato a fare un corso all’internoall'interno di Coopsette; e poi dopo, visto la frequentazione e quant’altroquant'altro, gli avevo proposto di entrare. E lui era entrato a part-time: lavorava quattro giorni da noi e due giorni all’universitàall'università di Padova. E devo dire che questo ci ha aiutato molto, perché lui volava molto alto, noi stavamo tentando di alzarci un po’po' da terra, e in qualche modo ci stimolava a misurarci con temi più elevati. C’èC'è stato tre o quattro anni.” Cfr. Donato Fontanesi in Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp. 330-331.</ref> che rompe la monoliticità dei riferimenti culturali tradizionali.
L'accentuazione del profilo imprenditoriale determina anche lo scoppio delle prime vertenze sindacali nel Consorzio: prima nei [[frantoio|frantoi]] (1967) e poi nelle [[fornace|fornaci]] (1969)<ref>“Il problema era trasversale, e scaturiva dal fatto che il sindacato aveva cambiato strategia, non seguiva più la cinghia di trasmissione. Il sindacato puntava alla lotta articolata; nelle aziende si impostavano le piattaforme aziendali,la contrattazione articolata. E allora c’eranoc'erano ancora, sì, alcuni privati; però la struttura economica più consistente nel campo edile era il CCPL. Questa nuova strategia sindacale e politica investì in pieno il consorzio e si saldava anche con le spinte “anticonsorzio”– chiamiamole così – che erano presenti nelle cooperative in ricerca di una propria autonomia. Era una saldatura oggettiva. E in questi conflitti giocavano alcuni fattori. Non si accettava in generale – ma è punto tuttora parzialmente aperto, perché il lavoratore è anche socio,e il conflitto passa dentro di lui – che il sindacato facesse vertenze sindacali nelle cooperative. Poi, con il consorzio, la differenza era notevole: erano tutti dipendenti. E poi era vista come l’aziendal'azienda economicamente più ricca, si pensava avrebbe potuto sostenere il peso dei nuovi contratti. Lì si arrivò alla vertenza frontale tra sindacato e CCPL, ed era la prima volta. In tal senso, la decisione di Spaggiari di chiamare i carabinieri non fu un gesto dettato dalla stizza, faremmo un torto all’uomoall'uomo. Si trattava di una scelta meditata. E poi bisogna ricordare che lui credeva veramente al consorzio come espressione del movimento cooperativo, in rappresentanza di tutti i lavoratori soci di ogni singola cooperativa” . Cfr. Luciano Gozzi in Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp 321.</ref>.
Il personale del Consorzio non è costituito da cooperatori bensì da dipendenti ancorché legati all'organizzazione da motivazioni politiche e professionali affini a quelle del mondo cooperativo. Gli scioperi, che conoscono momenti di forte tensione, diventano per la dirigenza del CCPL anche un momento per sottolineare la diversità del Consorzio rispetto alle cooperative associate.
Il 22 maggio 1975 viene deliberata l'unificazione dei Consorzi di Reggio, Parma e Piacenza al fine di rispondere adeguatamente alle esigenze di espansione dei mercati. Il Consorzio ha la direzione a Reggio e sedi decentrate a Parma e Piacenza. L'unificazione avviene per incorporazione del Consorzio parmense in quello Reggiano ma già da un paio d'anni le due organizzazioni operavano congiuntamente.
A partire dal 1976 il CCPL realizza a Reggio Emilia il Centro direzionale su un terreno di proprietà del Consorzio e della Cooperativa muratori di Cadelbosco; la sede del Consorzio si trasferisce così in via Gandhi, nel Centro Direzionale S. Pellegrino<ref>“Negli anni sessanta, ritenemmo che fosse giusto rielaborare il Piano Regolatore Generale precedente che era stato redatto dall’amministrazionedall'amministrazione con la collaborazione dell’architettodell'architetto Albini, ma secondo il nostro giudizio aveva alcuni limiti o, meglio, eccessi che dovevano essere corretti. Per esempio, la capacità di edificabilità era del tutto sproporzionata a una previsione ragionevole di sviluppo della città,con la conseguenza che le iniziative per utilizzare il terreno edificabile erano molto ampie,per cui in fondo il disegno di sviluppo della città non sarebbe più dipeso dall’amministrazionedall'amministrazione comunale e dai suoi indirizzi ma dalle scelte dell’imprenditoriadell'imprenditoria privata che aveva una tale ampiezza di possibilità di scegliere che la rendeva determinante per stabilire in quale relazione la città avrebbe dovuto svilupparsi. Per cui una delle caratteristiche del piano fu quella di ridurre drasticamente, da una capacità di edificabilità corrispondente a circa 350-400 mila abitanti, la portammo a circa 150-200 mila. In questo modo era l’amministrazionel'amministrazione a individuare quali erano i terreni e le aree nei quali potersi sviluppare. Teniamo conto che il Piano Regolatore Generale di Reggio viene elaborato in una fase della vita politica del paese in cui si proponeva o si prospettava la possibilità di introdurre dei