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Altre opere
Numerosi sono i dipinti di Gauguin che colpiscono per la presenza di strane ceramiche di forma primitiva , inserite con il valore di una seconda firma, le quali rimandano a una nuova esperienza di lavoro avviata dal pittore francese durante il suo soggiorno a Pont Aven.[[File:Paul Gauguin, 1889, Pot Anthropomorphe, glazed stoneware, 28.4 cm, Musée d'Orsay, Paris.jpg|thumb|Paul Gauguin, 1889, Pot Anthropomorphe, glazed stoneware, 28.4 cm, Musée d'Orsay, Paris]]Sculture
Dal 1873 Gauguin comincia a lavorare il marmo sotto la guida di scultori con i quali viene fortuitamente a contatto e, dopo qualche saggio di maniera accademica, si dedica rapidamente a soggetti di costume moderno modellati o intagliati nel legno con una tecnica rapida e sommaria di tipo impressionista. La scultura va incontro a una vocazione per l'artigianato artistico e risponde alle sue capacità di manipolare materiali diversi; è un campo in cui l'impronta della personalità dell'artista è più spontanea e immediata. Nel 1886 Gauguin ha l'occasione di conoscere il noto incisore Bracquemond, esperto di arte giapponese, e di venire a contatto, attraverso di lui, con il ceramista Champlet. Comincia a lavorare con quest'ultimo dimostrando subito una particolare predisposizione nel trattare la ceramica e, da semplice decoratore, passa a creare pezzi originali che si possono considerare ceramiche d'arte. Si tratta di vasi in grès smaltato, dalle forme strane, che spesso ricordano le ceramiche inca che l'artista aveva visto in Perù durante la sua infanzia: alcuni decorati da figurine di bretoni o di ballerine di Degas, mentre altri sono modellati in forma di testa con il suo stesso volto, autoritratti scultorei. Un esempio è il vaso-autoritratto in forma di testa grottesca (1887), in grès smaltato, conservato al Kunstindustrimuseet, a Copenaghen. La connotazione primitivistica del vaso emerge dai processi di trasformazione subiti dall'argilla in seguito alla cottura nel forno, che portano a un'alterazione delle fattezze inizialmente modellate tantè che lo stesso Gauguin definisce il vaso "una delle mie cose migliori, ancorchè non molto riuscita dal punto di vista della cottura"; l'esito infatti è una maschera dal rilievo stirato, con accento deformante, conseguenza della temperatura di cottura eccessiva. Il risultato acquista però un carattere rivelatore e la maschera così deformata ricorda a Gauguin la polarità "selvaggia" del proprio carattere tanto che l'opera, realizzata originariamente come omaggio, diventa in seguito un vero e proprio autoritratto dell'uomo che l'ha realizzata, una "testa di Gauguin il selvaggio". A complicare l'accezione di "selvaggio" è un elemento curioso del vaso-autoritratto, il pollice fra le labbra:un tratto tipicamente infantile che allude a una disarmata innocenza. E' probabile che la stretta equivalenza fra infanzia e stato primitivo o selvaggio, più volte citata come dato qualificante dell'arte giapponese, sia divenuta familiare al pittore per questa via e che egli l'abbia ripresa come mezzo per esternare la nostalgia di una condizione ormai perduta. Queste componenti si sommano nel vaso in un effetto grottesco fatto di lineamenti sfuggenti, occhi distanti, sottilmente obliqui e naso rincagnato. Quando Gauguin nel 1895 lascia la Francia per sempre rinunciando all'utopia di gettare un ponte tra due culture, sancisce la rottura con la società civilizzata con altri due capolavori da lui realizzati: la scultura "Oviri" (" Selvaggio",1894), ceramica in parte smaltata e conservata al Musée d'Orsay a Parigi, e l' "autoritratto-Oviri" (1894-95), modellato in gesso e pervenutoci nella fusione in bronzo. Gauguin chiamava questi lavori "piccoli prodotti delle mie sublimi follie" sentendoli come un'immediata proiezione del suo io.
