Servio Sulpicio Rufo: differenze tra le versioni
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Dopo questi eventi non vi sono grandi informazioni. Sicuramente dovette partecipare a diverse iniziative politiche nel periodo di grande instabilità della tarda repubblica.
Nel 52 si candidò per le elezioni del consolato assieme a lui presentavano la loro candidatura [[Marco Claudio Marcello]] e [[Catone]]<ref>Pietro Meloni, Servio Sulpicio Rufo e i suoi tempi, Sassari, 1946. p. 131</ref>. Nel 52 a.C. trionfò nelle elezioni con C. Marcello per il consolato del 51 a.C.
L'anno del [[consolato (storia romana)|consolato]] fu ricco di difficoltà a causa del comando proconsolare di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] ormai in scadenza. In più fu un consolato tormentato per i contrasti che interessarono i due consoli<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 451</ref>.
Mentre gli eventi degeneravano nel 49 a.C., essendo Cesare prossimo a Roma, [[Pompeo]] in fuga insieme a molti rappresentanti politici tra cui Cicerone, e anche Sulpicio Rufo decise di abbandonare la città<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 933. </ref>. Egli si inserì nella contesa tra Cesare e Pompeo, seguendo la via diplomatica: mandò suo figlio stesso a Brindisi direttamente da Cesare, ma ogni tentativo fu vano<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 873</ref>. Abbiamo notizie di un incontro tra Cicerone e Sulpicio a Cuma<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, a cura di Alberto Cavarzere, BUR, Milano, 2007, p. 349</ref> il 7 maggio del 49. a.C.<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, UTET, Torino, 1998, pp. 933-934</ref> . I due avevano un urgente bisogno di vedersi (parlarono dello stato della città e di una possibile ascesa di Cesare). In questa sede Cicerone lo esortò a lasciare l'Urbe<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, UTET, Torino, 1998, p. 935</ref>.
Durante la Seconda Guerra Civile della Roma repubblicana, dopo molte esitazioni, Sulpicio Rufo unì il suo destino a quello di Giulio Cesare<ref> Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 357. “Tuttavia nel giudizio dello stesso Cesare e nella stima di tutti i tuoi concittadini, la tua integrità, la tua saggezza e la tua dignità brillano come luce quando ogni altra è spenta”. </ref>. A inizio dell'anno 46 a.C. ricevette da Cesare stesso il governo della [[Provincia d’Acaia]], che lo nominò [[proconsole]],<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, pp. 1399-1401 “ci sei tu al governo dell'Acaia”.</ref><ref>Willems, Pierre Le Sénat de la République Romaine, 1968. parla non di proconsole ma di “legatus Caesaris”</ref>, per la prima volta autonoma dalla Macedonia. Nella Provincia d'Acaia risiedevano molti pompeiani che dopo la morte di [[Pompeo]], non si erano sottomessi a Cesare. La scelta di mettere Sulpicio a capo di tale provincia derivava dalla necessità di avere una persona sicura che non fosse mal vista dai seguaci di Pompeo<ref>Pietro Meloni, Servio Sulpicio Rufo e i suoi tempi, Sassari, 1946. p. 185</ref>. Sulpicio rimase ad Atene fino alla fine del 45 a.C.<ref>La Lex Julia del 46 a.C. si regolamentò la durata dei governi provinciali, da un anno a un massimo di due anni per quello consolare</ref>.
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=== Gli ultimi anni ===
Nel 44 a.C., dopo la morte di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], S. Sulpicio Rufo proclamò un [[senatoconsulto]], con il quale proponeva l'abolizione della dittatura; vi era il pericolo che i discendenti di Cesare potessero salire al potere<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell'orso, a cura di G. Magnaldi, Alessandria, 2008, p.1. “Nessuna tavola contenente alcun decreto o beneficio di Cesare si affiggesse dopo le idi di marzo”.</ref>. Dopo di ciò si presume un allontanamento da Roma<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 1211 </ref>, con un successivo ritorno con il suo segretario per una possibile mediazione.
Ormai, essendo vicino la guerra civile, Sulpicio Rufo, tentò come suo solito la via diplomatica con un'ambasciata ad [[Marco Antonio|Antonio]]<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell'orso, Alessandria, 2008, pp. 80-81</ref>. Infatti il senato incaricò tre senatori consolari tra cui lo stesso S. Sulpicio Rufo, anche [[Lucio Calpurnio Pisone]] e [[Lucio Marcio Filippo]]<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell'orso, Alessandria, 2008, p. 167</ref>.
Servio Sulpicio Rufo a causa della sua cattiva salute pensò di rifiutare l'incarico<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell'orso, Alessandria, 2008, p.170</ref>, ma esortato da tutti accettò infine questo compito.
Molto probabilmente non riuscì neanche a parlare con Antonio perché alle porte di Modena morì anche se le fonti sono discordanti, intorno alla metà di gennaio dell'anno 43 a.C.
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Si attribuiscono a lui centottanta libri giuridici,<ref>Wilhelm Siegmund Teuffel-Schwabe: Storia della Letteratura di Roma 174, 4</ref> tra risposte, pensieri e sentenze di Servio Sulpicio da i quali si può evincere tutta la dottrina e le sue capacità giuridiche, ma sono noti solo i titoli di quattro, come le ''Critiche a Quinto Muzio Scevola'' (Lat: ''Reprehensa Scaevolae Capita o Notata Mucii''). Non si conosce da quale brano è tratto direttamente, vi sono solo riferimenti secondari nelle opere di Cicerone e Quintiliano.
L'attività del giurista in genere consisteva in tre compiti: rispondere, cavere, agere<ref> M. Tulio Cicerone, Qual è il miglior oratore (le suddivisioni dell'arte oratoria), a cura di G. Galeazzo Tissoni, A. Mondadori, Milano, 1973</ref>. Sulpicio come ci dice Cicerone nella [[pro Murena]] ha dato ampio spazio ai Responsa, poi sistemati e raccolti dai suoi discepoli i Servi auditores, in otto libri di risposte.
Fu un giurista di grande fama in epoca repubblicana al quale Cicerone diede numerosi riconoscimenti,<ref>[[Elizabeth Rawson]]: [http://www.worldcat.org/title/cicero-a-portrait/oclc/57895688?referer=di&ht=edition Cicero, a portrait (1975) p.14].</ref> considerandolo il primo che elevò la Giurisprudenza alla categoria della scienza, (questo perché unì al diritto, la filosofia greca e la dialettica oltre che la retorica portando il tutto a un'estrema armonia<ref>Cicerone, Bruto, I classici Rizzoli BUR, Milano, 1995, pp. 228-229.</ref><ref> M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell'orso, Alessandria, 2008, p. 171.</ref>) essendo chiamato diffusamente in epoca classica Gaio tra altri, sebbene al suo tempo la grande figura di Diritto è stata [[Quinto Mucio Scevola (console 95 a.C.)|Quinto Muzio Scevola]] (figlio di Publio), al quale si opponeva la scuola di Diritto di Sulpicio Rufo.
=== La scuola ===
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