poteri di esproprio nelle mani dei comuni che partissero dal presupposto che il terreno è un bene della comunità. Quelle intenzioni non si realizzarono, anzi… la sola possibilità di tradurle in legge provocò la crisi di governo del primo centrosinistra! […] E negli anni successivi Reggio fu una delle città che tentò di realizzare,nel modo più integrale, i cosiddetti Piani economici di edilizia popolare […]. Ecco, la realizzazione di almeno uno dei Piani Economici di Edilizia Popolare, quello verso la montagna,avvenne con la collaborazione del CCPL. Se dunque – attraverso Piacentini e la Cooperativa architetti – vi fu evidentemente un collegamento con il mondo cooperativo, vi furono anche le occasioni per interagire in modo diretto. L’amministrazioneL'amministrazione comunale, facendo questi progetti, pensava indubbiamente al CCPL per la sua esperienza costruttiva nel campo delle abitazioni popolari. D’altrondeD'altronde,non avremmo potuto offrire quelle condizioni di mercato che in genere il privato va cercando. Vorrei dire che, senza nemmeno bisogno di predisporlo o di pensarlo, il CCPL era l’interlocutorel'interlocutore naturale per la realizzazione di progetti in cui il pubblico volesse mantenere un ruolo di indirizzo. A questo proposito, uno degli orientamenti per i quali ci siamo battuti all’epocaall'epoca era di considerare come la cooperazione dovesse avere un titolo preferenziale negli appalti e negli incarichi che dava il comune. In molte gare tentammo di inserire – ostacolati dall’autoritàdall'autorità governativa, di cui era emanazione la giunta provinciale amministrativa – questo preciso indirizzo: a parità di condizioni, l’assegnazionel'assegnazione del lavoro sarebbe dovuta andare alla cooperativa. Va comunque detto che il CCPL forniva tra l’altrol'altro le maggiori garanzie, sotto il profilo tecnico e imprenditoriale, nella realizzazione di aree abitative popolari. Lo vedemmo indubbiamente come un braccio operativo per portare a termine alcuni interventi a cui tenevamo particolarmente. In particolare, vi era poi rilevante nel piano questo aspetto di individuare le aree in cui collocare i centri direzionali. E il centro direzionale divenne la prima occasione in cui il movimento cooperativo – in particolare il CCPL – interveniva nella vita urbanistica della città secondo un piano programmato dall’amministrazionedall'amministrazione.Questa collaborazione ha portato alla realizzazione del direzionale San Pellegrino, dove il CCPL ha tra l’altrol'altro la sua sede. Ricordo che,per noi, i direzionali rappresentavano una prova primaria per verificare il funzionamento del Piano Regolatore Generale. Il direzionale San Pellegrino era una delle cartine di tornasole della validità del piano. Era uno dei nuclei fra i più decisivi per lo sviluppo integrale della città. Lo affrontammo con questo spirito. Si trattava di realizzarlo, e con una risposta positiva anche da parte di importanti operatori del terziario,come è avvenuto nel caso della Cassa di risparmio. Questo polo nacque precisamente in funzione del terziario, anche la parte residenziale che in un secondo tempo si è sviluppata.” Cfr. Renzo Bonazzi (Sindaco di Reggio Emilia) in Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp 353-354.</ref>.
In questo periodo il Consorzio svolge una funzione di supporto all'attuazione della politica urbanistica del Comune collaborando alla modernizzazione del sistema viario cittadino anche attraverso la realizzazione del cavalcavia della via Emilia all'Ospizio che assicura una migliore viabilità lungo l'asse nord-sud della città.
Nel 2001 il Consorzio modifica di nuovo lo statuto assumendo la forma di [[società a responsabilità limitata]].
L'organizzazione in divisioni è abbandonata nel 2002 e dal modello divisionale – dove ogni specifico ramo organizzativo appartiene alla Capogruppo – si passa a un nuovo modello imprenditoriale societario che articola il CCPL intorno al ruolo della Capogruppo e di sei business unit<ref>“L’assetto“L'assetto delle responsabilità era coerente con la minore complessità del sistema sino allora gestito. Alle divisioni era assegnato un ambito operativo sostanzialmente limitato alla gestione caratteristica e centrato sul governo dei tradizionali fattori di generazione di costi e ricavi (principalmente la leva produttiva e commerciale). Di fatto estranei al sistema di responsabilità delle Divisioni erano invece la gestione finanziaria, l’equilibriol'equilibrio patrimoniale nonché la strategia di crescita del valore, presidiati direttamente dalla Capogruppo, così come le scelte di indirizzo, l’allocazionel'allocazione delle risorse, le politiche di investimento e di alleanza, il portafoglio delle attività.” . Cfr. Antonio Canovi, Cento anni CCPL, cit. pp. 417.
</ref>.
Ciò risponde a un'esigenza di riassetto delle responsabilità e di semplificazione organizzativa.
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