 
Sculture
Dal 1873 Gauguin comincia a lavorare il marmo sotto la guida di scultori con i quali viene fortuitamente a contatto e, dopo qualche saggio di maniera accademica, si dedica rapidamente a soggetti di costume moderno modellati o intagliati nel legno con una tecnica rapida e sommaria di tipo impressionista. La scultura va incontro a una vocazione per l'artigianato artistico e risponde alle sue capacità di manipolare materiali diversi; è un campo in cui l'impronta della personalità dell'artista è più spontanea e immediata. Nel 1886 Gauguin ha l'occasione di conoscere il noto incisore Bracquemond, esperto di arte giapponese, e di venire a contatto, attraverso di lui, con il ceramista Champlet. Comincia a lavorare con quest'ultimo dimostrando subito una particolare predisposizione nel trattare la ceramica e, da semplice decoratore, passa a creare pezzi originali che si possono considerare ceramiche d'arte. Si tratta di vasi in grès smaltato, dalle forme strane, che spesso ricordano le ceramiche inca che l'artista aveva visto in Perù durante la sua infanzia: alcuni decorati da figurine di bretoni o di ballerine di Degas, mentre altri sono modellati in forma di testa con il suo stesso volto, autoritratti scultorei. Un esempio è il vaso-autoritratto in forma di testa grottesca (1887), in grès smaltato, conservato al Kunstindustrimuseet, a Copenaghen. La connotazione primitivistica del vaso emerge dai processi di trasformazione subiti dall'argilla in seguito alla cottura nel forno, che portano a un'alterazione delle fattezze inizialmente modellate tantè che lo stesso Gauguin definisce il vaso "una delle mie cose migliori, ancorchè non molto riuscita dal punto di vista della cottura"; l'esito infatti è una maschera dal rilievo stirato, con accento deformante, conseguenza della temperatura di cottura eccessiva. Il risultato acquista però un carattere rivelatore e la maschera così deformata ricorda a Gauguin la polarità "selvaggia" del proprio carattere tanto che l'opera, realizzata originariamente come omaggio, diventa in seguito un vero e proprio autoritratto dell'uomo che l'ha realizzata, una "testa di Gauguin il selvaggio". A complicare l'accezione di "selvaggio" è un elemento curioso del vaso-autoritratto, il pollice fra le labbra:un tratto tipicamente infantile che allude a una disarmata innocenza. E' probabile che la stretta equivalenza fra infanzia e stato primitivo o selvaggio, più volte citata come dato qualificante dell'arte giapponese, sia divenuta familiare al pittore per questa via e che egli l'abbia ripresa come mezzo per esternare la nostalgia di una condizione ormai perduta. Queste componenti si sommano nel vaso in un effetto grottesco fatto di lineamenti sfuggenti, occhi distanti, sottilmente obliqui e naso rincagnato. Quando Gauguin nel 1895 lascia la Francia per sempre rinunciando all'utopia di gettare un ponte tra due culture, sancisce la rottura con la società civilizzata con altri due capolavori da lui realizzati: la scultura "Oviri" (" Selvaggio",1894), ceramica in parte smaltata e conservata al Musée d'Orsay a Parigi, e l' "autoritratto-Oviri" (1894-95), modellato in gesso e pervenutoci nella fusione in bronzo. Gauguin chiamava questi lavori "piccoli prodotti delle mie sublimi follie" sentendoli come un'immediata proiezione del suo io.
[[File:Paul Gauguin, 1889, Pot Anthropomorphe, glazed stoneware, 28.4 cm, Musée d'Orsay, Paris.jpg|thumb|Paul Gauguin, 1889, Pot Anthropomorphe, glazed stoneware, 28.4 cm, Musée d'Orsay, Paris]]